Frigidaire Tango, il tango non è più nel congelatore

Creato il 02 maggio 2012 da Sullamaca

Verso la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta c’è stato un continuo cambiamento in musica. Un vortice di idee che travolge il movimento giovanile: si assiste a un inedito fermento creativo. L’importante non è apparire, ma esprimere la propria arte con leggerezza e spensieratezza o semplicemente comunicare il proprio disagio. I Frigidaire Tango nascono in questo periodo e appartengono a questa nuova ondata musicale (new wave) nel panorama indipendente. Mi ricordavo molto bene le parole di Marco Pandin sui Frigidaire Tango: “… di tutti loro ho comunque ricordi molto belli, mi sono sempre trovato molto bene, musicalmente/tecnicamente erano tutti molto dotati, davvero molto bravi e brillanti, e persone care, non montate, molto generosi e disponibili … I Frigidaire Tango hanno aperto i concerti di Adrian Borland e dei The Sound e non c’era proprio storia: erano credibili, tecnicamente perfetti, molto potenti, impatto fortissimo …“. Ho contattato Carlo Cazale, membro fondatore del gruppo, per chiedergli un suo pensiero per il post Eighty Blues ovvero non si esce vivi dagli anni’ 80. Non era però sufficiente per conoscere a fondo la storia dei Frigidaire Tango, volevo di più e allora abbiamo cominciato parlarne perché la vita del gruppo è giunta fin quasi ad oggi.

Domanda: Carlo, tornando da una vacanza a Londra, decidi di fondare un gruppo musicale.
Risposta: Era l’estate del 1977 e tornavo da Londra carico di adrenalina e di dischi, ero arrivato in Inghilterra con il mito della Swingin London e del Flower Power ma a Carnaby street c’era un mercato di rimasugli hippy in evidente stato di decomposizione e mentre dietro l’angolo ribollivano nuove agitazioni, il mio ingresso al Marquee risultò determinante per la mia ancora confusa formazione culturale.
Si erano spalancate le porte del fai-da-te, così me ne tornai a casa con una chitarra elettrica da 50 sterline determinato a formare la mia band.
Steve Dal Col era conosciuto in città per le sue doti di musicista e per essere uno dei pochi ad avere una sala prove sufficientemente attrezzata e fino a quel momento c’eravamo visti una sola volta per scambiarci “On the beach” di Neil Young con un triplo degli E.L.&P.
Quel pomeriggio di agosto me ne andai con lui a vedere le prove del suo gruppo, stavano eseguendo “Let the children play” dei Santana ma io oltre alla mia nuova chitarra avevo sottobraccio “Leave home” dei Ramones ..……… Stefano sciolse il gruppo la sera stessa e iniziò la nostra avventura.

D: Il progetto musicale Frigidaire Tango nasce nel Veneto, il “nord-est“, com’era la situazione?
R: La parola “nord-est” oggi non significa solo una zona geografica dell’Italia, nord-est è sinonimo di benessere, ricchezza, gente che lavora e che produce, gente che si rende conto che i propri sforzi economici vengono poi dissipati da uno stato centralista e corrotto da sempre….la lega nord nasce da questa consapevolezza senza rendersi conto che il motto “Tasi e Lavora” (zitto e lavora) creerà un’ esercito di ignoranti sottoculturati per cui l’unico obbiettivo sarà accumulare ricchezza.
Nord-est negli anni settanta era una parola che non esisteva, anzi, i musicisti veneti soffrivano un po’ di frustrazione pensando che a Bologna e Firenze stavano succedendo cose concrete, movimenti, scene e soprattutto concerti.
Non per niente erano le zone dove i Frigidaire si esibivano di più.

D: Frigidaire Tango, un nome suggestivo e molto “anni ’80″.
R: Una mattina di novembre del 1980 acquistai il primo numero di una rivista emergente che trovai incredibilmente interessante. Pensai che purtroppo, come tutte le pubblicazioni alternative dell’epoca, sarebbe durata poco, si chiamava “Frigidaire” , l’accostamento a “Tango” fu una scelta fonetica e se vogliamo anche poetica.

D: Un aspetto importante dell’esperienza musicale dei Frigidaire Tango è stato il completo controllo della propria opera.
R: Non esisteva quasi nulla di autoprodotto e i racconti di manipolazione delle cosiddette Majors ci faceva orrore, eravamo fermamente convinti che gli unici padroni delle proprie opere dovevano essere gli artisti che le producevano, non accettare compromessi per noi era un dogma che ovviamente ci tenne lontani da qualsiasi possibilità di diffusione commerciale.

D: Una curiosità sui nomi dei componenti del gruppo, tutti pseudonimi dovuti all’epoca?
R: Tutto il progetto aveva un idioma anglosassone, Nome della band, testi, credits ecc. dunque gli pseudonimi furono scelti per stare in “pendant” con il resto dell’opera, oltre all’idea che assumendo nomi d’arte saremmo diventati attori di noi stessi. Inoltre in quegli anni, purtroppo, la provenienza italiana influenzava molti recensori che in preda ad una specie di sudditanza psicologica (che non ha mai smesso di esistere) mancavano di obiettività snobbando molti “prodotti” del nostro paese. Questa curiosa mini recensione del 1982 in parte ci diede ragione.

D: Puoi raccontarmi di come nascevano le canzoni e del processo creativo?
R: A vent’anni hai molto tempo a disposizione, riuscivamo a passare giornate/nottate a provare e a mettere insieme idee, i testi venivano saldati durante le session sopra gli intrecci sonori creati da Dal Col e Brenda, è ovvio che avevamo dei punti di riferimento essendo influenzati da tutto ciò che ascoltavamo, ma essendo una generazione che viveva un momento di transizione, come detto più volte, le nostre radici musicali influenzavano a loro volta il nostro presente.
Musicalmente dovevamo reinventarci ma la libertà con la quale potevamo mescolare il nostro background (Bowie, Iggy, Reed i Roxy,il Krautrock, il Progressive e la West Coast) con il sound istantaneo delle punk band rendeva tutto più facile” (Autocitazione intervista 2007)

D: Poi finalmente esce il vostro primo album “The Cock“.
R: La Young Records era una piccola etichetta di Thiene (VI) e fino a quel momento aveva prodotto artisti Country/Folk, ci scelsero per sperimentare qualcosa di diverso, avevamo presentato un demotape con brani sovraincisi da cassetta a cassetta, un processo primitivo ma anche l’unico a disposizione. Nella primavera del 1981 entrammo in un mini studio a 8 tracce di Schio (VI) lavorando fino all’autunno, la gestazione fu lunga anche perchè durante le registrazioni Stefano Gomiero (Steve Elbow) uscì dalla band e il futuro bassista (Dave Nigger proveniente dai No Submission / Wax Heroes ) arrivò alla fine del lavoro. Steve “Hill” Dal Col suonò le parti di basso.

D: La copertina di “The Cock” la trovo tutt’ora essenziale ed originale.
R: Le arti visive erano in gran fermento, scelsi un immagine soltanto in base alla pura sensazione, l’interpretazione poi poteva darla l’ascoltatore in un contatto empatico a distanza.
Il Gallo è un uccello che non può volare e la figura di un bambino rappresenta la purezza delle cose che fa ….. e questo è forse ciò che ci sentivamo di essere.

D: Mi piacerebbe sapere della vostra volontà di essere una band, ad esempio come erano le prove del gruppo?
R: Uno dei problemi più comuni era lo scontro di personalità, non andavamo esattamente d’amore e d’accordo ma ciò che scaturiva dalla nostra musica ci teneva uniti. C’erano ad esempio tensioni legate alla disponibilità o anche semplicemente una fervente impazienza di esprimere ognuno la propria idea con scontri al limite della tolleranza. Ma il più delle volte durante le session emergeva quella magia che solo la musica suonata insieme può darti e lì riuscivamo a concentrarci per ricavare l’essenza della nostra musica.

D: Puoi raccontarmi invece dei concerti, dell’organizzazione e come si trovavano le date?
R: Vista la totale assenza di agenzie di booking o di organizzazioni di management in grado di sostenere le band alternative dovevamo autogestirci e non essendoci nemmeno un circuito di club da contattare lasciavamo semplicemente che chi fosse interessato ci chiamasse. Di solito erano quei pochi locali che avevano il coraggio di presentare gruppi fuori dal circuito commerciale ed essendo davvero pochi il più delle volte suonavamo nei teatri.

D: Negli anni ’80 avete partecipato più di una volta alle produzioni discografiche della fanzine Rockgarage, coordinata da Marco Pandin, vuoi raccontarmi di questa esperienza?
R: Nel piccolo cosmo della musica alternativa ogni tanto emergevano figure che oggi andrebbero santificate. Persone che avevano come noi solo l’intento e il bisogno di fare qualcosa di creativo slegate da qualsiasi logica commerciale e redditizia. Marco Pandin era una di queste, ci veniva a trovare con Mirco Salvadori (che poi finì a scrivere su Rockerilla) eravamo sulla stessa frequenza e il loro Rockgarage era una delle migliori fanzine Italiane completamente autogestite, grazie a loro e alle loro pubblicazioni, oggi possiamo godere di uno spaccato dell’epoca davvero prezioso. Avevamo un ottimo rapporto anche con Mario Rivera direttore di Rockerilla, altra grande figura dell’epoca.

D: Ricordi altri autori di fanzine con cui collaboraste?
R: Oltre a Rockgarage di Marco Pandin direi “Nuova Fahrenheit“, una Punkzine friulana del 1981 che fu la prima a recensirci, “Tribal Cabaret” di Roma che era un supplemento a “Stampa Alternativa” 1984 c.ca e “Urlo Wave” che ben documentò il nostro tramonto in un articolo di Carlo Luccarelli nel 1986.

D: Durante il mese di Febbraio del 1983 avete fatto da spalla ai The Sound. Li avete conosciuti? Hai un ricordo particolare di Adrian Borland?
R: Aprire i concerti di un gruppo inglese era motivo d’orgoglio, ma anche di leggera frustrazione, le band anglosassoni, in particolare, sono le più snob e la prima data a Bologna non ci fu permesso di usare la loro batteria, inoltre dovemmo persino occuparci di regolare il mixer per il nostro set, il loro fonico non era disponibile. A Milano e Firenze le cose non cambiarono molto, poi suonammo dalle nostre parti e durante la nostra esibizione vidi Borland sotto il palco che seguiva attentamente il concerto. La stessa notte venne nel nostro studio e suonammo assieme fino all’alba (esiste una testimonianza di questo set su YouTube)

Da quel momento il nostro rapporto cambiò completamente. Avremmo avuto un altra data da fare a Brescia ma per noi che eravamo totalmente autogestiti le risorse economiche erano finite, Adrian Borland si offrì di pagare tutte le spese purchè continuassimo il tour con loro …. e così fu. Conoscemmo dunque la supponenza e nello stesso tempo la fragile anima di uno degli artisti più sensibili e rimpianti dell’epoca.
Nel 2008 registrammo un brano ( tuttora inedito) che raccontava quella storia:

ADRIAN
Dorme in alto il perdente del niente riposa nel silenzio fatto di suono
eravamo seduti nell’attesa silente al cospetto di albione cieco di gloria umili e fieri, volenti o nolenti
eravamo pronti a piegare quel palco col peso del cuore gonfio d’orgoglio in conflitto indiretto col fragile mito che canta tragedie sommerse dal vento
banale ragione ( vera e sincera): la musica unisce e complice il tempo condiviso nel fato il disgelo in febbraio non era mai capitato
e sotto quel palco la sua ammirazione un istante vissuto e il contatto attivato e poi nella notte nel nostro rifugio cantando canzoni di miti comuni
e ancora un momento il più emozionante quando qualcuno è talmente sincero da farti sentire parte di lui cercavi la luce nel tormento perpetuo fragile anima che ci insegni ancor’oggi che la vita è un istante di un eterno momento…

D: Ricordo che all’epoca si chiaccherava di un antagonismo con un altro gruppo new wave veneto, i Plasticost.
R: Anche nel nostro piccolo il gossip dei fans si faceva sentire, ognuno a difendere campanilisticamente la propria band dalla quale in qualche modo si sentiva rappresentato. In realtà eravamo considerati rivali solo perchè abitavamo in paesi diversi distanti appena 5 km. In verità avevamo grande rispetto e ammirazione reciproca, non c’era competizione, non c’era nessuna gara e il loro primo Lp è un capolavoro del tempo.
Elio Caneva, il loro geniale bassista, era in banco con me al liceo artistico e con Fox ci ridiamo sopra ogni volta.

D: Russian Dolls invece esce come mini LP, rispetto all’album d’esordio come fu accolto?
R: Volevamo approfondire la corrente “Dark” della new wave e questa tendenza per alcuni giornalisti sembrava renderci più ermetici, in realtà il brano “Recall” ci diede una considerevole spinta di popolarità, grazie anche al videoclip realizzato per l’occasione (su Youtube da settembre 2012 ). Russian Dolls doveva essere un assaggio del nuovo lp che di fatto rimase nel cassetto fino al 2006. Il disco (caso più unico che raro per l’epoca) fu recensito anche da “SPEX“, prestigiosa rivista musicale tedesca.

D: La copertina di Russian Dolls invece è illustrata, un disegno che si srotola.
R: Le “Dolls” sono in copertina e il loro fare surreale e non-sense rifletteva perfettamente il nostro stato d’animo.

D: La metà degli anni ’80 è stata cruciale per i Frigidaire Tango, siete invitati alla Biennale d’arte di Barcellona per alcuni concerti.
R: A dir la verità era il novembre del 1985, Luciano “Fricchetti” Trevisan era un’ altro personaggio che da Venezia movimentava la scena. (Negli anni ottanta diventò scopritore e manager dei Pitura Freska). Da Barcellona richiedevano una selezione di band che meglio rappresentassero l’arte di far musica in Italia per far parte della I° Biennale dei giovani artisti europei. C’erano i CCCP, i Litfiba, i mitici Detonazione, i Bisca ecc. C’erano locali stupendi che accoglievano le band e si respirava un aria di creatività in ogni angolo … finalmente ci sentivamo nel posto giusto.

D: Come era il rapporto con gli altri gruppi italiani e quindi con la scena indipendente musicale?
R: Tenendo conto che il potere comunicativo era praticamente nullo rispetto ad oggi (internet, telefonini ecc.), il decentamento geografico ci costringeva a muoverci fisicamente per poter socializzare.
Il rapporto dunque era prevalentemente epistolare e a proposito vorrei cogliere l’occasione per rendere pubblico un documento che ho da poco ritrovato dentro al freezer e che rende bene l’idea. Nell’estate del 1983 giravano voci infondate sullo scioglimento della band e questa lettera di Federico Fiumani dei Diaframma scritta al nostro bassista è indicativa sul tenore dei rapporti.

D: Da Barcellona tornate in Italia e poco dopo il congelatore si ferma. Ti va di parlarne?
R: I motivi furono molteplici ma nessuno determinante. Stanchi e saturi della nostra convivenza, confusi tra gli orizzonti certi nel mondo del lavoro e l’incognita della nostra arte che evidentemente non sarebbe bastata per tirare avanti, spaesati di fronte al peggior periodo musicale del secolo scorso che ci portò infatti a continuare a divertirci senza impegno andando incontro con curiosità e spensieratezza al primo grande riflusso degli anni sessanta fino a cambiare nome per reinventarci sotto mentite spoglie come “The Vindicators” (un’esperienza meravigliosa).

D: Vorrei conoscere un po’ della distribuzione dei vostri dischi? E che tiratura avevano raggiunto?
R: Di “The Cock” furono stampate in totale 1200 copie, la copertina aveva un formato leggermente fuori standard e fu pubblicato e distribuito dalla Young Records di Mariano Barbieri alla fine del 1981.
Il mini lp “Russian Dolls” arrivò a 2000 copie, fu totalmente autoprodotto e venne distribuito dal “Pick up” di Bassano del Grappa che di fatto era il negozio di dischi della nostra città ma anche uno dei Record Shop più famosi d’Italia grazie all’incredibile catalogo di musica alternativa che offriva.

D: Anno 2006, “… Il tango era nel congelatore.” [chiusa dal testo di New Wave Anthem], esce il cofanetto The Freezer Box.
R: Più che un congelatore erano scatoloni pieni di nastri, cassette e bobine varie, ma la metafora ci sta tutta, il congelatore preserva cose che possono sempre diventare commestibili. dunque, Nel 2004 mi misi d’impegno ad “assaggiare” e riascoltare tutto, catalogando ogni cosa, c’era materiale per fare almeno tre dischi inediti ma mi concentrai su quello che avrebbe dovuto essere il secondo lp ufficiale: “Music For Us“. Ci vollero mesi per sistemare e far rivivere quella musica. Poi ne approfittai per aggiungere alcune outtakes a “The Cock” e infine feci una rigida selezione del materiale live dando la precedenza al concerto di Barcellona che rappresentava un po’ la maturità del nostro sound. Il box contiene un libro di foto e il racconto cronologico del cammino della band … congelatore in parte svuotato.

D: Non vi siete fermati alla ristampa, dopo tre anni i Frigidaire Tango tornano con un nuovo album “L’Illusione Del Volo“.
R: La lusinghiera accoglienza di “The Freezer Box” ci stimolò non poco, inoltre eravamo dopo vent’anni tutti di nuovo disponibili, una specie di seconda giovinezza. Io e Steve, non avendo praticamente mai smesso di far musica, avevamo nuovo materiale su cui lavorare e giusto per non farci mancare niente riportammo in vita alcune tracce inedite scritte da Mark Brenda nel 1980.
Credo che “L’illusione del Volo” sia un disco molto denso e per certi versi anche pesante ma rispecchia sinceramente i nostri stati d’animo. Contiene degli echi degli anni ottanta ma di fatto è un disco che riflette il nostro presente.

D: La situazione attuale è diametralmente opposta, mi sembra che si viva di passato, poche band sperimentano nuove vie creative. Non trovi?
R: La musica, come tutte le forme d’arte, vive di stimoli esterni che a loro volta influenzano le nostre scelte, oggi la società è spaventosamente invasiva e l’unico modo per difenderti è urlarle contro o rifugiarti nei meandri della tua coscienza. La situazione globale, ma specialmente quella occidentale è arrivata a un grado di saturazione in ogni reparto, comprese le forme d’arte. la musica fa fatica a trovare ispirazione, il Rock ha ormai sessant’anni e persino la giovane elettronica sembra aver concluso la sua parabola, dal 2000 i dischi importanti sono meno delle dita di una mano e se anche sicuramente esistono continuamente musicisti che sperimentano, non riescono più a far parte di una scena perchè il loro legame con la società non è più determinante.

D:  In funzione di questo da dov’è scaturita la voglia di ritornare insieme a suonare? Avete forse intravisto un spiraglio di luce? Per spiraglio di luce mi riferisco alla vostra etichetta “La Tempesta Dischi“, avulsa da logiche commerciali. Mi sbaglio?
R: La Tempesta è la concretizzazione di un sogno di molti pionieri dell’epoca. In quegli anni la competizione con chi aveva il monopolio della musica in Italia era persa in partenza. I costi per una produzione erano proibitivi.
Dagli anni novanta con l’avvento di internet e di un supporto meno costoso come il CD si è iniziato a combattere quasi ad armi pari. Ora serviva buona volontà, cultura, passione e buon gusto, tutte caratteristiche che hanno fatto dell’etichetta dei “Tre Allegri ragazzi morti” una realtà invidiabile. Alcuni artisti della loro etichetta hanno un seguito che si è creato solo grazie alla loro arte e non ad un indottrinamento mediatico e coercitivo fatto esclusivamente di Marketing o altre minchiate.

D: Dagli anni ’80 ad oggi, come vi siete organizzati per provare i vecchi e i nuovi pezzi? Immagino che tutti abbiate famiglia e lavoro.
R: Come già spiegato, l’entusiasmo ti rende libero. Ovviamente chi aveva più tempo ha lavorato più intensamente ma il risultato nell’insieme superava anche quello del passato a quasi cinquant’anni si è più consapevoli e in parte si ha più il controllo dei propri mezzi e in definitiva ci siamo tutti presi una vacanza dalla routine del nostro tempo.

D: Un’altra novità è  la decisione di cantare in italiano ne L’ Illusione Del Volo (2009), mi ha stupito, e a tratti l’ho trovata spiazzante. L’ascoltatore italiano tende ad essere esterofilo, è solito concentrarsi sulla musica e il testo passa spesso in secondo piano. La scelta dell’italiano com’è nata?
R: Inizialmente eravamo concordi a mantenere il cantato in inglese, se non altro per dare un seguito coerente a ciò che avevamo fatto. Furono registrati i primi otto brani tutti in inglese, poi iniziammo a riflettere e ci rendemmo conto che i tempi e la percezione erano cambiati, all’epoca fu proprio la certezza che l’ascoltatore medio era esterofilo che ci fece protendere verso un progetto che avesse questa caratteristica, forse perchè eravamo ingenuamente esterofili anche noi. Paradossalmente rientrando in “campo” ci rendemmo conto che c’era una corrente di rinnovamento nella musica italiana più di quanto non ce ne fosse nel panorama internazionale. Ovviamente anche la Tempesta spingeva in questo senso visto che il catalogo dell’etichetta comprendeva solo band di lingua madre. Ma ciò che banalmente determinò la scelta fu l’idea che finalmente l’ascoltatore italiano avrebbe capito in tempo reale ciò che dicevo.
Abbiamo dunque lasciato nel nostro nuovo congelatore almeno una decina di brani inediti cantati in inglese.

D: Giorgio Canali ha collaborato ne L’ Illusione Del Volo, puoi raccontarmi perché lo avete coinvolto?
R: Giorgio stava curando alcune produzioni nel nostro studio e si era dichiarato un nostro vecchio fan, non avevamo mai avuto in passato bisogno di elementi esterni che mettessero le mani sulla nostra musica ma Canali era sulla nostra frequenza e si è sviluppato un rapporto che va aldilà dell’aspetto tecnico. Con il lavoro eravamo già avanti ma il suo apporto nel missaggio del disco fu fondamentale.

D: Siete riusciti a suonare in giro per l’Italia o avete trovato difficoltà?
R: Abbiamo fatto circa una dozzina di date, coordinare il tempo a disposizione per i concerti è risultato più difficile del previsto, Steve viaggia continuamente e come lui altri della band, l’attività live l’abbiamo interpretata come un optional.

D: Carlo, ci sono novità per il futuro musicale dei Frigidaire Tango?
R: A dir la verità io e Steve abbiamo da poco rimesso in piedi i “Vindicators” dei quali è uscito da poco un doppio CD: “Greatest Hits + Live“, giusto per riassaporare quell’altro modo di far musica, ma sono convinto (guarda caso ne abbiamo parlato proprio stasera) che ci sarà un seguito a L’ Illusione Del Volo e se non troveremo ispirazione dal presente ce la cercheremo nel futuro.

Riferimenti:

Sito ufficiale dei Frigidaire Tango
Pagina dei Frigidaire Tango su Facebook
Discografia ufficiale dei Frigidaire Tango
Frigidaire Tango su Wikipedia
La Tempesta

Playlist video Frigidaire Tango

Frigidaire Tango – Ultimo Concerto (documentario)

Foto album Frigidaire Tango

Un ringraziamento specialissimo a Monica del blog Over The Wall per l’aiuto.




Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :