Francesco Tadini e un grande romanzo di E.Tadini, pittore e scrittore: La tempesta

Creato il 10 dicembre 2011 da Francescotadini @francescotadini

Francesco Tadini, con un paio di pagine riportate qui, invita alla lettura di uno dei più intensi romanzi del padre: LA TEMPESTA di Emilio Tadini Ed. Einaudi, 1993

La stessa casa editrice, in presentazione al libro, ha scritto: “Una vicenda di lucida follia piena di suggestioni che ha consacrato Tadini ad altissimo livello in una tradizione che lo lega ai nomi di Pirandello e Volponi.”

da LA TEMPESTA di E Tadini pag.227

” – Da quella volta non ho più preso un taxi. Avevo troppa paura di vedermi davanti, al volante, quella specie di guida turistica con un occhio solo – lui e il suo tassametro che mandava scintille…Sempre a piedi, da allora.
Attraversavo tutta Milano. Da piazza Loreto, su per Corso Buenos Aires e corso Venezia, fino a San Babila, a piazza del Duomo.
Mi ricordo, in piazza del Duomo, sul tardi – che appena si spegnevano le ultime pubblicità luminose sul palazzo in faccia al Duomo, dai quattro angoli della piazza venivano fuori, saltellando, un po’ curvi, verso il centro della piazza e il monumento a Vittorio Emanuele, un mucchio din sgorbi che si trascinavano dietro i loro bagagli senza forma. E mi ricordo che tremavano e continuavano a guardarsi intorno proprio come fanno quelle bestie che si vedono nei documentari sull’Africa – che hanno aspettato il buio per andare a bere. Poi si sdraiavano sul basamento, si voltavano due o tre volte su un fianco, sull’altro, e poi si addormentavano, e via – monumentali, più o meno, anche loro…
Entravo in Galleria. Cose, cose normali, nelle vetrine, cose assurde. Illuminate senza ombre. Visti attraverso un telescopio, vestiti inglesi, libri, cappelli, pipe…
Vecchi cantanti, dopo aver calpestato i coglioni del toro nello stemma sul pavimento, un po’ più curvi, dopo quella cerimonia, sotto il peso della fortuna, andavano, trascinando i piedi, verso via Toammaso Grossi. Non facevano rumore. Come se avessero tutti le pantofole….”

Continua Tadini:

“…Mugolare, li si sentiva, dalle pieghe più profonde della sciarpona avvolta intorno al collo, sulla bocca. Canticchiavano. Coristi, baritoni di scarto…
Accennavano con la mano: “Via, via!”…Il fallimento cercavanao di mandare via? L’ultimo? Quella disinvoltura imbranata, da vocabolario dei sentimenti e delle chiacchere e dei gesti elementari, messa in scena regolarmente dai cori sullo sfondo del palcoscenico…Due passi avanti, uno indietro…
Fingevano, da soli, grossolane disperazioni di gruppo. Parole, da melodrammi, mi arrivavano, mal modulate. “Indarno…” “Ah, cielo!” Sillabe –ognuna come un rutto, come una bolla di gas tirata su dal fondo di vulcano dello stomaco.
Certe pance, avevano! Massicci – ingrossati da un maglione sull’altro…Si proteggevano la gola – la voce. Per qualche giorno finale – per il trionfo…E, arrivati in fondo, prima di uscire dalla Galleria…”Ah, l’eeestaaasiii…” La Scala teneva sbarrate le sue finestre, le sue porte…
In fondo alla Galleria, dalla parte di apiassa della Scala, sopra il èalazzo della Banca Commerciale, si alzava, come una cupola pesante, un cielo rosso cupo. Saranno stati riflettori, o forse colate di neon, qualche pubblicità…
Sembrava, Milano, vista così, in fondo al canocchiale della Galleria, sembrava una città da effetti speciali, tale e quale”.

e ancora, (dal romanzo LA TEMPESTA di Tadini) PAG.230:

“- C’era un night, in piazza Diaz…Dico c’era perché non sono sicuro che sia ancora aperto. In principio si chiamava “L’Isola delle quaglie”, ma poi gli avevano cambiato nome. Ci sono passato, qualche volta – per sedermi e riposare un po’ al caldo, per bere qualcosa…Una specie di piano bar…
C’era un italo-americano, seduto quasi sempre a un tavolino in fondo alla sala. Aveva una parrucca nera, un po’ troppo folta, e grosse mani da vecchio.
Mi chiamava paisà –che mi vengono i brividi ancora adesso. E mi avrà raccontato cento volte la sua storia di gangster sbarcato da ragazzino negli Stati Uniti, e poi, negli anni venti e trenta, arrivato “in alto, molto in alto” – “In cielo, paisà” – finché, dopo la guerra, era stato rispedito in Italia. Persona sgradita…
I gangsters più famosi, mi imitava.
Tutti li ho conosciuti, tutti! Trattavo da pari a pari con tutti pezzi più grossi. Sta a vedere…”
Si alzava in piedi, si metteva a passeggiare per la sala, faceva smorfie, gesti un po’ sconci, da macchiettaccia napoletana, inverosimili…
Mi si era affezionato. Tirava fuori di tasca ritagli di giornali vecchi. Voleva che io leggessi…
Leggi a voce alta – non ho gli occhiali, fa buio…Leggi dove dice…”
Ma se ne dimenticava subito. Raccontava altre storie, si perdeva e riperdeva, scuoteva la testa…
Tutta l’America, ho girato. Tenevo sveglie le ragazze, -perché ero bello, bellissimo, un Apollo – e mettevo a dormire i miei clienti. Ma –oh! –il sonno eterno! Mi segui?”
Ridacchiava. Stringeva le labbra come per dare un bacio ai suoi ricordi – e intanto faceva quel gesto con l’indice teso e il pollice alzato: “Panf, panf!” Poi alzava la manona a dita unite…”Stu cazzo!”
Divagava…
Potrei insegnartene, io, di cose, Potrei insegnarti a credere, a non credere. Potrei addirittura farti vedere come si fa a tirare la coda la diavolo – che Dio volti la testa dall’altra parte e mi perdoni!…”

*
Francesco Tadini ringrazia per la – credo piacevole – lettura..


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