“Il regno animale” è il titolo. Edito da Mondadori per la collana “Strade Blu”. Un libro nuovo, di recentissima uscita, il cui nome all’inizio pare dovesse essere “Un romantico a Milano”, che rimanda a una sua celebre canzone. E in effetti, se dovessi dire bravo a Bianconi, lo farei proprio per la scelta della prima di copertina che si attiene perfettamente a quella che era l’intenzione dell’artista, anche se poi il tutto si ferma solo all’intenzione. Il suo romanzo fa sfilare, come in passerella, vari tipi di umanità: la famiglia perbene che vive del suo lavoro cercando di non far mancare niente al classico “bamboccione” costretto ad emigrare per trovare un lavoro, i perditempo che trascorrono le loro giornate tra alcol e gioco, i barboni per strada, la signora pazza che dà da mangiare agli uccelli, lo spacciatore e il drogato, l’emarginato e la gente che non lo degna di uno sguardo per poi passare, rapidamente, all’altra metà della mela marcia, quella fatta di lustrini e paillettes che popola il mondo dello spettacolo. Insomma, in un libro di circa 250 pagine, si concentra proprio tutto. Non manca niente. In realtà però a mancare è tutto. Più si va avanti nella lettura, più il romanzo si mostra agli occhi del lettore come una semplice sfilata di maschere, a volte fin troppo calate nel ruolo che la società le ha designato.
Sicuramente, nel corso delle pagine, non mancano alcuni spunti interessanti da cui poter iniziare a fare riflessioni non banali, però il tutto svanisce miseramente nella voglia di fare troppo citazionismo, rischiando di cadere nel classico luogo comune. Neanche la figura del protagonista riesce ad emergere. Sappiamo dei suoi problemi, delle crisi e delle paure che lo tormentano, conosciamo anche la sua condizione di precario che dovrebbe farsi bandiera della situazione di molti altri coetanei come lui, peccato però che a nessuno di essi, senza esperienza, è dato ricevere un invito alla Mostra del Cinema di Venezia come reporter, tra l’altro di una delle riviste più in voga del momento. Un romanzo che, certamente, è scritto in modo forse più diretto rispetto ai testi delle canzoni, però non arriva lo stesso e succede questo, perché di base l’idea vacilla, perché probabilmente intrisa di stereotipi fin troppo sedimentati. Neanche il finale, per così dire noir, dove Bianconi racconta Bianconi, mostrando forse la sua parte più fragile, quella che di solito non mostra ai concerti, riesce a convincere e a dare la scossa giusta a un libro che ti promette una bella storia, ma che si conclude nel suo totale opposto.