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Frammenti di memorie nel fumetto italiano: Marco Ficarra, Giovanni Marchese e Luca Patanè, Walker Chendi

Creato il 24 gennaio 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, trovandosi di fronte a quello che sarebbe diventato il simbolo del nazismo e dell’Olocausto. Nel 2000 il Parlamento Italiano scelse il 27 gennaio per celebrare il Giorno della Memoria nel ricordo delle vittime di quella tragedia. Cinema, letteratura, e non ultimo il fumetto, hanno affrontato in molte forme la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e i terribili effetti della follia umana. Questo articolo fa parte di una serie di articoli che LoSpazioBianco in oltre dieci anni di attività ha dedicato al tema.Frammenti di memorie nel fumetto italiano: Marco Ficarra, Giovanni Marchese e Luca Patanè, Walker Chendi Walter Chendi Tunué Marco Ficarra Luca Patanè Giovanni Marchese Edizioni BD Becco Giallo

Stalag XB

Sarà capitato anche a voi di sentirlo affermare: “La storia la scrivono i vincitori!”. È proposizione semplice e la sua ragionevolezza è tale da farla sembrare vera. Ma la questione è davvero riducibile a quei termini? Iniziamo a domandarci: chi sono i vincitori e chi i vinti (e dovremmo chiederci anche: che cosa è la storia)? Perché è tutto lì, il cuore della faccenda. E prendiamola alla lontana, così da eludere le possibili e benemerite passioni con cui guardiamo il presente. Andiamo alle origini della storiografia occidentale: Tucidide, che scrisse La Guerra del Peloponneso a ridosso degli eventi, era ateniese; eppure fu lui a scrivere la storia di quella guerra che si concluse con la fine (la Fine) di Atene. Vero è che i vincitori, laconici per antonomasia, non si curavano molto di faccende culturali. Ma, insomma, pare di poter sostenere che la Storiografia sia stata fondata da uno sconfitto. Da uno sconfitto che intendeva riflettere, far riflettere, comprendere una tragedia. Non insensata (“il reale è razionale” è metodo e condanna del pensiero analitico). Ma evitabile. E che, a suo parere, si sarebbe dovuta evitare. Sopravvissuto al campo di battaglia, alle carestie, alla peste, Tucidide tenta di chiarire, attraverso la memoria e la ricerca, il folle scivolamento delle due potenze greche sotto l’influenza persiana. Ricostruire, interrogare, comprendere, tramandare. Questo è lo spirito di ogni opera che affronti la storia e la memoria.

Quindi: scrive storia e tramanda memoria chi ha un motivo e una spinta abbastanza forte per farlo. E, certo, l’opportunità.

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La nebulosità delle categorie “vincitori” e “vinti” e delle motivazioni e stimoli, che accompagnano lo scrivere ed elaborare memorie, emergono chiare da tre opere, ambientate negli anni della dittatura fascista e della II guerra mondiale: Stalag XB di Ficarra, Nessun Ricordo di Marchese e Patanè e La Porta di Sion di Chendi. Leggiamole e proviamo a classificare i loro personaggi e autori.

In Stalag XB, Ficarra racconta di Gioacchino, che dopo l’8 settembre 1943 rifiutò di aderire alla RSI e venne imprigionato nello Stalag. La sua vicenda è scandita dalle lettere dal campo, che, per evitare la censura, non accennano alle terribili condizioni di vita. La contrapposizione fra il tono delle lettere e le immagini delle brutalità reali suscita commozione e rabbia impotente. Gioacchino nasconde la realtà ai suoi familiari forse anche per fuggirla, almeno nei brevi momenti di scrittura.

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La porta di Sion

Chi invece richiama tutta la brutalità attraversata nella sua vita è Turi, voce narrante di Nessun Ricordo: fuggito in Germania da ragazzo, si trovò imprigionato nel meccanismo del lavoro coatto e per uscirne arrivò ad uccidere. Marchese e Patanè compongono una vera e propria discesa agli inferi, attraverso i vari stadi di degradazione: da uomo a schiavo a bestia che uccide per sopravvivere. Turi si racconta al nipote Rocco, in procinto di lasciare l’Italia per cercare miglior fortuna all’estero.
Anche La Porta di Sion racconta di una fuga e di una degradazione. Trieste, 1938, promulgazione delle leggi razziali. Gli ebrei perdono un diritto dopo l’altro e sono messi al di fuori della comunità, un passo alla volta. Jacob, come tanti altri, fatica a realizzare che cosa si prepara per gli ebrei. La famiglia riesce a farlo fuggire, e difatti è proprio lui la voce narrante. Chendi sceglie una narrazione leggera e uno stile grafico senza fronzoli, comunicando efficacemente come il peggiore degli orrori possa preparasi senza clamori e riuscire incredibile perfino alle vittime.

Queste le vicende e i personaggi: cerchiamo di applicare loro le categorie vincitore e vinto e di cercare di capire che cosa ci dicono sul bisogno di tramandare memoria.
Sono forse dei vincitori, per il fatto che tramandano memoria o che la loro memoria è tramandata? È un vincitore Gioacchino, che muore di stenti nello Stalag XB? O Turi, lavoratore coatto in Germania, sopravvissuto allo sfruttamento, che, invecchiato, rivede le ombre di quell’incubo nella strage alla Thyssen-Krupp? Vincitore Jacob, che fugge dall’Italia, dalla sua Trieste, per fuggire le leggi razziali del 1938?
Che cosa delle loro esistenze ci autorizza a definirli vincitori?

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Nessun ricordo

Forse il fatto che i loro aguzzini sono stati puniti e le loro memorie dannate?
Ma è andata proprio così?
Ne siete, ne siamo, sicuri?

Turi non sarebbe d’accordo (proprio per questo si mette letteralmente a vomitare memorie sul nipote Rocco): la macchina che divorò la sua giovinezza non smette di falciare vite, mentre Rocco vuole fuggire come lui stesso fuggì. Chiaro che Turi teme che il nipote incorra nel suo stesso destino; chiaro che la storia non insegna alcunché; chiaro che il nipote non sa che farsene dei suoi ricordi. In che senso Turi è un vincitore, quando tutto ciò che gli è rimasto di prezioso, il tesoro dell’esperienza, risulta così svalutato dalle persone a cui ne fa dono?

E Gioacchino, morto di inedia, umiliato e ridotto a bestia nello Stalag. Che Gioacchino fosse un vincitore non doveva essere ben chiaro alla zia Irea, custode delle sue lettere, che stabilì dovessero essere sepolte con lei, quindi fatte sparire, cancellate dal mondo. Per pudore, argomenta Ficarra, per non tramandare dolore.

E Jacob? Che dire di Jacob? Lo sappiamo carico di anni in Israele, ma questo dimostra che è un un sopravvissuto, non un vincitore. Vita complessa, la sua: ha dovuto abbandonare la sua Italia, lui, che era anche contento di essere un balilla!; ha evitato le persecuzioni e i treni dove i soldati e funzionari della RSI caricheranno migliaia di ebrei italiani, avviandoli ai campi di sterminio. Ha perduto la propria famiglia ma ha trovato l’amore.

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Decisamente, vincitore e vinto sono categorie troppo indefinite e poco utili per guidarci nella lettura del mondo e queste storie rendono lampante la loro inadeguatezza.

Si dirà: fra storia e memoria esiste un’opera di ricostruzione e, perché no?, di creazione. Hillberg (1) non si fidava delle memorie dei sopravvissuti alla Shoah: i ricordi sono materia incandescente e incontrollabile quanto poche altre.
Ma è attraverso i ricordi che abbiamo l’occasione di osservare la storia dal punto di vista degli individui. Che vivono una vita, che è una sola e proprio quella lì. Anche e soprattutto nel senso che ciò che in quella vita si perde è perso per sempre e che ogni scelta è irreversibile.
Gioacchino avrebbe potuto scegliere la RSI (2) (magari finendo complice dei crimini della RSI, tanto contorte possono essere le vicende umane); Turi avrebbe certo desiderato continuare a vivere nella sua Siciliatra vigneti, alberi di ulivo, limoneti e fichi d’india“, nonostante il padre violento e la povertà (lo avremmo forse ritrovato fra i migranti verso il triangolo industriale o verso il Belgio?). E Jacob sarebbe potuto restare a Trieste, ma questa sarebbe stata probabilmente una scelta suicida (a proposito: che fine avranno fatto i suoi familiari e i suoi amici?).

I tre protagonisti hanno perso la vita a cui avevano diritto: non potranno riviverla e niente e nessuno potrà risarcirli.

Tramandare la loro memoria, la memoria delle loro vite non salda alcun debito, ma è semplicemente l’ennesimo atto della lotta per la sopravvivenza in cui furono precipitati.

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Stalag XB

Le tre storie in esame trasmettono con grande efficacia questo senso di unicità e irreversibilità.
Di più: l’essere proposti in forma di racconto nel racconto (anche la corrispondenza di Gioacchino è un racconto, sebbene sia di fatto una sorta di controcanto alla realtà), e di racconto diretto al futuro (il nipote per Turi, il ragazzo per Jacob, i familiari tutti per Gioacchino) è segnale di quella volontà, descritta in apertura, di trasmettere non solo la propria esperienza, ma anche le riflessioni e le visioni che da quella sono derivate. Riflessioni e visioni non tanto di quel passato, ma del presente e del futuro.
Turi non cerca commiserazione: cerca di dare al nipote un diverso punto di vista sul mondo (quello presente, perché con quello il nipote si confronta, mica con quello della giovinezza del nonno).
I racconti di Ficarra e di Chendi ripropongono momenti critici della nostra storia, ma le lettere di Gioacchino e l’avventurosa e in fondo scapestrata storia di Jacob non servono unicamente a ricordare le ragioni del rifiuto delle nefandezze e dei principi di fascismo e nazismo (santo cielo: si spera che quel rifiuto derivi da valori condivisi), ma mettono in scena l’importanza dell’attenzione verso i piccoli passi che ci allontanano dalla democrazia e che ci conducono, inevitabilmente, verso una società nella quale l’individuo ha un ruolo, ma non il diritto di partecipare alla sua definizione, rischiando così di trovarsene addirittura escluso, come un macchinario inutile o sgradito. Detto altrimenti: questi racconti non ci invitano semplicemente a guardare indietro, ma a guardare intorno.

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Sommersi o salvati che siano, i personaggi di queste storie sono individui che si trovano ad agire e scegliere in base una conoscenza a dir poco parziale del mondo. Hanno scelto, certo, ma la loro scelta è fra alternative che altri hanno determinato. E che a loro sono apparse senza senso. Oppure hanno semplicemente reagito, lottando per la propria sopravvivenza. Gioacchino ha certo trovato forza nel suo ideale di dignità, ma la reticenza delle sue missive che devono sopravvivere alla censura lo fa sospettare, è fondamentalmente prigioniero di un mondo incomprensibile, talmente alieno da non offrirgli alcuna speranza. Nello Stalag, la morte è casualità e la vita senza valore.

E Turi voleva semplicemente fuggire da un mondo che lo disgustava, che gli sembrava ottuso e pieno solo di violenza e sopraffazione, ben oltre i limiti che lui stesso sperimentava in famiglia (la violenza del padre, con la sua paura/odio verso tutto e tutti).
E per Jacob la persecuzione antisemita è talmente insensata che la sua mente escogita quel trucco bizzarro che gli fa vedere tutti gli ebrei a piedi nudi (come i morti, come nei sogni).

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Nessun ricordo

Intensi, efficaci e dolorosi, supportati da uno stile grafico che comunica rispettivamente dissolvimento, disfacimento e speranza, Stalag XB, Nessun Ricordo e La Porta di Sion ci spingono a riflettere: intanto, sul nostro passato e sulla trama delle vicende storiche, perché quelle sono le storie e le memorie; ma anche sulla necessità di pensare sempre che lungo quelle trame si muovono individui. La storiografia non può evitare un certo livello di astrazione, per gettare le proprie reti sui meccanismi, le strutture, i modelli, le culture, che muovono la storia. Ma la narrazione ha il diritto e il dovere di fissare sempre quelle reti di pensiero alla terra, alla vita degli individui, e le storie proposte esemplificano egregiamente questo approccio.

Abbiamo parlato di:

Stalag XB
Marco Ficarra
Becco Giallo, 2009
144 pagine, brossurato, b/n – 15,00 €
ISBN: 8885832539

Nessun Ricordo
Giovanni Marchese, Luca G. Patanè
Tunuè, 2009
112 pagine, brossurato, b/n – 12,00€
ISBN: 8889613564

La Porta di Sion
Walter Chendi
Edizioni BD, 2010
108 pagine, cartonato, b/n – 10,80
ISBN: 8861235522

Note

  1. Raul Hilberg (1926-2007) è stato uno storico statunitense di origini austriache, considerato uno dei principali autori ad occuparsi dell’Olocausto del popolo ebraico. Riferimento: it.wikipedia.org/wiki/Raul_Hilberg [↩]
  2. La Repubblica Sociale Italiana (RSI), comunemente detta Repubblica di Salò, fu uno Stato fantoccio dell’Europa meridionale fondato per espressa volontà di Adolf Hitler da Benito Mussolini nel 1943. Per riferimenti: it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Sociale_Italiana [↩]

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