”Da quel fatale giorno in cui fetidi pezzi di melma fuoriuscirono dalle acque ed urlarono alle fredde stelle: “io sono l’uomo” il nostro grande terrore è stato sempre la conoscenza della nostra mortalità, ma stanotte lanceremo il guanto della scienza contro lo spaventoso volto della morte stessa, stanotte noi ascenderemo nell’alto dei cieli, sfideremo il terremoto, comanderemo il tuono, e penetreremo fino nel grembo dell’impervia natura che ci circonda.”
I film di Brooks non sono solo divertenti, sono aggressivi e sovversivi, ci fanno ridere anche quando dovremmo offenderci. Frankenstein Jr., invece, non solo è divertente e sovversivo, ma mostra una crescita artistica e un sicuro autocontrollo del materiale da parte di un regista che un tempo sembrava disposto a fare letteralmente qualsiasi cosa per una risata e molto spesso senza riuscirci.
Brooks fa un uso controllato e attento della fotografia in bianco e nero che cattura le atmosfere dei film precedenti. Egli utilizza dispositivi visivi vecchio stile ed effetti speciali volutamente banali (l’uso di un fondale durante il viaggio in treno), alza il volume della musica e dei bassi impartendo lezioni di thriller e ha anche affittato il laboratorio originale di Frankenstein (1931), con gli strumenti di energia elettrica, effetti speciali ad alta tensione, e piattaforme elevatrici per intercettare i fulmini.
Il film è una parodia di uno stile e non solo del materiale. E ciò sembra proprio che lo renda ancora più divertente. E poi, paradossalmente, funziona su un paio di livelli: in primo luogo come commedia, e poi come una storia stranamente toccante a sé stante. Si ride sbandando da giochi di parole a comicità fisica, eppure, nonostante tutto in qualche modo, non distrugge l’illusione creata di trovarsi di fronte il solito vecchio film sul solito vecchio mostro.
Wilder è il giovane Frankenstein, sobrio, serio, arrogante giovane medico del mondo classico che finirà col diventare uno scienziato pazzo. I suoi capelli sembrano cambiare forma ad ogni esplosione di follia. Peter Boyle è un formidabile Mostro, riesce persino ad emozionare sotto il pesante trucco, il collo serrato e gli stivali con le zeppe. La loro “Puttin ‘on the Ritz” è probabilmente il miglior duetto hollywoodiano dai tempi di Ginger Rogers e Fred Aistere.
Ma gli assistenti non sono da meno. Marty Feldman è Igor (cioè Ai-gor), il maggiordomo di famiglia stralunato con una gobba in continua migrazione da un lato della schiena verso l’altro, diventato vera e propria icona del film, e Teri Garr è la sensuale Inga. Cloris Leachman è geniale nel ruolo della feroce governante Frau Bluecher (nitrito di cavalli), memorabile nella scena in cui rivela il suo rapporto con nonno Frankenstein.
Madeleine Kahn brilla nel ruolo della frigida fidanzata di Wilder, che si scioglie come una leonessa dopo il rapimento da parte del Mostro, e finendo col somigliare ad Elsa Lanchester in La moglie di Frankenstein (1935) dopo una calda notte in compagnia di un grosso Schwanzstück. In una parodia di una scena toccante del film originale di Frankenstein, Gene Hackman interpreta Abelardo, l’eremita cieco che invita il Mostro a condividere la sua umile cena e dimostra le sue maldestre abilità da cameriere. La commedia fisica è impagabile e verrà saccheggiata da qualsiasi film.
Aggiungici cittadini spaventati e inferociti con forconi, un ispettore che sembra sospetto come il dottor Stranamore, e il quadro si completa con uno dei più divertenti cast nella storia della commedia americana che a distanza di 40 anni conserva ancora lo smalto di un tempo.