Francesco Domenico Guerrazzi, Volterra

Da Paolorossi

Volterra è città antica, posta quasi nel mezzo della Toscana, sopra un monte assai alto: sedendo sopra cinque gioghi, dicono gli storici che presenti per pianta quasi la figura di una mano.
Chi prima la edificasse ignoriamo; alcuni le danno origine propria, altri straniera; tra questi chi l’attribuisce ai Lidii, chi a’ Pelasgi, chi a Tirreno; non manca chi ne affermi fondatore Noè: incertezze e favole le quali nonpertanto valgono a dimostrare i suoi remoti principii.

Volterra

Ciò che apertamente possono esaminare i pellegrini sono le reliquie delle mura ciclopiche che occorrono pur sempre nel suo territorio, e scritture di lingua che ormai non intendiamo più: le prime fanno fede che visse un di una schiatta di uomini dotati di forze assai superiori a quelle dei popoli moderni; – le seconde, di un tempo tanto antico che mal si accorda colla età attribuita alla nostra terra. Dicono Giano nascesse in lei; affermano quivi ancora trovasse i natali san Lino; i quali casi, se come narrano, avvennero, segno è certo avere usato sempre benigno riguardo a quella città la Idea, che i popoli posero con vicenda perpetuamente alterna nel cielo a disimpegnare le funzioni di Dio.

Volterra fu delle dodici città etrusche sede dei lucumoni; qualche archeologo volterrano sostiene essere stata prima tra tutte; gli antiquari aretini scrivono lo stesso di Arezzo; altri altre cose: la quale questione di preminenza, come delicatissima, lascio alla decisione del benigno lettore.
Si resse prima con proprie leggi; e tanto i suoi antichi cittadini o amarono la libertà o abborrirono la tirannide che ordinarono nessuno di loro tenesse i magistrati, ma annualmente si concedessero agli schiavi fatti liberi: quale tradizione riportata da Aristotele non so come si accordi con l’altra che quivi ponesse sua stanza il principale lucumone di Etruria. Come che sia però, se a lei piacque la libertà, la invidiò in altrui; e gli storici ci riferiscono ch’ella, collegata con Arezzo, Chiusi, Rosselle e Populonia, tentasse restituire Tarquinio in Roma. Male incolse a Volterra provocare l’aquila romana, dacchè, quando usciva appena di nido, rimase da lei malamente ferita; fatta adulta, la divorò. Elio Vuturreno con sessantamila Toscani, comportando acerbamente il minacciato servaggio, giurarono vincere o morire: giacquero spenti sul campo di battaglia presso al lago di Valdimone. Volterra e la rimanente Etruria diventarono da prima municipio, poi colonia romana. Nelle contese tra Mario e Silla, Volterra seguì le parti del primo: superando il secondo, ne sottopose alla legge agraria il contado.

Durante il medio evo la ressero conti, marchesi e gastaldioni, poco dopo, i vescovi; ma questi più di nome che di fatto, imperciocchè nell’esercizio dell’autorità temporale li troviamo contrariati tutti, spesso banditi, uno – Galgano vescovo – trucidato.
A libertà scomposta successe tirannide sfrenata. I Belforti, congiunti finchè attesero a dominarla, si divisero poi su lo spartire della preda: i deboli ricorrono ai Fiorentini per aiuto.
Secondo l’antica natura dei potenti, i Fiorentini sovvengono i deboli contro i vincitori per opprimere entrambi. Volterra, col nome di socia, diventa sottoposta a Firenze. Però, se togli qualche ingiustizia commessa dal popolo fiorentino per necessità della sua politica, se dalla parte dei Volterrani qualche impeto per rivendicarsi nell’antica libertà, tra signore e servo non vedemmo mai concordia più diuturna nè più sicura di questa.

( Francesco Domenico Guerrazzi, da “L’assedio di Firenze”, 1869 )

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