Frankenweenie: Quando il Singolo Guarisce la Massa

Creato il 27 marzo 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Valeria Arena

Come al solito Tim Burton è riuscito a creare un’opera che sembra dire una cosa, ma che in realtà racconta di tutt’altro, come in Edward mani di forbice, film molto simile a Frankenweenie, che altro non era che una semplice storia d’amore. In questo caso siamo di fronte alla parodia delle pellicole tratte dal romanzo di Mary Shelley, già cortometraggio nel 1984, ma la rivisitazione è solo diversivo, perché in realtà il vero fulcro dell’opera è il distacco dalle persone care e la crescita, aspetto che nella prima versione era meno evidente, forse per i palesi limiti di tempo. Al di là delle scelte estetiche che richiamano un mondo gotico e orroroso, Burton è sempre delicatissimo nel raccontare l’animo umano, e se è vero che il suo cinema appartiene al mondo dei diversi, dei mostri creati dall’ambiente sociale e dei reietti, è altrettanto vero che i suoi personaggi sono anime sensibili, e quindi estremamente umane. Analizzando i lavori di Tim Burton ci renderemmo conto che i suoi racconti sono di una semplicità disarmante: storie d’amore e di crescita, elaborazione di lutti, ricerca di sé stessi, spesso attraverso la solitudine, e la rinascita.

Mi piace pensare a Burton come a un individualista, non di quelli che credono che l’interesse di un singolo uomo sia più importante di quello di una collettività, ma di quelli che pensano che il singolo possa da solo essere migliore di una folla eterogenea. In effetti, i suoi personaggi vivono di solitudine ed emarginazione, ma riescono a essere più umani e civili della massa frivola, anche quando sfidano le leggi della natura e riportano in vita un cane morto. Quello non è delirio di onnipotenza, ma l’impotenza di non sapere accettare e gestire la perdita di una persona cara: «io rivolevo solo il mio cane». Si è parlato di parodia, ma la versione di Burton somiglia più a un arricchimento, perché la scienza è uno strumento di accrescimento, è un modo per colmare la propria normale sofferenza, non di sopraffazione. Il maestro di Victor lo dice con parole chiare: «credo che ci sia molta confusione, perché siete tutti troppo ignoranti, e per ignoranti intendo stupidi, primitivi, non illuminati, voi non comprendete la scienza e quindi ne siete impauriti, come un cane paventa i tuoni o i palloncini. Per voi la scienza è magia, stregoneria, perché avete menti microscopiche».

Il discorso qui si focalizza sul ruolo della scienza, ma quelle caratteristiche possono riferirsi anche ad altri ambiti. La massa non può portare con sé valori positivi, ma possiede tutti i sintomi dell’inciviltà. La redenzione alla fine arriva lo stesso, ma per opera del singolo, e dopo aver toccato con mano che l’orrore è ben altro che un cane ritornato in vita o un robot antropomorfo dalle mani di forbice. La folla di Burton si umanizza e si pente, perché in fondo Burton è un sentimentale, e non riesce a lasciare sconfitti i propri personaggi. C’è poi il lato oscuro e marcio dell’individualismo, probabilmente il più naturale e immediato, quello dell’invidia e della sopraffazione. Gli animali portati in vita dai compagni di scuola di Victor sono mostri violenti a cui nessun ha dato amore, resuscitati dalla fama di competizione, mentre Sparky è quell’Edward che deve dimostrare alla cittadina di non essere una creatura dell’orrore. L’innocenza dei personaggi burtoniani è così pura e disinteressata, da apparire possibile solo nelle fiabe, mentre l’ottusità degli abitanti di New Holland è reale e verosimile. Quindi è possibile che i protagonisti di Burton siano solo chimere sognate e agognate dal suo autore, ma difficilmente proiettabili nella vita reale.

Non siamo di fronte a un moderno Rousseau che pensa che l’uomo sia per natura buono, ma incattivito e corrotto dalla società, ma di fronte a un regista, estremamente romantico, che crede ancora che le anime buone possano esistere. Non a caso queste anime si trasformano sul grande schermo in reietti incompresi, ma capaci di opere straordinarie, come in Big Fish. Con Frankenweenie si ritorna al vecchio Burton, quello antecedente al capolavoro di cesura che è il già citato Big Fish, quello in cui la folla rappresenta un elemento pregnante, e in cui la redenzione del gruppo sembra essere uno degli obiettivi finali. Tutti questi elementi accomunano l’opera a Edward mani di forbice, Mars Attacks! e Il mistero di Sleepy Hollow, ai quali si aggiungono sfumature appartenenti a film come La sposa cadavere e l’elaborazione del distacco, la crescita e la maturazione, legate alla scomparsa delle persone care, che è stata rappresentata in maniera sublime in Big Fish. Se è vero che il cinema, come la scienza, non è uno strumento né buono né cattivo, come l’insegnante di Victor afferma, ma dipende dall’uso e dalla persona che se ne serve, allora Burton appartiene alla categoria delle stesse anime buone che utilizzano il mezzo di riferimento per alleviare le proprie pene, per allontanarsi dai giudizi inermi di una massa per natura abietta e incivile, per dare un senso alla propria emarginazione e per crescere. Come gli alieni di Mars Attacks!, quelli che affermavano di venire in pace, sconfitti da Richie Norris, un giovane anonimo.


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