Frank, un film di Lenny Abrahamson. Con Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Michael Fassbender, Jon Ronson, Peter Straughan, Scott McNairy.
Irlanda: un ragazzo viene ingaggiato come tastierista da una rockband assai indie capitanata da un tizio di nome Frank che se ne va in giro con una testa di cartapesta. Un film non ovvio sul mistero del talento, con un Fassbender bravo anche quando non mostra la faccia (cioè per il 90% del film). Da vedere. Voto 8
Detesto i film (e in genere tutte le narrazioni) di maledettismi rock, di musiche sporche e cattive e spesso brutte o brutali, con tanto di personaggi luridi autodistruttivi e distruttivi verso chi ha la sventura di stargli accanto. Sarà che il binomio genio+sregolatezza m’è sempre parso una gran stupidata, come se le belle cose non nascessero anche (soprattutto?) dall’applicazione, dallo studio, dal metodo, dalla fatica, altro che stordimenti e drogamenti. Per cui mi sono accostato a Frank non proprio bendisposto dopo aver letto e visto sul pressbook di come raccontasse di una smandrappata ma talentuosa band avente come leader un tizio con addosso una testa finta di cartapesta. Già mi preparavo stoicamente al peggio, alle solite pere in sozzi hotel e cessi ancora più sozzi, e performance tiratissime live, tutto un picchiare su batterie e bassi mentre il capello scarmigliato volteggia e l’occhio strafatto fissa nel vuoto. Insomma quelle cose lì. Invece mi son dovuto ricredere, e meno male. Frank non solo tenta e trova piste narrative diverse dai soliti sdatatissimi cliché del genere, e se li ripropone lo fa con una energia nuova, ma è un gran bel film, uno dei migliori di questi ultimi mesi, che sarebbe il caso di acchiappare al volo nei non molti cinema in cui è stato distribuito. Oltretutto benissimo sceneggiato e scritto, con dialoghi e un linguaggio sì assai rock, ma affilati, taglienti, con scambi ping-pong tesi e veloci come in una sophisticated comedy d’altri tempi, anche se in versione brutalista. Meravigliose sono soprattuttoi le invenzioni-improvvisazioni verbali di Frank su musiche venute fuori lì per lì, sgorgate di colpo come da una tubatura picconata. Che davvero ti vien da pensare che quel Frank sia fatto di una materia speciale, e che lo sia chi quei testi glieli ha scritti e messi in bocca. Perché poi questo film, senza menarla troppo sui massimi sistemi né tantomeno tirare in ballo categorie antipatiche e maiuscolate e tronfie come Arte e Creatività, ci mette davanti al mistero bello e glorioso per cui uno è bravo e un altro no, per cui quello che è bravo sa inventarti e cavar fuori cose che ad altri saranno sempre, e inesorabilmente, precluse. E Frank lo fa al minimo tasso possibile di retorica, visto il frusto argomento, e con una freschezza e una certa sprezzatura dandistica rare. Siamo in Irlanda. Un bravo ragazzo dai rossi capelli di nome Jon (è il Domhnall Gleeson visto in Questione di tempo di Richard Curtis e che vedremo presto in Unbroken di Angelina Jolie), malato di musica, aspirante songwriter, si ritrova ingaggiato quasi senza rendersene conto come tastierista in una rockband dal nome impossibile di Soronprfbs. Mollerà casa e lavoro per diventare un vero rocker. Anche se dovrà fare i conti con compagni tutti alquanto complicati, a partire dalla cantante Clara, la vestale del rigorismo musicale, delle escelte assai ardue e minoritarie del gruppo, la quale accoglie malissimo il nuovo arrivato trattandolo come un intruso e uno stalentato (cosa vera, peraltro: i pezzi composti da Jon sono atroci). Ma a dominare su tutti è il leader dei Soronprfbs, il mitologico Frank, uomo occultato dietro la sua testa di cartapesta che non si toglie mai. Un freak, ma di vertiginosa capacità inventiva. Tant’è che intorno a lui si è creata una vera devozione, un culto di cui la massima officiante è Clara. Incredibilmente, il genio Frank accetterà assai volentieri la presenza di Jon, ne diventerà il santo protettore. Fino a una partecipazione al South by Southwest Festival di Austin, Texas (festival di gruppi molto indie che ha anche una sezione di cinema altrettanto indie sempre più importante) che dovrebbe lanciarli in alto e si rivelerà invece devastante. Tutti i tic e le paturnie e i drammi personal-professionali di una rockband prigioniera dei propri fantasmi ci sfilano davanti agli occhi, ma a ipnotizzarci è l’uomo senza volto, è Frank. Che, quando sarà finalmente costretto a togliersi il capoccione, rivelerà avere i tratti di Michael Fassbender. Il quale nel film riesce a essere bravissimo e, ebbene sì, carismatico (per lui val la pena spenderla, questa parola spesso applicata perlopiù a gentucola) perfino in absentia, quando non appare o quando appare mascherato, il che è il massimo per un attore. Prestazione per la quale dovrebbero dargli l’Oscar subito (ma non succederà, purtroppo, perché questo è un film troppo piccolo e fragile a causa della sua indipendenza produttiva per veicolare MF fino alla festa dell’Academy). Ci informano le note di produzione che il protagonista è ispirato alla figura di Chris Sievey, comico e musicista che aveva creato per le sue perfomance un alter ego chiamato Frank Suidebottom dalla testa finta. Ma nel film ci sarebbero anche echi di altre vite e altri personaggi come Daniel Johnston e Captain Beefheart. Battuta memorabile della madre di Frank quando le choiedono se lui sia diventato quel grande musicista che è dopo la crisi di follia che gli ha spappolato la mente: “No, era già bravo prima di impazzire, lo è sempre stato. E dopo lo è stato nonostante la pazzia”. Ben detto, signora. Con buona poace di tutti i veteroromantici ancora aggrappati al binomio genio+sregolatezza.