Parla Kunigunde Braun, una paziente di Freud
Mi trovai davanti questo anziano signore con gli occhiali.
Era piccolo, con la barba bianca, indossava un abito grigio, i pantaloni con la piega erano rimboccati dentro ai calzini rossi che gli arrivavano fino sopra alle ginocchia, in testa portava un cappello fatto con un vecchio quotidiano e in cima al cappello, occasionalmente mossa dal vento, sventolava una piccola bandiera austriaca.
Dietro alle caviglie dell'uomo si nascondeva una simpatica cagnetta vestita come lui (l'unica differenza era che il cappellino era fermato con un elastico), mi chinai e le feci una carezza, poi frugai nella borsa dove trovai una vecchia fotografia di Jerry Scotti e gliela porsi da masticare.
In meno di un secondo la polverizzò.
L'uomo si accese un enorme sigaro, con due boccate ravvivò la fiamma, poi se lo tolse dalla bocca e se lo mise in tasca, vedendo questo gesto la mia soggezione iniziale sparì immediatamente e cominciai a parlargli di me.
Esaurì per la prima volta il mio perenne desiderio di aprirmi a qualcuno.
Fù la prima persona che mostrò interesse nei miei confronti, ma lo scandire delle ore della campana della chiesa, mi ricordò che dovevo andare all'appuntamento per la seduta dal Dottor Freud.
Chiesi al simpatico vecchietto se sapesse dove fosse Berggasse 19, l'indirizzo dello studio di Freud (in fondo lo avevo avvicinato per avere quell'informazione), poi, mentre i suoi pantaloni prendevano fuoco, lo ringraziai e mi diressi verso la mia meta.
Arrivai dal Dottor Freud puntuale, il resto non lo ricordo.
Potrebbero interessarti anche :