Chi è di scena?
Un uomo dovrebbe campare due vite, perché quando non c’è più tempo, all’ultimo giorno, possa girare i tacchi, tornare indietro, e ricominciare. Così da fare quello che il destino gli ha proibito: amare la seconda donna più importante della sua vita, mettere al mondo un figlio in più, fare un viaggio sull’Orient Express. O aprire un albergo letterario. Uno ci va, paga la sua stanza, mangia, dorme, si riposa sulle rive di un lago. Se è sportivo fa canottaggio e se è un mandrillo sesso. Ma soprattutto legge. Perché al piano di sopra ci sono le camere ma al pianterreno stanze piene di libri. E non poggiati lì alla rinfusa, come nei mobilifici, dove piazzano finte copie dei Malavoglia sopra i comodini. No, anzi: selezionati per genere e stipati in ambienti monografici: giallo/noir, sentimentali, erotici, storici, avventurosi. Questo mi piacerebbe fare, in una seconda vita. Ne avevo già una vaga intenzione prima di leggere il romanzo di Viviana Picchiarelli – La locanda delle emozioni di carta (Bertoni editore) – che ha un forte impianto teatrale senza essere per nulla statico. Il teatro è la locanda, aperta da due amiche un po’ in là con gli anni - cicatrici nell’anima e battibecchi – che decidono di svoltare la vita prima che sia troppo tardi. Dentro alla locanda con vista sul Trasimeno finiscono tante storie, si avvoltolano là, tra un té speziato e una cioccolata alla vaniglia, e di là ripartono al mondo. Storie tenere e atroci, ansiose di raccontarsi dalle bocche, dai gesti, dalla rabbia del coro di attori che Viviana gestisce con leggerezza e malinconia. A tutti il giusto spazio, primedonne e comprimari, sapientemente dosati come da uno chef dotato d’una naturale raffinatezza. In mezzo parole non dette – che fan più male di quelle pronunciate - e incomprensioni, e disordine sentimentale. Fino al sorprendente, necessario finale. Necessario perché se leggete con attenzione il libro, converrete che l’epilogo scelto dall’autrice è l’unico che avesse davvero ragione d’essere.
La Picchiarelli prende una sua storia breve – dal suo libro Reale Virtuale (sempre Bertoni) - e la dilata, ci mostra il prima e il dopo di quel racconto fugace. Romanzo di formazione, romanzo d’amore. Di pentimento e strazio. Un romanzo umanista, nel senso classico del termine: riflettori puntati sull’umanità che fa e disfa la propria vita arrogandosi il diritto di sbagliare. Quei personaggi siamo noi, con la nostra paura d’amare e dichiararci, i nostri treni perduti, i duelli col destino. Viviana ci ricorda che siamo ciechi, viviamo amando a brandelli, e crediamo che ogni nuovo amore sia finalmente amore nuovo. Fino a che la realtà non dimostra il contrario, ci bagnerà di felicità. Infine scomparirà, dietro le quinte di un tramonto di carta.
Il bello di questo libro è che non concede sconti, non esalta sentimenti che sostanzialmente – e quasi sempre - sopravvalutiamo. Saperlo, rendersene conto, ricordarcelo bevendo questa storia assieme a una tisana ai mirtilli – una sdraio, un cappello e un tramonto di lago a cornice - è già una consolazione niente male.