Qualche novità c'è, in questo settembre. Ad esempio il fatto che lo speciale dedicato al tour negli stadi di Lorenzo Jovanotti sia andato in onda su Raiuno, santuario del mainstream. E che su Twitter sia partita una videocampagna per sostenerlo con Fiorello in prima fila, presente tra l'altro anche nello show. Non è la crossmedialità che lei sempre auspica? Magari! Quello con Fiorello, in particolare, è un affettuoso scambio di favori. Rosario, nel "#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend", sempre targato Raiuno, ha fatto il pieno di ascolti grazie a una strepitosa ospitata dell'amico Lorenzo. E adesso ha ricambiato la cortesia. Operazione perfetta, televisivamente. Nel senso che lo speciale di Jovanotti, con queste attenzioni, ha acquisito calore e continuità narrativa con il programma di Fiorello. Ma per favore, non abusiamo della parola "nuovo". E' il potere catodico, invece, che si rinnova usando il fascino del già visto.
Proprio lei, Freccero, fa questi discorsi, che in ogni occasione esalta Fabio Fazio e la tv che produce? Non sono anche il Festival di Sanremo condotto da Fazio, che vedremo a febbraio su Raiuno, e il suo "Che tempo che fa" su Raitre, costanti osanna alla memoria e al politically correct? Ma certo. Infatti Fabio Fazio, oggi, rappresenta il massimo della potenza televisiva. E' la sintesi tra il vecchio-giovane Enrico Letta e il disinibito trasversalismo di Matteo Renzi. Un canone strepitoso, perché Fazio per primo ha intuito cosa sarebbero diventati gli italiani: un popolo che ha per riferimento la tv degli anni Ottanta. Goldrake, le canzonette alla "Anima mia", Claudio Baglioni... Quelle cose lì. Fabio è un fenomeno nel fabbricare ritornelli, reiterazioni visive e sonore capaci di sdoganare anche i contenuti più indigeribili.
Per cui lei non si scompone, in questo trionfo di "indigeribile" e déjà vu, se a "Domenica in" sta tornando Mara Venier, e Canale 5 ribatte con le rodate telelacrime di Barbara D'Urso. E cosa dovrebbero fare, i dirigenti di Rai e Mediaset? Cacciano alla disperata il pubblico della provincia: sia in senso geografico che in quello intellettuale. Tanto ogni domenica è la stessa storia. Su Sky trionfano il calcio e le repliche di "X Factor" e "Masterchef". Per cui non resta che gettarsi sugli avanzi: milioni di anziani, spesso poco istruiti, affidati alle badanti Venier e D'Urso. Brave professioniste, attenzione. Donne molto generose. Fisarmoniche dei sentimenti che recitano con tutto, pur di conquistare lo share: con gli occhi, con le mani, a volte pure con le tette.
Questo però - l'ha dichiarato lei stesso - è la logica conseguenza di una tv orfana di bussole e idee. Non è più sorprendente, piuttosto, l'inversione a "u" con cui Luca Telese, già firma del berlusconide "il Giornale" e poi del "Fatto quotidiano", è passato dalla sinistra chic de La7 a Mediaset, dove condurrà "Matrix"? Sorprendente? Per niente. Anzi: tutto mi pare molto naturale. E' il classico prodotto della tv delle larghe intese; di quella carnalità perversa che lega destra e sinistra, e che porta Mediaset a contenere nel suo ventre sia le piazze ululanti di Paolo Del Debbio, già ideologo di Forza Italia, sia il talk show di Telese. Tanto più che Luca ha una caratteristica spettacolare: è completamente schiavo dei tempi, di Twitter, del costante confronto con l'opinione pubblica. Qualità non appariscente, ma che gli consente di ascoltare il Paese.
Più scivoloso, intanto, è stato quest'estate per Nicola Porro l'avvio su Raidue di "Virus", programma di approfondimento che avrebbe dovuto rianimare la seconda rete. Perché non sta decollando, la formula all inclusive che abbina talk, ammiccamento alla Rete e interviste bignardesche? Perché il problema non è la formula, purtroppo. Il problema è lui: Porro. Ha tutto: è bello, intelligente, mondano, conosce l'economia, ha un'agenda ottima. Ma a differenza di Telese non ha fame di successo. Gli manca il carico di tracotanza, e determinazione che in tv è indispensabile. Se ci pensate, sfogliando i palinsesti, sono tutti così i conduttori che funzionano. Corrado Formigli, per citarne uno, combatte come un pazzo per dimostrare che è più bravo del maestro Santoro. E Michele stesso, ancora oggi, si dà un gran da fare per imporsi come burattinaio politico. Nicola Porro no, è un'altra storia: appartiene alla categoria di quelli che vanno in vacanza a Saint Tropez, e che non sentono dal profondo la pulsione animale.