Distretto di Kagoshima 23-09-2034 Non riesco a togliermelo dalla testa; nemmeno adesso che sembra dovermi saltare in aria come su una mina nascosta sotto la lingua. Non se ne va. Dum dum dum. Il basso continua a spingere contro le tempie, una pressione, una tensione impossibili da sfogare in questa scatola per cadaveri che ci sta portando verso la costa. Batto il tempo con il piede contro il calcio del M16, contro la lamiera verde e marrone. Ripasso ogni verso senza aprire le labbra. M16! L’esercito ha investito milioni in armi satellitari che ruotano in atmosfera, ma la fanteria usa ancora il fucile che mio padre aveva in Pakistan. Dead man! I know you see in darkness when you sleep .. Dead man! You couldn't be living in Detroit… Perché Detroit? Perché non Boston o St. Louis? Perché non Cleveland. Il ragazzo che mi sta accanto mi guarda, ogni tanto; potrebbe avere 20 anni, al massimo. E’ scuro di pelle, le sopracciglia folte. Non ci conosciamo; siamo seduti fianco a fianco su questo EFV da oltre quattro ore ormai; non ci siamo mai rivolti una parola. Nessuno lo ha fatto, credo. Ci spostano su veicoli tattici blindati anche se siamo a centinaia di chilometri dal territorio ostile. Siamo stretti l’uno all’altro ma è come fossimo isolati sotto tante campane di vetro impermeabili, sudate, umide. Insonorizzate. Dead Man… want to have a future been denied? Così quel suono me lo devo portare dentro; dum dum dum dum dum; il basso se ne sta ancora lì nascosto da qualche parte nel mio cervello come la larva di un parassita tropicale.. Ennesimo scossone; la strada è ancora segnata dal passaggio dei mezzi pesanti. Il dolore è passato dalla fronte alle meningi; sta strisciando dietro le mie orecchie con lentezza esasperante. So you wanna live now but it's only time to die! Provo a dare uno sguardo d’assieme al carico di carne umana rinchiusa nella pancia del EFV. Ma è buio. L’approdo al quinto molo del porto fluviale di Satsumasendai è stato talmente forte che gli elmetti dei ragazzi sono volati per terra. Poco silenzio. Il portellone si apre piano. “Fuori, fuori!” Scendiamo meccanicamente come cadaveri che spalancano sarcofaghi sotterrati nel fango. Sul comando della 4° brigata fanteria diluvia un monsone tiepido. La 4° è una brigata autosufficiente, che si ripara sotto il grande 1 rosso della 1st Infantry Division, da cui ha sempre rivendicato una esasperata autonomia. Sono di stanza nel distretto di Kagoshima da qualche mese, ma la voce comune è che verranno spostati presto verso le prime linee. Siamo in ordinata fila indiana verso il filo spinato che sta attorno al comando di zona, appena fuori dello scalo. Più lontano, verso la costa, già si intravede il profilo nebbioso del muro difensivo che serpeggia per oltre 300 chilometri da Fukuoka fino a Kagoshima. Una struttura talmente enorme che non sembra nemmeno fatta dall’uomo. Addirittura, nella zona di Saga, finito il calcestruzzo, avevano ammucchiato cataste di rifiuti, carcasse di automobili e palazzi sventrati. Il fetore si spandeva tra i gabbiani che assediavano il bastione. Al di là del muro il mare. Poi la terra nemica. Dum dum dum dum dum; fingiamo di marciare; nella testa resta una chitarra da sola, con un’ eco folle; la mente ancora agonizzante, non ci faccio più caso, siamo già bagnati fradici. Da quasi due anni la costa occidentale del Giappone è la prima trincea di difesa, il baluardo che divide il mondo civilizzato degli uomini da qualcosa di cui in pochi conoscono la natura e ben si guardano dal dirlo in giro. Qui si sono ammassate tre brigate della 4th Infantry Division, riservisti canadesi, due squadroni cileni della Divisione Punta Arenas, esperti di difesa costiera e un contingente di rangers australiani. Mentre dall’altra parte del mondo, tra le basse valli degli Urali e il Volga, le nazioni europee accumulano uomini e mezzi per fortificare un fronte lungo oltre 3000 chilometri da Arcangelo ad Astrakhan, l’America medita l’arma definitiva sulle coste del mar Giallo. Ma a noi piccoli soldati senza nome nessuno mai rivela nulla. Noi siamo inservienti di governi riparati dietro le nostre mani che si sporcano ogni giorno di più. Siamo infermieri agli ordini di medici incerti, trasmettiamo informazioni, eseguiamo piccole missioni di sabotaggio e guerriglia, siamo frammentati in mille incarichi contrastanti. Ci manca del tutto il quadro generale, quello che grassi parlamentari con gli occhiali d’argento sbandierano alle televisioni all’ora di cena, prima dei Talent Show delle nove. Ti ficcano un proiettile nella testa, un proiettile in testa! They said it was blue When the boold was red That's is how you got a bullet blasted through your head!
Distretto di Kagoshima 23-09-2034 Non riesco a togliermelo dalla testa; nemmeno adesso che sembra dovermi saltare in aria come su una mina nascosta sotto la lingua. Non se ne va. Dum dum dum. Il basso continua a spingere contro le tempie, una pressione, una tensione impossibili da sfogare in questa scatola per cadaveri che ci sta portando verso la costa. Batto il tempo con il piede contro il calcio del M16, contro la lamiera verde e marrone. Ripasso ogni verso senza aprire le labbra. M16! L’esercito ha investito milioni in armi satellitari che ruotano in atmosfera, ma la fanteria usa ancora il fucile che mio padre aveva in Pakistan. Dead man! I know you see in darkness when you sleep .. Dead man! You couldn't be living in Detroit… Perché Detroit? Perché non Boston o St. Louis? Perché non Cleveland. Il ragazzo che mi sta accanto mi guarda, ogni tanto; potrebbe avere 20 anni, al massimo. E’ scuro di pelle, le sopracciglia folte. Non ci conosciamo; siamo seduti fianco a fianco su questo EFV da oltre quattro ore ormai; non ci siamo mai rivolti una parola. Nessuno lo ha fatto, credo. Ci spostano su veicoli tattici blindati anche se siamo a centinaia di chilometri dal territorio ostile. Siamo stretti l’uno all’altro ma è come fossimo isolati sotto tante campane di vetro impermeabili, sudate, umide. Insonorizzate. Dead Man… want to have a future been denied? Così quel suono me lo devo portare dentro; dum dum dum dum dum; il basso se ne sta ancora lì nascosto da qualche parte nel mio cervello come la larva di un parassita tropicale.. Ennesimo scossone; la strada è ancora segnata dal passaggio dei mezzi pesanti. Il dolore è passato dalla fronte alle meningi; sta strisciando dietro le mie orecchie con lentezza esasperante. So you wanna live now but it's only time to die! Provo a dare uno sguardo d’assieme al carico di carne umana rinchiusa nella pancia del EFV. Ma è buio. L’approdo al quinto molo del porto fluviale di Satsumasendai è stato talmente forte che gli elmetti dei ragazzi sono volati per terra. Poco silenzio. Il portellone si apre piano. “Fuori, fuori!” Scendiamo meccanicamente come cadaveri che spalancano sarcofaghi sotterrati nel fango. Sul comando della 4° brigata fanteria diluvia un monsone tiepido. La 4° è una brigata autosufficiente, che si ripara sotto il grande 1 rosso della 1st Infantry Division, da cui ha sempre rivendicato una esasperata autonomia. Sono di stanza nel distretto di Kagoshima da qualche mese, ma la voce comune è che verranno spostati presto verso le prime linee. Siamo in ordinata fila indiana verso il filo spinato che sta attorno al comando di zona, appena fuori dello scalo. Più lontano, verso la costa, già si intravede il profilo nebbioso del muro difensivo che serpeggia per oltre 300 chilometri da Fukuoka fino a Kagoshima. Una struttura talmente enorme che non sembra nemmeno fatta dall’uomo. Addirittura, nella zona di Saga, finito il calcestruzzo, avevano ammucchiato cataste di rifiuti, carcasse di automobili e palazzi sventrati. Il fetore si spandeva tra i gabbiani che assediavano il bastione. Al di là del muro il mare. Poi la terra nemica. Dum dum dum dum dum; fingiamo di marciare; nella testa resta una chitarra da sola, con un’ eco folle; la mente ancora agonizzante, non ci faccio più caso, siamo già bagnati fradici. Da quasi due anni la costa occidentale del Giappone è la prima trincea di difesa, il baluardo che divide il mondo civilizzato degli uomini da qualcosa di cui in pochi conoscono la natura e ben si guardano dal dirlo in giro. Qui si sono ammassate tre brigate della 4th Infantry Division, riservisti canadesi, due squadroni cileni della Divisione Punta Arenas, esperti di difesa costiera e un contingente di rangers australiani. Mentre dall’altra parte del mondo, tra le basse valli degli Urali e il Volga, le nazioni europee accumulano uomini e mezzi per fortificare un fronte lungo oltre 3000 chilometri da Arcangelo ad Astrakhan, l’America medita l’arma definitiva sulle coste del mar Giallo. Ma a noi piccoli soldati senza nome nessuno mai rivela nulla. Noi siamo inservienti di governi riparati dietro le nostre mani che si sporcano ogni giorno di più. Siamo infermieri agli ordini di medici incerti, trasmettiamo informazioni, eseguiamo piccole missioni di sabotaggio e guerriglia, siamo frammentati in mille incarichi contrastanti. Ci manca del tutto il quadro generale, quello che grassi parlamentari con gli occhiali d’argento sbandierano alle televisioni all’ora di cena, prima dei Talent Show delle nove. Ti ficcano un proiettile nella testa, un proiettile in testa! They said it was blue When the boold was red That's is how you got a bullet blasted through your head!
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