L'opera che costituisce la sua gloria è il Canzoniere, ossia la raccolta delle sue poesie in volgare, alle quali, sebbene ostentasse di considerarle come cosucce da poco, dedicò per tutta la vita un paziente lavoro di revisione e di lima. Sono per lo più poesie d'amore dedicate a Laura, vivente e morta: una Laura che non è figura ideale e idelalizzata, ma donna reale, anche se irraggiungibile, e poi, dopo la morte, figura amica con cui il poeta si confida, sentendola sempre più sua e viva adesso che non è più in vita.
Per la prima volta, col Petrarca, appare una poesia che, senza tentare slanci mistici, esprime il segreto del cuore umano e si ispira ai più intimi moti, alle più varie reazioni di una sensibilità delicatissima. Questo clima poetico è tutto dominato da una pacata tristezza, da una continua ricerca di pace che non è inoperosità o tranquillo benessere, ma superamento di ogni inquietezza, sereno dominio dell'esistenza. E il tutto si esprime in un linguaggio splendido e terso, forse il più puro della nostra poesia. Quando però il poeta volle imitare Dante trasfigurando Laura, nei Trionfi, una sorta di quadri allegorici, fece opera piuttosto fredda, tutta affidata alla maestria del verso, indiscutibilmente meno sentita che non le altre.
L'influenza del Petrarca, a differenza di quella di Dante, fu enorme e non solo in Italia: tutto il Rinascimento ne fu soggetto e anche i secoli successivi ne risentirono. Ma il cosiddetto "petrarchismo" colse solo la splendida estriorità della poesia petrarchesca. Più importante fu il suo insegnamento nell'invitare la poesia successiva all'approfondimento psicologico e allo studio degli stati d'animo più segreti.
Fine
Torna all'inizio della storia.