Fragola al cinema: L’amore bugiardo – Gone Girl

Da Strawberry @SabyFrag

Gone Girl, l’amore secondo David Fincher. L’ultimo film del regista di Fight Club e The Social Network, tratto dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn, è il racconto di una storia dalle tinte e strutture tipiche del thriller, ma che, sintetizzando abilmente linguaggi e generi, dal pulp all’horror alla satira di costume, riesce a trasformarsi in qualcosa d’altro e unico. A orchestrare sulla scena il gioco di intrigo e mistero messo su da Fincher c’è la coppia Ben Affleck e Rosamund Pike, convincente lui e strepitosa lei, capaci di impersonare i due machiavellici coniugi protagonisti al meglio delle loro potenzialità. Una pellicola dall’accurato ingranaggio e dalla grande tensione drammatica, in grado di stupire fino alla fine.

Titolo: L’amore bugiardo – Gone Girl
Regia: David Fincher
Anno: 2014
Paese: USA
Cast: Ben Affleck, Rosamund Pike,
Neil Patrick Harris, Carrie Coon,
Tyler Perry, Kim Dickens

Il film è incentrato sulle vicende che vedono protagonisti la coppia marito e moglie Nick e Amy Dunne. Una coppia all’apparenza perfetta, entrambi amanti della scrittura, intelligenti, dai modi newyorchesi e con una bella casa, trasferitesi nel Missouri per stare vicino alla madre malata di cancro di lui e che hanno poi deciso di fare di quella casa la base della loro vita felice. Peccato che, scavando a fondo, si scopriranno disagi e disastri, la mancanza di lavoro di entrambi per via della crisi, la fuga dalla città per un luogo più economico e dove poter ripartire con un’esistenza di tono più basso ma sicuro, la routine familiare che deteriora il legame, la solitudine, il senso di abbandono, le incomprensioni, le bugie e i tradimenti. Una mattina come tante Amy scompare misteriosamente. Rapimento, fuga, omicidio… le ipotesi sono diverse e si affastellano nella mente di Nick e di chi si occupa delle prime indagini. Ma mentre le ore e i giorni passano e le ricerche e le indagini non sembrano portare da nessuna parte, un’idea comincia a insinuarsi, alimentata anche da una macchina mediatica che esaspera e spettacolarizza la vicenda: e se Amy non fosse scomparsa o aggredita da un misterioso criminale, ma fosse stata uccisa da Nick? Tutti gli indizi sembrano portare a lui e dargli un movente più che valido, nel desiderio di sbarazzarsi della moglie, per di più incinta, e coprire la sua infedeltà coniugale. Un omicidio da manuale, quello della moglie per mano del marito. Eppure tutto appare troppo perfetto, preciso al dettaglio, e proprio mentre cominciamo a credere che sia davvero Nick il cattivo della situazione, ecco che vengono a galla le incrinature e i difetti di un piano diabolico, e sarà proprio Amy a svelarci il mistero, pezzo per pezzo, fino a un finale imprevedibile.

Il matrimonio e le relazioni sono al centro dell’analisi di Fincher, nel tentativo di scardinare una delle ultime certezze della società attuale, mettendone in evidenza vizi e difetti. Nick e Amy ci vengono presentati come due persone che si sono amate molto ma che amano molto di più se stessi, due egocentrici intenti ad assecondare i loro desideri, ben contenti quando le due volontà riescono a collidere e incuranti dell’altro se il volere dell’uno soprassiede l’altro. La crisi non risparmia neppure gli innamorati o chi si professa come tale: con la perdita del lavoro e di buona parte dei loro soldi la loro vita in due, finora ricca di stimoli e distrazioni, si trasforma in una gabbia di monotonia e rancori malcelati, in cui riversare l’uno contro l’altro le proprie infelicità. Il trasferimento da New York, simbolo della loro vita precedente, a una cittadina qualsiasi del Missouri diventa allora un tentativo di fuga e per Nick un rifugio in seno alla rassicurazione più grande di tutti, la famiglia, impersonata soprattutto dalla sorella gemella Margo. Per Amy il Missouri, però, è la goccia che fa traboccare il vaso, l’elemento scatenante un piano tanto folle quanto geniale.

Il piano appare tanto impeccabile che Fincher non può fare a meno di assecondarlo: per tutta la prima parte del film, lo sguardo che ci viene offerto è quello dell’inconsapevole Nick alle prese con un mistero angosciante e rivelazioni di volta in volta sorprendenti, che confondono e gettano nel dubbio non solo i personaggi ma anche il pubblico in sala, mentre la pellicola snocciola tutte le accezioni e declinazioni del thriller eseguito alla perfezione. Ma alla comparsa di Amy tutto è ribaltato è il film si tramuta in qualcosa d’altro, mentre il regista allarga il suo sguardo e struttura una narrazione che si fa contorta, intricata, multi sfaccettata, eclettica, tentacolare.

L’apparizione di Amy sulla scena sposta nuovamente il baricentro del film dal giallo investigativo, che vede Nick come il sospettato numero, a una riflessione sui legami umani all’interno della società e del loro riflesso quasi sempre distorto che ne risulta. Il grande circo mediatico che si sviluppa attorno al caso porta a un’evidente esagerazione, ad accentuare i contrasti e rendere ancora più torbidi i chiaroscuri della vicenda. La tv del dolore, con tanto di Barbara D’Urso americana, a cui il pubblico pare averci fatto l’abitudine, spettacolarizza ed inganna, schermandosi dietro a una manichea ricerca della verità millantata da qualsiasi media sia disposto ad accogliere la storia. Quello che però colpisce di più non è tanto la strumentalizzazione da parte dei media della vita di persone comuni, quanto la capacità di quest’ultime di essere in grado a loro volta di sfruttare questi canali a loro vantaggio, consapevoli ormai delle potenzialità che questi offrono. In questa ottica vanno visti i dettagli che Amy studia con attenzione – il diario, gli acquisiti esagerati con le carte di credito, la finta amicizia con la vicina di casa tonta – per dare di sé l’immagine della moglie tradita e maltrattata, e la mossa astuta di Nick di apparire in un famoso talk show per rispondere con naturalezza alle accuse e lanciare il suo messaggio di innocenza forte e chiaro. La padronanza che entrambi dimostrano di avere dei media è non solo disturbante ma probabilmente si tratta dello spunto più interessante del film, di cui Fincher arriva a toccare la parte più profonda e sensibile, sublimandola in una scena finale che lascia attoniti e si conferma come il quadro più veritiero dei tempi in cui viviamo.

L’amore bugiardo – Gone Girl è un film labirintico, che miscela con sapienza registri narrativi più cupi, tesi a generare un’atmosfera di alta tensione e inquietudine, con battute e scene da commedia del grottesco insieme a un umorismo dai tratti hitchcockiano, capace di strappare più di un sorriso. L’obiettivo ultimo è quello di generare confusione e un crescente senso di smarrimento nello spettatore, che si ritrova a rimbalzare da una menzogna all’altra, mentre l’alternanza di prospettiva apre nuove strade, lascia nuovi indizi su cui lavorare ancora e ancora, nel tentativo di ricomporre la realtà che di volta in volta appare sempre più complessa e spaventosa. Un percorso non del tutto privo di ostacoli e imperfezioni: l’ultima parte del film, infatti, risente leggermente di questa molteplicità di linee narrative, rendendo il tutto un po’ affrettato e dispersivo e le soluzioni date non sempre chiare e verosimili.

Rosamund Pike nei panni di Amy dà prova di grande talento e bravura, crudele e spietata in qualità di moglie psicopatica, non sbaglia un colpo mai, dall’inizio fino alla fine. La scena con Neil Patrick Harris o le ultime battute finali per credere e rabbrividire. La confusione dello spettatore trova, invece, il suo contraltare in Ben Affleck, che fa il suo e si dimostra convincente nella parte assegnatagli, la cui faccia imbambolata è perfetta per interpretare un marito un po’ vittima degli eventi e un po’ fautore delle sue stesse sfortune, fedifrago e bugiardo quel tanto che basta per instillare il dubbio di essere un uxoricida.

Controverso e ricco di sfumature, L’amore bugiardo – Gone Girl è un film a metà tra il thriller e il dramma sociale, una storia che continua a porre interrogativi e spunti di riflessione, senza tralasciare nulla dell’intrattenimento che promette. Fincher gioca su piani di lettura diversi, dimostrando grande abilità nel creare una pellicola da poter destinare a un pubblico ampio e variegato che non manca, però, di una continua sperimentazione soprattutto nell’uso dei linguaggi cinematografici e nella realizzazione di un sottotesto articolato e intrigante, dalle numerose chiavi di lettura e altrettante risposte sottili e sfumate. Un film di difficile classificazione e ambizioso, la dimostrazione del talento di David Fincher non solo come regista ma anche come autore, capace di fare del mistero e l’illusione gli unici strumenti con cui comprendere la realtà quotidiana in cui viviamo. Il risultato, terribile e stupefacente che sia, è di quelli che non si dimenticano. E proprio per questo ci piace.

Voto: 8


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :