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Francesco Tadini: Milano, Milano e ancora Milano, in tre pagine memorabili de “La tempesta” di Emilio Tadini

Creato il 27 agosto 2011 da Francescotadini @francescotadini

Francesco Tadini cura l'archivio TadiniFrancesco Tadini, che si sente “naufrago” come il protagonista del romanzo “La tempesta” di suo padre, invita calorosamente a leggerlo chi non l’avesse ancora fatto!.. Con tre, intense, pagine…

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LA TEMPESTA di Emilio Tadini Ed. Einaudi, 1993

Einaudi, la potete leggere per intero sul sito (http://www.einaudi.it/libri/libro/emilio-tadini/la-tempesta/978880613804), ne fa questa presentazione:

“Prospero – è il nome shakespeariano del protagonista del romanzo di Tadini – è un commerciante di panni usati che vive alla periferia di Milano. La moglie è scappata in India per seguire un santone. La figlia, eroinomane, è in giro per il mondo in un itinerario autodistruttivo giunto all’ultimo stadio. Reso folle da questi rovesci esistenziali, Prospero ha trasformato la casa in un sacrario, un’isola fuori dal mondo dove accatasta miseri oggetti quotidiani (…) Tutte tracce di destini perduti e senza senso che lui ricostruisce come in una realtà alternativa, estetizzante, modellizzata a suo uso e consumo, fra memoria, sogno e delirio. “La tempesta” è un’opera di grande forza spettacolare e di raffinate meditazioni…”
Franco Marcoaldi, nel “coccodrillo” che scrisse su La Repubblica per mio padre, ne parlò così: “… Chi infatti vede tra le maglie allentate del reale, il nulla, l’abisso, è ovviamente terrorizzato, ma può anche giovarsi del senso di assoluta libertà che ne discende. È quanto accade a Prospero, protagonista di uno dei suoi romanzi più belli (La tempesta, Einaudi), che di fronte alle macerie cui è ridotta la sua esistenza, appronta un progetto evanescente e furioso, una delirante mitologia da mercato delle pulci, uno sconsiderato mishmash mitico-simbolico teso a rianimare ogni oggetto, a riaccendere ogni ricordo e a connetterlo con quelli che giacciono disanimati al suo fianco. Nella sua sconclusionatezza gigionesca, Prospero è il perfetto ideal-tipo dell’uomo contemporaneo, costretto dall’impossibilità di aggrapparsi a qualunque promessa trascendente, ad assumere sulle proprie spalle il peso del mondo. E dunque a ideare un nuovo progetto inteso come interminabile bricolage, utilizzando al meglio l’armamentario di rovine che ci circonda…”
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Da LA TEMPESTA, E. Tadini , pag. 61
Forse stavo perdendo anch’io qualche rotella. Mi sentivo un po’ come se stessi facendo le pratiche per diventare cittadino onorario di quel regno agli antipodi. E tutta quella cartapesta incominciava quasi a sembrarmi marmo puro. Ma bisogna anche cercare di capirmi.
Lì, sbalestrato in quella casa…Colpa mia, non discuto, colpa della mia vanità professionale – e delle mie fisime. Ma intanto, adesso, ero lì, prigioniero, inchiodato a quell’incubo.
Da una parte avevo un matto, il re di un’isola emersa in un brutto sogno, il re di un’isola proprio disastrata, messa su, a quanto mi sembrava di capire, con un po’ di frantumi presi da varie spazzature e tenuta insieme con qualche pezzo di filo di ferro e con un progetto tanto evanescente quanto furioso.
E, dall’altra parte, avevo un selvaggio che sembrava fosse appena venuto fuori dagli oscuri pasticci ribollenti di qualche foresta vergine – un mostro nero e ringhiante come la notte, con una maschera al posto della testa e in mano un fucile con cui aveva già cercato di ammazzare un poliziotto riuscendo comunque a ferirlo.
No, dicevo, in quelle condizioni non è poi tanto strano, mi sembra, se mi lasciavo un po’ andare, se cercavo, in sostanza, di mimetizzarmi, di confondermi con l’ambiente – come un camaleonte spaventato.
Di là dai vetri, intorno – in un paesaggio lacunoso, nel tremolare acqueo dell’asfalto –Milano era vuota, svuotata. E non sembrava fosse soltanto per il ferragosto. La tangenziale sembrava un anello di Saturno nelle fotografie prese con il telescopio. E la strada, lì sotto, era deserta, come se tutti e tutto si fossero messi al riparo per paura di quella luce da esplosione interminabile.
Nascosti, il mio commissario e i suoi poliziotti.
Non c’era neanche un’ombra, da vedere.
Così, noi – in quella casa, su quell’isola – eravamo più o meno soli al mondo.
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Da LA TEMPESTA, E. Tadini pag. 216
- Facevo tutta via Rombon, poi attraversavo di corsa il tunnel sotto la ferrovia tenendomi il fazzoletto contro la faccia per non sentire quell’odore tremendo di ammoniaca e di acido solforico, per non respirarlo.
A mettere insieme tutte le pisciate schizzate sui muri squamosi, tutto il fumo soffiato dai tubi di scappamento in quei trenta metri di sottopassaggio…Che razza di Acheronte, ne sarebbe venuto fuori!
Fuori, cani randagi. Sembrava che facessero la guardia, di lì dal sottopassaggio – a qualche confine. A bocca spalancata, le costole in vista, languidi e un po’ curvi anche se ce la mettevano tutta per allungare il collo e alzare la testa…”
Era incominciata così, la Mortale Commedia di quelle sue passeggiate, di Prospero, la notte, attraverso Milano. Certo, topograficamente…Da poterlo seguire passo per passo, il suo percorso, su una cartina della città. Nord-est, zona undici…
Dunque, vediamo…Il sottopassaggio della ferrovia non può che essere quello vicino alla stazione di Lambrate…Eccolo qui, che dà su via Porpora, con in fondo piazza Loreto…Esatto!
Già: “Esatto!” – come oramai dicono tutti, al giornale e fuori, almeno un milione di volte al giorno. Si vede che le vaste masse non fanno più riferimento all’etico, come quando dicevano: “Giusto!”, né al metafisico, come quando dicevano: “Certo!”, né all’estetico, come quando dicevano: “Perfetto!”. Si vede che adesso le vaste masse fanno riferimento allo scientifico. Poche storie, questo è il trionfo, parlato, della tecnica. E chi sono io per sottrarmi alla lingua comune, per non bere a quella sorgente? E, allora…
Esatto!
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Da LA TEMPESTA, E. Tadini pag.218
Esatto si, ma tutto, anche, stravolto, nella calata di Prospero a Milano. Al punto che quella Milano notturna che lui mi stava facendo vedere sembrava dipinta sullo sfondo di qualche cupo cielo infernale. Un po’ tirato via, d’accordo. Da fondale di padiglione al Festival di Casa del Diavolo. Ma, tutto sommato, la sua sporca figura la faceva, quel cielo – tutto quanto il paesaggio…
Lui cantava. Canto primo….I fiori, figurarsi!…
- Guardavo i fiori nei vasi di terracotta sui terrazzini delle case popolari, in via Porpora: La luce dei fanali li tingeva, quei fiori, di grigio – in tutti i toni. Grigio freddo, grigio caldo, grigio niente…E poi, certi giardinetti, neri, di là dalle sbarre di ferro…
Le donne, all’angolo di via Ricordi, portavano minigonne cortissime. Sul muro davanti al quale si esibivano, qualcuno aveva scritto con lo spray bianco: “No alla mercificazione del sesso”. Quelli del Leoncavallo, probabilmente, gli autonomi, gli anarchici…
Negli ultimi tempi, intorno a via Porpora, verso piazza Aspromonte, erano arrivate donne sudamericane, africane. Dicevano qualcosa a bassa voce, quando passavo. Si sentiva l’accento diverso – voci di gola…Dai giardinetti in mezzo alla piazza sgorgava acqua nera, dalla fontanella, pesante…
In piazza Loreto, il camioncino – “Snack car” – era come un piccolo teatro. Davanti, qualche spettatore in piedi…La porchetta, sotto la luce dei fari, sembrava fatta di rame. Tutto un colore esagerato, da manifesto di pubblicità. I panini nel cesto, l’anguria, le lattine di Coca-Cola…
Parcheggiate lungo il marciapiede, tre o quattro automobili rumoreggiavano appena, con il motore al minimo. Grosse auto di lusso – Porsche, Mercedes, fuoristrada…Perfino una Testarossa, qualche volta. E moto enormi, appena inclinate, tenute su dal cavalletto…I loro proprietari erano quasi tutti molto giovani.
Spacciatori, ruffiani…Ogni tanto, salivano sull’auto sbattendo forte la portiera, poi partivano sgommando, con il motore tirato su, di colpo, al massimo dei giri…
Stavano via poco. Tornati, parcheggiavano allo stesso posto. Mentre ancora stavano scendendo, tenendosi alla portiera, alzavano la testa e ordinavano un altro panino, un’altra birra.
Mangiavano, bevevano, e ogni tanto si mettevano a ridere. Certe volte sembrava che volessero sfidare qualcuno. Altre volte sembrava che, di colpo, qualche parte del loro corpo –la pancia, il fegato, il cuore- gli facesse un male tremendo e allora ridessero per far vedere che non avevano nessuna paura. Mi guardavano passare…
Da qualche auto veniva fuori il suono dello stereo, ma a tutto volume. Così alto che i colpi delle percussioni li si sentiva ancora in corso Buenos Aires, fino in piazza Lima addirittura…
E. Tadini
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Francesco Tadini, congedandosi e ringraziandovi per la lettura, vi consiglia Friplot, sito di curiosi “enigmi d’estate”. Ecco l’ultimo, attualmente irrisolto: http://friplot.wordpress.com/2011/08/26/francesco-tadini-chiusi-in-una-cornice-enigmi-dagosto-dai-viaggi-e-dalle-passioni-di-tadini/

Francesco Tadini: Milano, Milano e ancora Milano, in tre pagine memorabili de “La tempesta” di Emilio Tadini


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