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Frida Kahlo: la vertigine brutale del fascino intellettuale

Creato il 08 aprile 2014 da Lundici @lundici_it

Di mostrafridaroma

Se occorresse scegliere un artista capace di evocare la rottura con le tradizioni e le convenzioni della società, se si sentisse il bisogno di esprimere e render nota la fragilità del corpo e la forza dello spirito, senza ombra di dubbio finiremo per evocare l’artista messicana Frida Kahlo. Ormai da diverso tempo l’eco del suo nome risuona incessante tra gli amanti e i critici d’arte, ergendosi come icona di una rivoluzione subdola ed efficace, che prende forma in dipinti affascinanti e puntualmente attraversati da agghiaccianti sfumature di dolore e mistero. Gli innumerevoli autoritratti della stramba autrice ricamano trame di vita vissuta, di drammi fisici e psichici capaci di far vacillare l’animo e strappare emozioni. Il suoi occhi, sovrastati da lunghe sopracciglia nere, sottolineano una bellezza grezza e ricercata, lontana dai canoni di perfetta e delicata femminilità intenti a incantare e a stimolare la superficialità. Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderón, nata a Coyocàn nel 1907 da Guillermo Kahlo (fotografo tedesco) e Matilde Calderón y González, sviluppò fin da bambina uno spiccato senso artistico, dimostrandosi estroversa, passionale e decisamente fuori dalle righe.

Si potrebbe asserire che la pittrice messicana finisce un po’ per caso per divenire un’icona dell’arte novecentesca, visto che inizia a dipingere assiduamente in seguito all’incidente (nel 1925) che le scombussolerà l’intera esistenza, costringendola a convivere con la sofferenza fisica, ad essere sottoposta a diverse operazioni chirurgiche e a rimanere immobilizzata a letto per lunghi periodi di tempo. Ciò che rimane impresso nella mente, osservando le sue opere, è quel senso di perenne immobilità, che però non coincide con la mancanza d’azione, bensì con l’imposizione di una forza creatrice, in grado di spezzare le catene del moralismo e della convenzionalità e di lottare al fine di autoimporsi. Il soggetto preferito di Frida sarà lei stessa, dal momento che i suoi occhi non possono vedere altro se non quel corpo martoriato e distrutto, costretto ad essere ricucito, ingessato, modificato.

Frida Kahlo - Le due Frida

Frida Kahlo – Le due Frida

Ha poco più di 18 anni, quando il destino la catapulta avanti con gli anni. D’un tratto perderà l’amore del suo primo fidanzato, Alejandro Gomez; sarà costretta ad abbandonare gli studi universitari, le quotidianità felici e spensierate della sua età. Ingabbiata forzatamente in un corpetto di cemento e ancorata in una camera da letto, esaminerà il suo corpo privo di perfezione (sul letto a baldacchino aveva fatto montare uno specchio, in modo da dipingersi) e inizierà meticolosamente a ritrarsi. Traspare così, lentamente, il filo di un’opera che non può definirsi semplicemente bella – sarebbe riduttivo- ma forte, affascinante e sconvolgente. E questa forza ci coadiuva in un labirinto di miti aztechi, di filosofie orientali e occidentali capaci di innescare meccanismi di rielaborazione incontrollata ed efficace in cui l’artista si scaglia sempre sola contro il destino prescritto per lei, essendone padrona e creando legami umani forti e indissolubili. Legami complicati, fuori dalle logiche della società e della moralità: storie di tradimenti, omosessualità, amori disperati e mai stabili che però ritornano sempre a galla nel momento in cui la vita mette a dura prova le corde del cuore.

Basti pensare al suo matrimonio con l’artista Diego Rivera: una favola amorosa costruita sulle note folli della libertà e della passione, in cui i due amanti non si fanno mancare violenti colpi bassi al cuore e all’orgoglio; un vaso che si rompe innumerevoli volte, per poi rincollarsi sistematicamente, come se i pezzi fossero attirati da una calamita in grado di coadiuvare il rispetto e l’amore incondizionato. Il suo percorso di vita è una strada in salita su molti fronti e naturalmente ci viene facile comprendere le sue opere sotto la lente del dolore che esse stesse evocano. Eppure se guardassimo più attentamente ci renderemmo conto che sotto la cenere di quell’amarezza si nasconde il fuoco della forza. Frida ci accarezza l’anima usando colori brillanti e decisi e creando un linguaggio figurativo nel quale l’arte messicana e precolombiana acquistano un posto di rilievo.

Diego Rivera e Frida Kahlo

Diego Rivera e Frida Kahlo

Nella maggior parte dei suoi quadri troviamo la rappresentazione rigogliosa della flora e della fauna, la scimmia che rappresenta il vincolo dell’umanità con le cose futili e mondane, il cane che è simbolo di fedeltà, ecc.. Roma dedica (fino al 31 agosto, presso le Scuderie del Quirinale) un viaggio nel mondo della pittrice messicana, attraverso l’edificazione di una “passeggiata” nella quale si possono ammirare tutti gli stadi della sua evoluzione artistica.

Come abbiamo accennato poc’anzi, in Frida si sottolinea un legame solido con la tradizione messicana, già a partire dal fingere di essere nata nel 1910- anno di inizio della Rivoluzione (era nata nel 1907) – proprio perché voleva essere parte attiva di questo sconvolgimento, perché la sua vita tutta non fu altro che un’evoluzione frenetica e perenne, una ricerca assidua di passioni e sentimenti che nella sua arte emergono e spiazzano. L’artista appare abbigliata con vesti di campagna o costumi tradizionali, in una posa cruda, familiare, seriosa, quasi inespressiva, come se si trattasse di una sagoma, una divinità nota e invincibile, impassibile dinnanzi al dolore, immersa nella natura avvolgente e stravolgente. In Frida si coglie il vero sublime, si afferra il brivido vertiginoso di un realismo magico e simbolico, in cui i colori creano giochi di luce penetranti, in grado di attirare a sé tutte le attenzioni degli spettatori.

Il messaggio lasciato da Frida Kahlo è troppo importante per arrestarsi dinanzi agli argini della tecnica pittorica e della critica d’arte, poiché cavalca con franchezza i tabù inerenti alla sessualità e al corpo femminile. Strappa le tende fitte dell’ideologia esprimendo libertà e passioni; non lo fa per la voglia di mettersi in mostra, bensì per dare adito alla vita vera, breve ma vissuta fino in fondo, quella attraversata da mille dilemmi, da migliaia di problemi e montagne ripide sulle quali arrampicarsi. A noi è concessa la fortuna di ammirare la sua immagine intrappolata tra le trame dei colori essiccati su masonite, lamine d’acciaio e tele, la quale ci folgora tramite la perfezione delle pennellate e il fascino lancinante del sublime. Gli occhi afferrano la pesantezza dei tratti, non è bellezza, ma brutalità, è immobilismo forzato elevato a immagine sacra.

Il suo fisico danneggiato non le ha permesso di essere partecipe del primitivo dono della vita, originando immagini in cui il feto mai venuto alla luce rappresenta il fulcro della sua frustrazione. Da questa angolazione la Kahlo ricalca l’emancipazione vera della donna, in quanto essere che non si adegua alla mentalità e alla fisicità dell’uomo, bensì ribatte il suo ruolo naturale, sottolinea l’inclinazione allo sfarzo, alla cura della propria immagine, alla costruzione del suo ruolo sociale e intellettuale. Personalmente, osservando i suoi quadri e ignorando per un attimo tutta la conoscenza accumulata sul personaggio; vedo la freddezza di un corpo perseguitato dalla morte, il crollo dei miti di bellezza cui la società sottopone il gentil sesso; vedo l’ira del dolore come condizione necessaria a spremere tutto l’amore che la vita può offrire.

Frida Kahlo: la vertigine brutale del fascino intellettuale

Gli occhi di Frida fermi e la sua collana di spine, nel verde brillante e rigoglioso del creato (in Autoritratto con collana di spine e colibrì, 1940) mi tolgono il fiato: il corpo si è logorato e la sua proiezione è giunta adesso fino al mio tempo e resisterà a me, anche quando il mio corpo sarà polvere. Questo corpo che basta un nulla e si distrugge e la mente che lo asseconda, si spezza, si ricuce; questa vita che, come un’altalena, oscilla tra il bene e il male. Con Frida il corpo si carica di tutta la fragilità possibile e immaginabile, al fine di sprigionare la forza dell’anima. In questo tempo in cui la bellezza ci governa e ci occulta la vista alla verità, declinare per un po’ gli occhi verso l’artista messicana significa rendersi conto di quanto possa essere affascinante il dolore inevitabile a cui ogni essere umano è sottoposto. Quanta vita e quanto fascino si nascondono dietro la verità, dietro la scelta ardua di accettarsi per ciò che si è veramente.

Credo che l’intera vita di Frida Kahlo sia un inno rivoluzionario in cui il soggetto principale è la donna, ma non il suo corpo perfetto (bramato da uomini vogliosi), né tantomeno il suo volto coperto (occultato da mentalità retrograde), bensì ciò che fuoriesce dal suo intelletto: fascino immortale e portatore di meraviglia.


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