Friends will be friends. Forse.

Da Tofina
Avere un figlio è un po' come quando ti lascia il fidanzato: una cartina al tornasole delle tue amicizie.
Chi ci è passato prima di me mi aveva avvertita: "Guarda che molti spariranno, non sarai più vista come Arianna, ma solo come una mamma"."Ma noooooooo", pensavo io.E invece si.I vecchi amici si dividono in 3 categorie.Quelli per cui tu sei sempre tu, con in più una splendida bimba. Parlano con te delle cose di cui  parlavate prima, ti raccontano i loro casini, ascoltano i tuoi, ti chiedono come sta Sveva, vogliono  vederla "ma già che siamo in giro andiamo anche in quel negozio che ho visto una giacca...". Accettano con un sorriso le tue scuse se sei in ritardo, se sposti un appuntamento all'ultimo, se quando sei in giro bisogna andare al bar per scaldarle il biberon. Non ho bisogno di fare nomi perché loro sanno di chi sto parlando. Da quando lei è nata non mi hanno mai lasciata sola, esattamente come hanno fatto prima che lei nascesse. E si contano sulle dita di una mano.

Quelli che pensano che tu sia diventata completamente schiava della tua nuova vita, totalmente immersa nel tuo nuovo ruolo di mamma e che tu non sia in grado di fare altro che non sia cambiare un pannolino, preparare un biberon, parlare di cacca. Per cui, nel dubbio, non ti chiamano più. Aperitivo, chiacchiere, aggiornamenti sulla loro vita sentimentale, lavorativa, gossip, sfoghi. Il nulla.

E non ti scrivono per sapere come sta Sveva. O per sapere come stai tu.

Quelli che pensano che avere un figlio non ti abbia cambiato per nulla la vita, anzi. Per loro sei solo "sparita" senza apparente motivo. Non sanno cosa vuol dire organizzare -anzi, RIorganizzare- tutto. Intendo a livello pratico proprio. Prima di pianificare qualsiasi cosa e uscire ora devo pensare a loro. Ci sono orari e tempistiche per mangiare, c'è da cambiarli se cagano, c'è da vestirli, c'è da pensare a cosa portarsi dietro tra cambio pannolini, cambio vestiti se si sporcano, copertina se avranno freddo, biberon di scorta, ciuccio, giochino preferito, la nanna per addormentarsi. Per cui organizzano aperitivi in posti in cui un passeggino non ci entra neanche smaterializzandolo, decidono di andare a mangiare  fuori all'ultimo secondo quando tu ormai sei uscita senza portarti dietro il 90% delle cose utili alla sopravvivenza di un neonato e rimangono stupiti se, un po' abbacchiato, te ne vai a casa.E non ti scrivono per sapere come sta Sveva. O per sapere come stai tu.

Ci ho pensato molto in questi quattro mesi, cercando anche di farmi un esame di coscienza.E si, inevitabilmente sono cambiata. Cambiano le priorità, cambiano le paure, le prospettive. Si aggiungono argomenti più o meno interessanti (delle cacche di Sveva parlo eccome, ma solo con alcuni amici fidati del club dei neonati -per fortuna ci siete voi!-), ma alla base io sono sempre io.Dopo le prime settimane di paura e delirio, in cui abbiamo umanamente dovuto prendere le misure, siamo usciti praticamente ogni sabato sera. A casa di amici, in pizzeria. Sveva sta lì: a volte dorme, a volte piange, a volte va cullata, a volte si scappa di corsa per non disturbare tutto il locale. Ma non è un'arma di distruzione di massa, è una bambina. Non siamo infette, contagiose, puzzolenti. Non ho perso la facoltà di parlare quando ho partorito. Non devo essere trattata come un'appestata. E, attenzione: lei può stare a casa col suo papà e io uscire da sola a cena. L'ho fatto, ho dei testimoni.Lo so, è uno sfogo lungo e noioso. Ma non ho potuto fare a meno di notare che da quando Sveva è entrata nella mia vita alcune persone ne sono invece uscite.E di questo sono un po' delusa e amareggiata.

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