Francesca Capece: l’ignorante fondatrice degli studi in Maglie

Creato il 30 settembre 2010 da Cultura Salentina

Liceo Ginnasio Maglie, Francesca Capece (Olio su tela, ph. V. D'Aurelio)

la baronessa era infarinata di una cultura sufficiente e utile all’amministrazione dei propri beni [...anche] se rimase illetterata tanto che sapeva appena mettere sulla carta i propri pensieri e la firma.

Tutto ciò pone una profonda riflessione: cosa significava per Alessandro De Donno l’essere acculturati? Certamente la sua è una concezione umanistica che correla l’acculturamento alla quantità di conoscenze derivate dallo studio. Ben lungi quindi dalle più moderne interpretazioni che, prescindendo dall’istruzione scolastica, inseriscono nell’universo culturale di un individuo anche gli apporti delle esperienze individuali e altrui nonché gli stimoli intellettuali che provengono dal  mondo esterno. Su questa interpretazione del significato di cultura, io e Cosimo Giannuzzi nel nostro studio “La figura di Francesca Capece e l’origine dell’istruzione pubblica a Maglie” (Maglie, 2010) ci siamo molto dibattuti giungendo alla conclusione che il giudizio di ignoranza dettato dal De Donno altro non esprime che il mancato o irregolare cursus scolastico di F. Capece. Per tale motivo, spinti dalla formulazione antropologica di cultura, abbiamo proposto una revisione del tradizionale e ingiusto, a parer nostro, giudizio. A questo si aggiunga come molto spesso negli scritti che trattano della cultura della baronessa magliese, non si tiene conto dei giudizi espressi da Augusto Chiesa, direttore del Ginnasio sino al 1900, e del prof. Angelo De Fabrizio. I due, nel numero speciale de “L’Avvenire” del 29 luglio 1900, si esprimono in modo completamente opposto a quello del De Donno. Il primo riferisce che F. Capece era

colta e generosa, innamorata dei versi di Virgilio,

mentre il secondo la definisce

erudita e colta, innamorata di Dante e soprattutto di Virgilio di cui sapeva a memoria tutta l’Eneide.

Sono questi, dunque, i presupposti per motivare una Francesca Capece non del tutto ignara della cultura classica e principalmente di quella che il tempo dell’illuminismo infondeva negli animi di ogni individuo e classe sociale. Tuttavia il presupposto dovrebbe, dal punto di vista storico, essere sempre fondato su prove documentarie che tutti gli studiosi precedenti hanno, nostro malgrado, omesso di rendere note (se esistono!). Il nostro ritrovamento, invece, di una farsa del 1798 dal titolo “Il Cieco” messa in scena al Teatro Carlo Goldoni di Venezia (ex San Luca), dedicata dall’autore Vettor Cornér a Francesca Capece e che la stessa

sistemò e mise a nuova foggia assieme ad altre sue teatrali sorelle

e pubblicato nello studio sopradetto, pone un tassello inamovibile nel mosaico dei dubbi circa il giudizio d’ignoranza della nostra baronessa magliese. La farsa è la testimonianza diretta degli influssi che la cultura del tempo, quella illuminista, ebbe su Francesca Capece e basterebbe la lettura di questo componimento per rendersi conto di quanti rimandi al pensiero del tempo in essa emergono. In seconda analisi non è da sottovalutare la figura di don Saverio De Rinaldis (1732-1817) di Surbo che fu, secondo Luigi Maggiulli (1828-1914), il precettore di F. Capece e sua sorella Geronima. Il prelato di Surbo era uomo di grande cultura, poeta, filosofo, teologo e conoscitore della matematica e del francese. Fu nel 1770 precettore in Napoli dei rampolli delle maggiori famiglie napoletane al cui incarico attese con grande scrupolosità e onore. Scrisse diverse opere e fondò nella sua Surbo una scuola di pubblica utilità dove insegnò latino, scienze teologiche e filosofiche con gran concorso di giovani studenti che accorrevano da tutti i paesi limitrofi. Dopo un periodo di soggiorno nel Seminario di Nola si ritirò a Gallipoli e qui fondò un Liceo. Ormai anziano si ritirò sino alla morte nel Convitto dei Chierici Lari di Gallipoli pur continuando a rendersi utile alla popolazione che sempre lo stimò e ammirò. Questa breve biografia tratta dalle notizie di Giambattista de Tommasi di Gallipoli, noto studioso della lingua messapica, del 1822 e inserite nell’VIII tomo della “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli” ci fanno intendere come l’acculturamento delle sorelle Capece fu destinato a un uomo di grandi qualità. La figura di questo precettore svolge un ruolo chiave nella formazione di Francesca Capece, non solo per l’ammaestramento cristiano che le infuse ma, principalmente, per accostare ad esso l’insegnamento umanistico il cui binomio era tipico del metodo istruttivo del prelato. E’ chiaro che l’apprendimento, pur di fronte ad un valente insegnante, dipende dalle capacità intellettive e dal desiderio di conoscenza di ognuno ma è fuor dubbio che con questo precettore Francesca Capece abbia almeno imparato a firmare! Malgrado questa asserzione, che difficilmente ci mette in disaccordo, si pone un’ulteriore opposizione a vantaggio del giudizio di ignoranza della baronessa. Difatti, Vito Papa nel suo testo Il sogno della Duchessa” (Maglie, 2010) scrive che

Si trattò di un insegnamento meramente umanistico e probabilmente non sistematico, considerati anche i vari impegni del De Rinaldis [...].

Niente di più errato poiché lo stesso De Tommasi, nella biografia, riferisce a tal proposito che

finché fu in vita, rivolto a diffondere tra i suoi Allievi i semi utili delle verità, ed i principj dell’ottima educazione Cristiana travagliò incessantemente pel pubblico vantaggio,e con ciò benefico, ed util sempre si rese alla società, per la quale era nato. [...] Giusto per elezione, esatto osservatore de’ suoi doveri, schietto nel conversare, sentenzioso nel discorso, modesto nel portamento[...].

Ancora una volta la risposta ai “se” e agli “ma” proposti dagli storici difficilmente possono assurgere a verità assolute e, non di meno, le stesse sono spesso confutate dai documenti. Siamo certi, e ribadiamo, che la figura di Francesca Capece debba essere rivalutata dal punto di vista della sua personale cultura.


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