Francesco Piccolo ha, in effetti, il dono di individuare quegli interstizi intimi di felicità: è un chirurgo di quella scanzonata indolenza odierna che faccio fatica a condividere, ma che percepisco molto bene. Peccato, mi dico, perché l'autore, quando vuole, sa usare una lingua incisiva per raccontare - penso in special modo alla storia della bottiglia di vino che gira Roma di casa in casa fino a tornare, o forse no, dal suo primo proprietario: per chi la conosce, un remake riuscitissimo (e non per forza più politically correct) della celeberrima Luisona del già troppo citato Stefano Benni.
Dico peccato, anche perché la sensazione, pagina dopo pagina, è che il contenuto sarebbe potuto essere diverso, o persino antitetico, senza mutare l'esito complessivo del libro; sento che saremmo potuti andare anche molto meno d'accordo, ma almeno ci avrei guadagnato una storia. Momenti di trascurabile felicità, nonostante avverta che l'io e il narratore non sono per forza la stessa persona, fa troppo pensare al parlante e poco alle sue vicende, sempre raccontate con quel tono impersonale che mette d'accordo tutti e convince quel poco che basta ad arrivare in fondo al libro e a trovarlo divertente. Però il risultato è che queste storie, in fondo, non toccano. Dico è vero, è così, rido di gusto, ma mi manca quel nuovo filo da tracciare.