Franklyn (di Gerald McMorrow, 2008)

Creato il 24 aprile 2013 da Frank_romantico @Combinazione_C

Quando uscì nei cinema italiani, tutti pensarono che Franklyn (2008) fosse l'ennesimo film sui supereroi. Il trailer non faceva intendere altrimenti, la locandine idem, quindi per lo più il film fu snobbato e scartato a priori. E qui apro una parentesi per chi considera normale giudicare un film dal trailer: il trailer quasi sempre non è un sunto né una presentazione (come lascerebbe supporre il termine) quanto, piuttosto, uno specchietto per le allodole montato ad arte con il puro scopo di incuriosire. Può essere indicativo ma non è mai esplicativo. Ecco, Franklyn è incredibilmente lontano da quanto tanta pubblicità aveva lasciato intendere e questo, al momento del lancio, scoraggiò alcuni e deluse molti, spingendo il pubblico a decretare il fallimento di un film che brutto non è. Per parlarne, però, avrò bisogno di ricorrere a vari SPOILER, quindi sconsiglio a chi non lo ha visto e non vuole rovinarsi la sorpresa di continuare la lettura.
Esser è un uomo disperato in cerca del proprio figlio nelle dure strade dei senzatetto di Londra. Milo è un trentenne con il cuore spezzato alla disperata ricerca della strada verso la purezza del primo amore. Emilia è una bellissima studentessa d’arte con tendenze suicide. Preest è un vigilante mascherato alla ricerca del suo nemico per le buie strade di Meanwhile City. (da filmscoop.it)
Quattro storie apparentemente inconciliabili che si incrociano e si fondono. Questo è Franklyn. Storie distanti, lontane anni luce tra loro ma che troveranno punti in comune via via che il minutaggio del film si avvierà verso la propria inesorabile conclusione. Quattro personaggi, due mondi, il destino che lega le anime, dirige gli eventi e determina gli avvenimenti. Una qualche forza superiore che ci osserva, ci segue, a modo suo si prende cura di noi. Ma alla fine tutti i nodi devono venire al pettine. Necessariamente.Tutto inizia nella Città di Mezzo, mondo distopico le cui architetture ricordano molto quelle della Gotham City immaginata da Tim Burton ma con un carattere più cosmopolita. La particolarità che rende questa una città diverta dalle altre è per viverci bisogna necessariamente appartenere ad un credo, avere una religione a cui piegarsi. L'oppio dei popoli  mezzo attraverso cui la dittatura dispopica controlla i cittadini. In questa città si muove il super eroe Preest, uomo/giustiziere alla ricerca del suo acerrimo nemico, "l'Individuo".

Però in Franklyn quello che è non è neccessariamente quello che sembra. Se i salti (tra la Londra contemporanea e la futuristica Città di Mezzo) potrebbero far pensare ad una pellicola sviluppata su una contorta linea spazio/temparale, in realtà l'esordiente regista inglese Gerald McMorrow si concentra poco sul fantastico e molto sul psicologico, dando al reale un'impronta new-age con il solo scopo di esplorare gli intangibili limiti dell'umano e aprire le porte della nostra esistenza ad una dimensione meno contingente e più spirituale. E allora Preest non è altro che David, ragazzo che nel tentavivo di "uccidere Dio" prova a cancellare il trauma collegato alla figura paterna, trauma che lo ha spinto a rifugiarsi in un mondo immaginario di cui è unico eroe. Allo stesso modo cercano di sfuggire alla realtà e alle proprie colpe Esser, padre tormentato dal senso di colpa, Emilia che, vittima della propria solitudine, si scontra con la morte nel tentativo di esorcizzare la vita e di estetizzarla attraverso l'arte, e Milo, che nel tentativo di ricomporre il proprio cuore spezzato idealizza la figura della donna rendendola ossessione di cui non può più fare a meno.
In tutto questo la presenza di una figura superiore che incarna una sorta di provvidenza o più semplicemente il fato fa da collante, guida e spettatore che permette ad ogni personaggio di fare i conti con le proprie paure. E forse sta qui il limite più grande di Franklyn, un film presuntuoso nel cercar di affrontare determinate tematiche, acerbo per stile e scrittura, incapace di spingersi lì dove avrebbe meritato di arrivare. Forse sono proprio le mani poco esperte di McMorrow (anche sceneggiatore) che impediscono la suo lungometraggio di spiccare il volo. Ce ne accorgiamo di fronte a certe banalizzazioni o a causa di un'esemplificazione - anche stilistica - poco adatta ad un'opera di questo tipo, concettualmente e visivamente.
Certo, resta il fatto che si tratta di un esordio, che il coraggio dimostrato è più unico che raro e, sicuramente, le prove degli attori sopra la media. Tra cui quella di una tormentata e bellissima Eva Green. E questo forse potrebbe bastare, ma non se si presenta il film come l'ultimo lavoro di Zac Snyder o ispirato all'immaginazione di Frank Miller. Perché non solo è falso, ma svilisce pure quanto di originale e buono c'è in una pellicola come questa.


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