LA LUNGA NOTTE, di Emilio Tadini (Rizzoli, 1987 – Einaudi, 2010) >seguono presentazione 1987 di Domenico Porzio per l’edizione Rizzoli e alcune pagine ora on line sul sito /archivio di Francesco Tadini. >>
Domenico Porzio, per La lunga notte di Tadini – edizione Rizzoli: Lo strepitoso «ritratto di Comandante » che Emilio Tadini, pittore e narratore qui dipinge ed anima con felici, epiche e grottesche cadenze céliniane, ci viene consegnato da una mano disincantata. Esorcizzato, infatti, da una violenta (e, per il lettore, trascinante) coloritura comica, i l suo polveroso e dannunziano Gerarca, già onnipotente squadrista e «Marcia su Roma», già meharista in Africa e perfino debitamente mutilato, non è che un patetico fantasma nel quale si imbatte l’umorosa furia iconoclasta di Tadini, ancora una volta sotto le spoglie di un complessato giornalista ora alla ricerca ansiosa di uno «scoop». Il romanzesco corso del celebrato destino littorio ci viene riferito per una interposta voce: è Sibilla, fedele e teatrante vestale dell’eroe appena deceduto (nella villa-tempio sul lago di Como se ne stanno allestendo i funerali), a ricostruire, per l’ignaro e malcapitato giornalista, i fasti e le amorose imprese di quella vita inimitabile. L’intelligenza narrativa di Tadini, educata dalla pittura e dalla passione per il cinema «all’alfabeto delle pose e alle sillabe dei gesti», racconta, collocandola al centro di una impeccabile scenografia floreal-lacustre, una eroina la quale evoca un eroe, una storia minore in una storia maggiore, dove, col progressivo sommarsi ed equivalersi del tempo vissuto, anche l’autore viene risucchiato dalla magia del racconto, e si ritrova narrato.
Rauca, omerica voce per una squallida Odissea, Sibilla è lo specchio inconscio di un mondo che tragicamente affonda nell’inganno e nella parodia di se stesso, seminando con la guerra lacrime che non lo riscattano. Tadini , con la sicurezza espressiva, ora epica ora lirica, che già innervava il giovanile e ancor oggi memorabile Le armi l’amore (lo pubblicai più di vent’anni fa in questa stessa collana di Rizzoli), confessa qui una sua, e nostra, discesa agl’inferi: ma è, con evidenza, un inferno comico quello che egli visita con vigile e sarcastica attenzione; perché lo scrittore (e già lo annuncia l’esilarante prologo sul momento epocale dell’arrivo del «computer» nelle redazioni dei giornali sa che tutto quanto riguarda l’uomo è patetico; ed è, pertanto, fonte di umorismo.
Domenico Porzio
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LA LUNGA NOTTE, di Emilio Tadini
(Rizzoli, 1987 – Einaudi, 2010) > pagine da oggi on line nell’archivio di Francesco Tadini:
(…)
“Andavano” le cose, al giornale. Di moda, andavano
di moda, una via l’altra. I comportamenti, andavano. Le
idee — si fa per dire. Un andare continuo. E la notizia, in
genere, anticipando il fatto lo escludeva.
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Vissuto con provocatoria intensità dai praticanti più giovani,
e dai giornalisti dei culturali con benevola accondiscendenza,
c’era stato il momento della filosofia. «Cosa? Mi porti
un’intervista a Gaber, con Popper a Milano?» Si smantellavano
in pochi secondi pezzi di quattro colonne. Cambiavano
di tono, di abito, di espressione, gli intervistatori. «Professore!
» «Maestro!» Andava, andava, la filosofia. Ritorno alla
Sapienza. Titoli con Spinoza in prima pagina. Duns Scoto e
noi. E poi, più indietro. Più indietro ancora! Eccoli, i presocratici!
Portati via di peso dal Polo Nord delle edizioni critiche,
li avevano sbattuti di colpo, i presocratici, ai Tropici della
Fama. Su Lacrime e canzoni, li citavano, i frammenti. Scivolavano,
sulla patinata, i sapienti dalle frasi smozzicate come
statue di scavo. Catapultati nel supplemento letterario,
i presocratici, a dare i numeri del lotto… Dandosi, il dio si
nega. Su tre colonne! Un titolo! Con sotto le due righe che
mediavano: «Un insegnamento attuale nelle folgoranti parole
della sapienza più antica».
Poi c’era stato il momento della castità. Fermi tutti! Roba
da vergognarsi come un ladro, per chi non era informato.
«Astenersi dal copulare fa bene ai tessuti.» «Un toccasana
per i reumatismi.» Celebrità giuravano: «Io? Mai scopato,
figuriamoci!». Premi Nobel. Che fanno — o non fanno —
quasi tutto. C’è un premio Nobel per qualsiasi causa. E se
non lo fa un premio Nobel, vuoi farlo tu, povero untorello?
Non si scopa! L’energia, sembrava, si riversava altrove.
Sport, cultura. Parroci ed estremisti concordavano.
E poi, l’irrazionale! Aveva resistito per parecchi numeri,
l’irrazionale. Piaceva. Solleticava il sentimento. Come
quelle vecchie canzoni — romantiche, poetiche… Gli eterni
successi, già, ai primi posti fra le canzoni di tutti i tempi.
Mugolii, si ostentavano. Borborigmi. Quanto alla ragione…
Finita! Al Viale del Tramonto, decrepita diva, con le sue
manie, le sue ferocie… La ragione? Epoche intere ne avevano
fatto a meno. Popolazioni sanissime, con medie di sta-
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tura, ciononostante, altissime, e dentature d’acciaio, e prodigiose
tradizioni di scultura. Soltanto intestinali, le circonvoluzioni.
Che belle cerimonie, nel profondo, che fuochi,
nel buio, di artificio! Torme, passavano, a notte, su per le
scale, nei corridoi, scampanellando, torme di vacche nere
nere, di cani senza la testa…
E subito dopo, a ruota, era venuta nel suo fosco splendore
la magia. «Prendete gli Esquimesi.» «E il terzo mondo?
E il quarto?» Ossa, si consumavano, a camionate, di
galli neri, di testine e di ali di pipistrello. «Confezioni da
dodici pezzi! Al risparmio! Per comunità, per collegi!» Si
accettavano certi annunci, alle Inserzioni Pubblicitarie… E
certi necrologi, si accettavano… La croce capovolta… «Rapito
nella luce di Satana…» Con il segretario del cardinale,
al telefono: «Protesto!». E Satana, probabilmente, che faceva
cadere la linea… E le lettere al direttore? Adolescenti al
loro primo filtro… «Non deperisce ancora. Frequenta sempre
la mia rivale. Devo aumentare la dose?» Vodoo, si celebravano,
in terza pagina.
Dalle salette d’aspetto affacciandosi ai corridoi, al giornale,
maghi e guaritori con occhiaie da un quintale la coppia
protendevano le sgangherate mani taumaturgiche — con
i segni, sotto le unghie, del loro commercio con l’oscuro.
Riti si celebravano, su in amministrazione, della fecondità.
La morte, poi, era andata. Così, en passant. La tanatologia.
Si impara, negli Stati, come lo judo. La teoria dei brividi,
sembra che si imparasse, negli Stati, la meccanica dei denti
che battono, quella specie di tip-tap. E come il gelato si squagli
tutto d’un colpo — e l’acustica, sembra che ti insegnassero,
negli Stati, di quei gridolini che vanno e vengono sempre
più in fretta su e giù per quei dieci centimetri tremendi
fra bocca e orecchio dentro la tua testa rimbombante…
Ma grazie al cielo la tanatologia non ci aveva terrorizzato
per molto tempo. Poi era andata la seduzione. Sembrava,
all’improvviso, che tutti si facessero in quattro per
sedurre. Certi orrendi, che praticavano con efficienza lo stu-
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pro, si sentivano, adesso, seduttori, e dunque interpreti dei
tempi. Macellai seducevano il vitello.
Ah, quell’inchiesta sulla donna! Che cosa vi seduce, che cosa
vi attira in una donna? La coscia, il sottocoscia, il seno, il
cuore… Poi le percentuali. Seno trenta per cento degli italiani,
cuore dodici… Che leggendo la nota alla fine dell’articolo
potevi finalmente sapere se eri un porco o un poeta.
Con il famoso pittore… Perfetto, signorile. L’aveva imbroccata
da dio, all’inizio. «Io ritengo che in ogni donna si
mostri un’armonia inscindibile… Un tutto, un’unità… E
questo che mi seduce, questa cosa indefinibile… Ridurla,
frantumarla, umiliarla a cosa, a oggetto…» Perfetto! Che
uno diceva: Accidenti! Questo sì!… Però alla fine era saltato
in aria, l’illustre. Sul culo! Ma letteralmente. Non ce l’aveva
fatta più, si vedeva. Un numero incredibile! «Con una
eccezione!» Lo si sentiva a leggerlo, che in quel punto si era
esaltato, l’artista, che era proprio andato in cimbali. Dovevano
esserglisi gonfiate le vene sul collo, lo si sentiva. «Con
l’eccezione del culo! Che razza di donna è, se ha un brutto
culo?» E lì era rimasto, sulla pagina del settimanale, lì, ingrippato,
a farneticare di culi… E bisogna sapere che le pubblicavano,
le inchieste ai famosi — al colto, all’artista — a
beneficio delle vaste masse, che imparassero, finalmente, disgraziati,
come si pensa, e come si esprime in bella scrittura
ciò che si è pensato — i moti, per dire, dell’animo…
Tutto era “andato”, tutto, fra noi e i settimanali. Il fatto
è che l i avevamo alle costole, i settimanali. Non ci davano
tregua. Il Bouvard e il Pécouchet, soprattutto, ci fregavano
sotto il naso l’ultima novità in fatto di cultura. E, gonfi, obesi
di pubblicità, si esaurivano in edicola. I giornalisti dei settimanali
ci snobbavano, noi dei quotidiani. Come gli aviatori
i fanti.
* * *
«Fantastico!» diceva il direttore, quando parlava del computer.
«Semplicemente fantastico!» E subito aggiungeva:
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«Questa macchina ci pone, badate bene, tutta una serie di
problemi».
«Ma è l’uomo, comunque,» ci consolava immancabilmente
«è l’uomo che la guida. Senza l’uomo, il computer
è un ammasso di ferraglie. Non potrà mai, una macchina,
arrivare più in alto dell’uomo. E il senso etico? Dove me
10 mettete, il senso etico?»
Con risposte, non pronunciate, orrende — puro Macbeth
da osteria. Ma era stato pensato con tanta forza, il non
detto, che lo si sentiva bello chiaro, amplificato. Persino il
direttore… Impallidiva!
Ci insisteva, sull’etico, comunque.
«Non possiamo definirla immorale. La macchina, piuttosto,
è amorale. E fuori del problema, voglio dire. Non ha
gustato i frutti dell’albero del bene e del male. Al centro è
ancora l’uomo!»
Se ne vantava, è chiaro. Uomo, lui, in prima persona,
in prima linea.
In ogni caso, sembrava più tranquillo, il direttore, adesso,
con quelle tonnellate di progresso amorale sopra la testa. E
aveva incominciato a esigere dal computer scenari, previsioni
per il futuro del giornale.
Piccolo, grande formato? Il doppio, grande il doppio?
Un giornalone immenso? O un bel tabloid — mezzo tabloid,
minuscolo? Tutta cultura, in blocco? Tutto sport? Giardinaggio?
Cucina? Quanto all’etica, ci avrebbe pensato lui,
11 direttore in persona. Un pensierino al giorno… Lo firmo?
Non lo firmo? Pseudonimo? Ma: Sancio, o Don Chisciotte?
E fare — il colmo, il massimo! — un giornalino da inserire
nel giornale? Il regesto, un bel riassuntino di tutto
il numero. Da leggere in cinque minuti e sapere proprio
tutto! La scialuppa, insomma, di salvataggio — mentre
il giornale, grande, inutile, va a picco, inclinato nella
tasca…
Questa era la sua ossessione, del signor direttore. Il gadget,
il regalino. E qui tutta la sua ansia culturale aveva l’a-
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ria , a dire i l vero, di andare un po’ a puttane. Lo esasperavano,
al solito, i settimanali. Era il suo chiodo fisso, il suo
cruccio. «Ma, dico, vi rendete conto?» Trentamila copie in
più, vendeva, il Bouvard con la penna a sfera. Quarantamila
con l’anellino per il naso, il Pécouchet. Cinquantamila con
il preservativo. «E se provassimo con le perline d i vetro? O
forse la cotonina…
«Che il futuro sia nei regalini allegati al periodico, al quotidiano,
alla stampa? Voglio dire, non è cosa da poco. Fate
uno sforzo d i interpretazione.» E noi a corrugare la fronte.
«Che il futuro sia nell’in più, nel superfluo? Cercate i l superfluo
e i l necessario vi sarà dato . . . Una specie d i patto sociale
fondato sul frivolo . . . Una fatuità di massa — mi capite?
Così com’era un tempo per le classi dominanti , che sulla
frivolità hanno fondato sistemi solidissimi, filosofie, cattedrali. . .
Del resto, chi ci impedirà di contrabbandare con
questo mezzo la cultura più nobile? Ci verranno dietro —
e noi l i porteremo sempre più in alto!»
Veri e propri quaresimali, le sue chiacchierate a ruota
libera, durante le sedute d i redazione.
Ai libri — meditava a voce alta, i l direttore, a nostra
edificazione — ai libri si sarebbe esteso i l sistema del regalino.
«Non vi scandalizzate! Non storcete i l naso! Lo so, voi,
a toccarvi il libro…»
A sentire il profumo adorato del doppio senso, si risvegliava,
la sua torpida platea. Lui alzava la voce:
«No, pensateci! I l fine, i n questo caso, giustifica ogni
mezzo. Sarebbe una vera boccata d’ossigeno, per i l nostro
editore. Per l’editoria in genere. Di nuovo in cielo, la Galassia
Gutemberg!». Che già vedeva il titolo.
E qui , le prime volte, ci si scatenava. Il gioco degli accoppiamenti!
Splendido! Un brio , nella riunione! Kant in
un cofanetto: le Critiche più un metro e un orologio… Pirandello
e una bussola… Sade con un vibratore Ma andiamo!
Meglio un messale! Sì, sì: Sade e un messale! E
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Freud? Una pila subacquea! E un cinico, senza entusiasmo:
«Heidegger, vitamine. Cos’è, la A o la C, quella della memoria?
». Pochi sorrisi… «Contro l’oblio , no? Contro l’oblio
dell’essere!» Si spegnevano, quei pochi. Poi i l gioco ripartiva.
«E con Shakespeare, che cosa ci mettiamo? E con Dante?
» Un tumulto . «Parlate uno per volta!» «Prendi nota!»
«Ragazzi!» I l direttore scuoteva la testa, e sorrideva. «Che
ragazzi!»
* * *
E io? In pompa magna io entravo nei deserti, al quinto,
dello Spirito Attuato . Li conoscevo bene. Sapevo a memoria
la strada — tutti i percorsi. Conoscevo le tastiere, sapevo
come accarezzarle… Al mio arrivo , gli orientalisti inchinavano
— e via , giù al bar, di corsa! Facevo una certa figura,
lì dentro, fra segreti svelati e da svelare.
Siamo sinceri, un po’ di odore di zolfo lo mandavano
anche i miei tweeds. Non ero, io, il mago della cronaca? Non
avevano visto, i miei occhi quasi ciechi, cose agli altri invisibili?
Era successo quando avevo «assicurato alla giustizia»
quel critico d’arte che si era fatto a pezzi i l suo pittore. E
non era stata una stroncatura metaforica. Con i l coltello da
cucina, si era dato da fare. Be’, io ero inciampato nella verità.
Capita, a chi va a tentoni . Da quel momento… Il successo,
la gloria! Trovati , proprio, nell’uovo d i Pasqua! «Il
nostro cronista…»
A l giornale l’avevano capito subito, i colleghi. Il caso,
solo un caso! Io che riesco a pensare, a risolvere problemi?
Io che vedo, che guardo, che distinguo? Figurarsi! No, il
commento era stato: «Cazzo, che colpo di culo!».
Avrei dovuto offendermi? Per carità! Ma se era i l riconoscimento
più clamoroso, l ‘Ordine della Giarrettiera, il
Collare dell’Annunziata! Un bel colpo di culo? Era i l non
plus ultra, il dio nascosto che si manifestava! Cose del genere
toccavano ai predestinati. …. (…)
Emilio Tadini
Francesco Tadini, archivio Tadini, opera di Emilio Tadini, Disordine in un corpo classico, 1981, 200x150
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Francesco Tadini, per tutte le pubblicazioni è debitore del corposo e incessante lavoro di Melina Scalise (LINK al Blog – giornalista e odierno presidente della associazione culturale non profit di Milano Spazio Tadini, dove si svolgono mostre, manifestazioni d’arte, convegni e presentazioni editoriali) Tadini raccomanda una visita anche a questo LINK, blog di Spazio Tadini, per il calendario degli appuntamenti.
Francesco Tadini, gallerista, ha fondato Spazio Tadini
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Francesco Tadini suggerisce un click a:
brano di Arturo Carlo Quintavalle – dal grande saggio dedicato a Tadini nel 1994 per i tipi di Fabbri – che concerne L’Opera – romanzo di Tadini del 1980 uscito con Einaudi. > LINK
e a questo ultimo: http://community.metrocult.it/profile/FrancescoTadini
Francesco Tadini ringrazia sempre e calorosamente i lettori.