Frankenstein, incubo o realtà?

Creato il 15 gennaio 2012 da Filippovoyager

La penna di Mary Shelley ha costellato la galassia della letteratura inglese con un'opera che è stata ispirazione, più o meno volontaria, di film, libri e racconti incentrati su oscure e lugubri vicende, che hanno generato il genere della Fantascienza. Ha così stimolato la fantasia di plurimi scrittori che si sono dediti allo sviluppo di storie del terrore. Ma se per molti di essi le vicende di cui hanno raccontato, narravano di fantasie e fantasticherie, forse per altri sono sussistiti argomenti e vicende realmente avvenute che hanno costituito la spaventosa struttura dei libri.
Come ben sappiamo, Mary era moglie del poeta inglese Percy Shelley. A Ginevra, ove vissero per più anni, conobbero Lord Byron e qui si cimentarono, con altri scrittori e personaggi illustri, in una gara letteraria al fine di realizzare un racconto di paura che fosse il più spaventoso possibile. I suoi primi tentativi non andarono a buon fine, ma d'improvviso un'idea le balenò nella mente, lasciando che la sua mano scrivesse ciò che in un incubo le era apparso. Quest'ultimo elemento sembra essere semplicemente una copertura per un qualcosa di più vero e spaventoso. Un alchimista infatti avrebbe cercato di operare un esperimento simile in un castello vicino a Francoforte - in Germania - a Darmstadt, offrendo a Mary Shelley l'opportunità di avere il materiale necessario alla realizzazione del proprio volume.
Il castello è antichissimo, così come antichissime sono le origini della famiglia che lo ha abitato. I Frankenstein.
Nel 940, infatti, sembra che un certo Arnold, appartenete alla medesima stirpe, abbia vinto nel suo castello un prestigioso torneo cavalleresco. La famiglia però si estinse nel XVII secolo, alla morte di Philip Ludwigh, l'ultimo erede. Il castello passò allora in mano ai Darmstadt, senza più tornare in possesso ad un solo Frankenstein.
Sembra però che proprio un'appartenente alla medesima famiglia fosse l'alchimista suddetto; o quantomeno che alla medesima fosse legato. Egli, Conrad Dippell, era un uomo che, oggigiorno, definiremo 'necrofilo'. Si addentrava la notte nei cimiteri, sottraendo i cadaveri delle persone decedute da poche ore su cui poter condurre esperimenti. In realtà il termine che gli abbiamo assegnato è un po' eccessivo, ma può rendere l'idea sugli esperimenti e le ambizioni di quest'uomo. Sul suo tentativo di rendere la vita a chi l'ha perduta.
Conrad Dippell(1673-.....) era nato nel castello dei Frankenstein, ma quando questi non erano più padroni del complesso. Ciononostante, Conrad aveva firmato la propria tesi di laurea col nome della famiglia estinta; tesi in cui sosteneva di poter essere in grado di creare un uomo in laboratorio. Iniziò dunque a condurre esperimenti segreti sui cadaveri, sezionandoli e studiandoli. Gli abitanti del luogo così fecero girare voci che narravano del fatto che Dippell, nel suo castello, fosse stato in grado di realizzare un uomo utilizzando varie parti di cadaveri(la medesima lugubre vicenda di cui tratta "Frankenstein"). Ciò che egli voleva fare, però, non era poi così distante dalle credenze popolari, in quanto, come alchimista, desiderava trovare l'elisir di lunga vita e così creare un uomo che vivesse in eterno.
Ma come può aver fatto Mary Shelley a giungere a conoscenza di questa storia entrata, certamente, nell'immaginario popolare della popolazione che viveva in quell'area germanica? 
La storia di Conrad Dippell giunse in terra ingelse raccontata dai fratelli Grimm, i noti scrittori di fiabe, che nel 1813 scrissero una lettera in cui narravano la storia di Dippell alla loro traduttrice, Mary Claremont che, guarda caso, era la matrigna della Shelley. Connessa all'alchimia, questa storia, come il castello e la vicenda del barone Frankenstein, avrebbe spinto la nota scrittrice, venuta a conoscenza di questo fatto, a trasporre la vicenda su carta fino a realizzare la sua opera più importante. Fonte d'ispirazione, però, fu anche il padre William Godwin, amico di Erasmo Darwin. Assieme realizzavano modelli anatomici in cera costruendo corpi finti che poi esponevano nelle loro abitazioni. Altre volte, i due si davano appuntamento nel cimitero ove la madre di Mary era sepolta. Certamente non si trattava di esperienze convenzionali, pur costituendo l'ossatura principale dell'opera in quanto fonte d'ispirazione. Per meglio approfondire la questione, basta dire che ad Ingolstadt, in Germania, Darwin condusse esperimenti di fisica e anatomia, studiando gli effetti dell'elettricità sui corpi. In particolare di quello che l'elettricità era in grado di produrre alle zampe di rana che si contraevano; esperimenti esposti da Galvani in Italia e che, ad Ingolstadt, erano condotti su parti del corpo umano che prese dai cadaveri di uomini giustiziati. 
Ebbene, l'ambientazione di "Frankenstein" è proprio il castello sito in quello stesso luogo, di cui certamente Mary Shelley ha sentito parlare.
In conclusione, si può dire che questo romanzo fantascientifico, e per questo ai limiti tra fantasia e realtà, sia stato - e sia tuttora - un manifesto più che mai vivo ed importante di un fanatismo che, in certi casi, ha anticipato la realtà più estrema. Un fanatismo che, come spesso accade, è opera di ricercatori avanguardisti che nei loro esperimenti si avvalgono di decisioni certamente non etiche, ma necessarie talvolta, e che stimolano il dibattito e le discussioni. Tuttora la clonazione, come il riportare in vita un cuore deceduto di un essere vivente, cose che fino a pochi anni fa apparivano come "fantasie pure", sono il frutto di questo mestiere e il tema base delle discussioni e dei conflitti che ammantano scienza, società, religione ed etica. 
Sta a noi saper discernere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato. Perché, in fondo, al di là della giustificazione del lugubre sfondo assegnato alla sua opera, Mary Shelley ci insegna che la storia del dottor Frankenstein e della "creatura" deriva non da un semplice sogno, ma da un incubo.

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