LA STORIA DI FELICE
1 - Non si può essere felici da soli.
Quando era nato l’avevano chiamato Felice e invece, purtroppo, era un bambino infelice perché non era mai contento di nulla.
Ogni rimprovero che gli veniva fatto era un’enorme ingiustizia; quando andava a scuola sognava le vacanze, ma quando arrivavano le vacanze si annoiava dopo il primo giorno. L’inverno era brutto perché portava l’influenza; l’estate non gli piaceva perché arrivavano le zanzare.
E così via, tutto era occasione per protestare e lamentarsi di qualcosa.
E siccome era scontento, trattava male tutti, compreso quelli che avrebbero voluto fare amicizia con lui. Allora i suoi compagni finirono col dargli il soprannome di “Nonmirompere” che era esattamente la risposta che lui dava di solito e, dato che non era una risposta molto incoraggiante, “Felice Nonmirompere” rimase ben presto senza amici.
Un giorno era, come al solito, solo in casa, quando vide passare sotto alla sua finestra un gruppo di ragazzi che conosceva: andavano a giocare al pallone in un campetto vicino ma a nessuno venne la voglia di chiamarlo perché conoscevano già la sua risposta.
Allora, sentendo crescergli dentro la scontentezza, prese la sua bicicletta (una bella bicicletta con la pompa e la borraccia, ma lui l’avrebbe voluta di un altro colore) e andò a fare una girata.
Dopo circa mezz’ora di pedalate su di una strada di campagna vide una fontanella e gli venne sete.
Si fermò volentieri perché gli era sembrato che in quel posto non ci fosse nessuno, ma quando si avvicinò alla fonte si accorse che lì accanto, seduto su di un muretto, c’era un bambino più o meno della sua età.
Il bambino gli sorrise e gli chiese: “Come ti chiami?”
Felice lo guardò di traverso e borbottò: “Non mi rompere”.
Il bambino non sembrò offeso, anzi disse: “Vedo che hai con te una borraccia, quando l’hai riempita potresti dare da bere anche a me?”
Allora Felice si arrabbiò sul serio, sentendo questa richiesta che gli sembrò proprio assurda.
“Non sei capace di bere per conto tuo? Che sei, un handicappato?”
“Grazie per la tua cortesia, caro Felice…” rispose il bambino, sempre senza scomporsi.
“Come fai a sapere come mi chiamo?” chiese allora Felice, sconcertato.
“Non ti preoccupare, so tante cose e so anche che non sei proprio Felice come dice il tuo nome.
E siccome mi dispiace tanto vedere le persone infelici, voglio farti un regalo. Anche se tu non mi hai dato da bere, te lo darò io, ma sarà un’acqua speciale. Un’acqua viva. Dammi la tua borraccia perché te la possa riempire.”
Felice era rimasto incantato e, senza poter dire più nulla, gli porse la borraccia.
“Mi raccomando” disse il bambino, dopo averla riempita. “un sorso ogni tanto, quando ne senti il bisogno; vedrai che ti sentirai meglio. E quando stai per dire “Non mi rompere”, cerca di dire qualcosa d’altro, per esempio “Volentieri”. A volte basta una parola per fare amicizia. Perché, ricorda: Non si può essere felici da soli.
Felice era troppo confuso per rispondere qualcosa: tutto rosso in viso, afferrò la borraccia, montò in bicicletta e se ne andò di corsa.
Solo quando ormai era lontano, gli si affacciò in mente un pensiero: “Non gli ho nemmeno detto grazie”.
2 - Incontro agli altri
Felice, ancora scombussolato per l’incontro alla fontana, tornò velocemente verso casa. Ma l’idea di doversene restare chiuso in casa, da solo, era così terribile che, senza accorgersene, si fermò al campetto dove giocavano quei ragazzi che aveva visto passare sotto la finestra.
Erano tutti ragazzi che lo conoscevano, ma nessuno si voltò a guardarlo, mentre se ne stava lì, incerto se restare o andare via. Poi, uno di loro sparò il pallone proprio nella sua direzione e Felice, senza pensarci su, glielo rispedì con un calcio ben assestato.
Allora un ragazzo nuovo, che Felice non aveva mai visto, gli disse:”Vuoi giocare?”
Felice stava per rispondere come al solito, ma la risposta gli si fermò in gola.
Per buttar giù quell’intoppo, prese un sorso dalla borraccia e subito dopo aprì la bocca e disse:”Volentieri”.
Così entrò in campo e corse su e giù come gli altri, dietro al pallone.
Quando tornò a casa raccontò subito alla mamma tutto quello che gli era capitato e lei rimase un po’ perplessa. Da una parte le sembrava una cosa positiva, perché, dopo tanto tempo, lo vedeva contento, ma dall’altra, l’incontro e l’acqua misteriosa la preoccupavano.
“E’ bene di sicuro se smetti di dire parolacce, te l’ho ripetuto tante volte, ma non si deve neppure dire sempre “volentieri” a tutti. E nemmeno accettare qualcosa dagli sconosciuti, lo sai che è pericoloso…”
“Ma quel bambino era speciale, era come se lo conoscessi da sempre! E questa acqua sento che è buona e mi fa bene, peccato che durerà poco.”
Felice si accorse invece ben presto che la borraccia restava piena di quell’acqua fresca ed ogni volta che ne beveva un sorso, cresceva in lui il desiderio di ritrovare quel bambino.
Tornò diverse volte alla fontanella, ma non c’era nessuno ad aspettarlo.
Altre volte gli sembrò di vederlo a scuola in mezzo agli altri ragazzi, ma quando si avvicinava, si accorgeva di essersi sbagliato.
Questa ricerca fu comunque un’occasione per farsi nuovi amici: divise la sua merenda con una compagna che non l’aveva, andò a portare i compiti ad un ragazzo che era malato e si fermò a studiare con lui, entrò a far parte di un gruppetto che accompagnava a fare delle girate un amico che si era rotto una gamba ed era costretto a starsene su di una sedia a rotelle.
Certo non era tutto facile e spesso gli ritornava in gola quel vecchio “Nonmirompere” ma, stranamente, questa frase gli faceva venir sete e allora l’acqua della borraccia era pronta a venirgli in soccorso.
3 - Che la vostra gioia sia piena
Una sera in cui era particolarmente stanco perché aveva fatto una montagna di compiti, aveva aiutato la mamma a mettere a posto in quel caos che di solito c’era nella sua stanza ed era andato col nonno ad innaffiare l’orto, si fermò un momento a guardarsi intorno e si accorse di come era bello il mondo nonostante i piccoli inconvenienti che capitano tutti i giorni e che, prima, gli sembravano insopportabili.
Nonostante il vento gelido, la pioggia monotona o l’afa opprimente, nonostante certi animali noiosi come le zanzare che ti bucano, le mosche che ti ronzano intorno e i moscerini che ti entrano negli occhi, nonostante certe persone assillanti sempre pronte a disturbarti quando te ne vuoi stare in pace, il mondo era bello, pieno di vita e di movimento.
Allora prese un’altra volta la sua bicicletta, spinto dal desiderio di comunicare la sua scoperta a qualcuno e si diresse verso la fontanella in campagna. Non c’era nessuno.
Si fermò, scese e sedette sull’erba a guardare un tappeto di margherite e ad ascoltare il verso del cucù che celebrava la primavera ed il suo cuore si riempì di gioia.
Poi udì un vocìo confuso che si avvicinava e dopo poco arrivò il gruppo dei ragazzi: ormai li conosceva tutti, ormai erano tutti suoi amici.
In mezzo a loro c’era il bambino che gli aveva riempito la borraccia con l’acqua viva che continuava a dissetarlo ed a cambiargli la vita.
Il bambino gli chiese, sorridendo: “Come ti chiami?”
Allora sorrise anche lui e disse: “Felice”.
Nicoletta Martiri Lapi