Francesco Petrarca seconda parte

Creato il 16 maggio 2013 da Lory663
Nel 1337 il poeta poteva visitare per la prima volta Roma. La città, allora, non era bella, specialmente per un uomo del Medioevo. Le rovine dell'antichità, trascurate, coperte di vegetazione selvatica, sorgevano su terreni di terra malamente battuta, qua e là pezzati di erbe e di cespugli, dove spesso pascolavano le pecore; scarsi monumenti; misera la maggior parte degli edifici. Ma il Petrarca guardò a quelle rovine con occhi nuovi: vi scorse con entusiasmo le nobili tracce della grandezza di un tempo, e, insieme, sentì l'accorata pena di quella decadenza. Nel suo spirito vi erano già la chiara rievocazione dell'uomo rinascimentale e la commossa sensibilità del romantico.
Nell'agosto di quello stesso anno, sazio di cose viste, il Petrarca si ritirva infine nella solitudine di Valchiusa, presso la sorgente del Sorga, non lontano da Avignone, un soggiorno che gli fu sempre caro. Fu un breve periodo di pace attiva, nel quale furono meditate opere e maturarono ambizioni. Già poeta celebre, Francesco ambiva al massimo riconoscimento ufficiale, l'incoronazione con l'alloro dei poeti. E non trascurò nulla per ottenerla. L'offerta gli venne fatta a un tempo dall'università di Parigi e dal Senato di Roma; e il poeta accettò quest'ultima, e, per dare maggiore solennità alla cerimonia, volle prima recarsi a Napoli per subire una sorta di esame da parte del re Roberto. Nella Pasqua del 1341 venive incoronato in Campidoglio.
Tornò verso il nord col seguito di Azzo da Correggio, che si recava a Parma per prendere possesso di quella città, di cui era divenuto signore. E presso Parma, in Selvapiana, si trattenne qualche tempo per portare a termine l'opera che più gli premeva, l'Africa. Ma, nel 1342, è ancora ad Avignone, chiamato là dal cardinale Giovanni, e le brighe della corte pontificia lo riprendono. Tuttavia la sua straordinaria vitalità lo spinge a nuovi studi: in particolare quello greco, di cui tuttavia non riuscì mai a impadronirsi. Intime inquietudini lo inducono a ripegarsi su di sé e ne nasce un breve trattato latino, Il mio segreto. Nel 1343 è inviato alla corte di Napoli, con un incarico del cardinale Giovanni. Di ritorno si ferma a Selvapiana; ma la pace di un tempo è scomparsa, Parma è stata lasciata da Azzo da Correggio e, contesa fra gli Este e i Visconti, è cinta d'assedio. Il poeta si rifugia a Verona, presso gli Scaligeri, e ha probabilmente incarichi per giungere a pacificare i contendenti. Nel 1345 è ancora ad Avignone di dove ogni tanto ripara a Valchiusa: è di questo periodo il Carme bucolico, in latino.
Nel 1347 un ardente popolano, Cola di Rienzo, tenta di restaurare a Roma l'antica repubblica. Tutto preso dalla grandezza di Roma, scontento di vedere la corte papale prigioniera della Francia in Avignone, il Petrarca si entusiasma e ha fede in Cola di Rienzo, col quale intreccia una copiosa corrispondenza. Ne segue un raffreddamento col cardinale Giovanni, contro la cui casa si è volto Cola. Verso la fine di quell'anno Francesco lasciava Avignone per recarsi a Roma, ma, in viaggio, gli giunge la notizia della caduta del trìbuno. Dopo un breve soggiorno a Verona egli si ritirava allora a Parma. E qui seppe che la pestilenza scoppiata ad Avignone aveva fatto due vittime che tanto avevano influito sulla sua vita: Laura e il cardinale Giovanni.
Sembrava deciso a stabilirsi a Parma, ma la sua irrequietudine non era ancora placata. Nel 1349 è a Padova, alla corte di Giacomo Novello da Carrara, preso ancora in un'attività diplomatica che lo fa vagare a Ferrare, a Mantova, a Verona, a Firenze, a Roma. A Firenze conosce un suo ammiratore, Giovanni Boccaccio. Poi torna a Parma e a Padova, dove giunge il Boccaccio a offrirgli, a nome della Signoria fiorentina, una cattedra nello Studio, l'università che si voleva far risorgere a Firenze. Nel 1351 è ancora ad Avignone. Ma l'ambiente gli è ormai ostile. Nel '53, egli lascia per sempre questa città, torna in Italia e, per alcuni anni, si ferma a Milano, presso i Visconti, che gli affidano importanti incarichi. Nel 1361 è ancora a Padova; l'anno successivo a Venezia, dove la Repubblica gli dona una bella casa sulla Riva degli Schiavoni. Vorrebbe e potrebbe fermarvisi, ma, a cianquatasette anni non ha ancora superato l'irrequietudine giovanile; incarichi diplomatici e politici lo spingono a varie riprese a Milano, a Pavia, a Padova. Infine, nel 1370, si ritira sui colli Euganei, ad Arquà, in una villetta, confortato dalla presenza della sua figlia naturale Francesca, del marito di lei e dei loro due figlioletti. Adesso, per la prima volta, il vecchio poeta gusta una vera vita familiare, amareggiata tuttavia dalla morte di uno dei nitpotini, a due anni, e interrotta da altri viaggi. Si spegne nella notte tra il 18 e il 19 luglio del 1374 e viene sepolto presso la sua casa ad Arquà.
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