For English speaking readers, the topic is developed in an interesting paper by Ruggero Pierantoni
Torno ai lavori di Benedetta Alfieri (v. post del 22 maggio) e torno alla scelta artistica di ridurre e incorniciare le sue foto in scala bambolare – cioè in scala 1:6. Ho chiesto all’artista, e lei mi ha risposto in una conversazione informale (che pubblico qui con il suo consenso) che sì, è una scelta deliberata e implica una questione fondamentale evidenziata qui sotto. Per me, il piccolo vestito incorniciato in scala bambolare è tanto potente ed evocativo quanto qllo in scala naturale. È come un rimpiazzo, un annuncio, qualcosa di potenziale e in attesa o qualcosa di archiviato. Tanto quanto qllo vero.
“le dimensioni dei formati sono deliberate scelte di linguaggio artistico e non dettate dal caso.
La ricerca fotografica sul corpo - o sull'assenza del corpo - che ha visto esposta a MIA fair, lavora da una parte sulla dimensione 1:1 e sul fatto che la fotografia sia una traccia del reale, suggerendo così corrispondenza e ambiguità tra l'oggetto e l'immagine dell'oggetto; dall'altra parte, lavora su un' altra dimensione riproponendo un modello "noto", quello della Barbie, giocando su senso di straniamento percettivo. Il progetto fotografico pone infatti, tra le altre, un'interessante questione: quali sono le dimensioni di un'immagine? ciò che riconosciamo come "corpo assente" dipende da ciò che vediamo o dalla dimensione di ciò che vediamo? l'oggetto fotografato rimane abito quando ha le stesse dimensioni di un corpo umano? o è corpo assente? e quando la dimensione è ridotta è ancora umano quel corpo, seppur assente, o inevitabilmente ricorriamo ad un altro senso che non è forse più solo visivo?
Sulle questioni qui accennate le segnalo un interessante testo critico di un noto studioso di percezione”
ph: Benedetta Alfieri’s works exhibited in Bergamo VS Me ‘n my dolls OOAK outfit