Se ci saranno variazioni, saranno solo quelle destinate a fare di Pd e Pdl i soli arbitri della situazione, a ricattare le formazioni minori, a dare una sostanza puramente elettorale al voto utile, visto che quella politica si è dissolta ormai da tempo. Forse, anzi certamente, la reintroduzione delle preferenze, la possibilità di votare personaggi nuovi rispetto ai quelli di lungo e lunghissimo corso, darebbe slancio elettorale al partito, ma questo ormai importa pochissimo: ciò che pesa è la salvezza delle poltrone e l’arruolamento di una truppa parlamentare che non dia problemi, che voti tutto ciò che è necessario non per il Paese, ma per l’oligarchia dominante. Che ubbidisca a capitani timorosi che prendono ordini dai colonnelli nazionali a loro volta subordinati a poteri interni ed esterni non eletti da nessuno. Mica mettersi in testa che in Parlamento si possa fare politica.
Del resto lo stesso argomento che dalla Finocchiaro a Violante viene usato per confutare il valore delle preferenze è di una tale vuotaggine e banalità che parla da solo: ci sarebbero troppe spese elettorali e dunque differenze tra i candidati e pericoli di infiltrazioni indesiderate. Come se il problema degli alti costi non fosse superabile con qualche semplice leggina e come se non sapessimo che sono proprio gli apparati e i padroni delle tessere ad essere infiltrati. Non solo il danno, ma anche la beffa di essere presi per idioti destinati a non mangiare mai la foglia e ad essere presi eternamente per il naso.
Certo si dice poi che il problema della preferenza può essere superato attraverso i collegi uninominali. Ma si tratta di una cosa diversa: la scelta è tra candidati nominati di diversi partiti, non tra diversi uomini dello stesso partito. Dove non esiste una forte tradizione di selezione delle candidature all’interno delle forze politiche prima dell’ appuntamento delle urne, attraverso primarie o altri sistemi, negare le preferenze non è affatto una buona idea perché mentre non elimina alcun difetto o infiltrazione , rende più ideologico il voto e comunque scarica sui partiti la necessità di raccolta dei fondi per la battaglia elettorale, con conseguenze certamente più inquietanti. E poi chi dice che solo con i collegi uninominali i candidati debbano essere espressione del territorio? Si gioca sull’equivoco.
Ma ormai è così: in una democrazia in declino e a tratti apertamente negata, tutti i partiti consolidati e non solo il Pd -Frankestein, assemblato con membra e anime diverse, hanno davvero paura di un solo elemento: i loro elettori.