(
1 voti, media:
4.00 su 5)
8out of10 based on 1
Loading ...
A Parigi scoppia il caos in seguito all’annunciata elezione di un canditato di estrema destra: nel frattempo un gruppo di ragazzi sta fuggendo da una tentata rapina, al fine di trovare scampo fuori città. Troveranno presto il posto sbagliato in cui fermarsi…
In breve. Una prova di horror francese moderno tanto eccellente quanto eccessiva nella rappresentazione della violenza. Lo spettatore è avvolto da una spirale di tensione e crudeltà interminabile, molto realistica e senza fronzoli inutili: il tutto in trepidante attesa di una liberazione che assume probabilmente più di un significato. Strizza l’occhio a Non aprite quella porta, ma lo fa senza risultare noioso e privo di personalità: è il ritorno in pompa magna del cinema di genere, per di più con espliciti significati politici.
La caratteristica più singolare di questa pellicola di Gens, probabilmente, risiede proprio nel suo essere profondamente politico nonchè schierato: non che questa sia una vera e propria invenzione del regista in questione, che peraltro rielabora gli stereotipi del genere in modo davvero notevole e quasi mai scontato, ma si tratta di un qualcosa che emerge come caratteristica di spicco e schiaccia qualsiasi altra considerazione. Ambientando le vicende in uno scenario tanto realistico – e vicino a noi europei – quanto caotico, e seguendo vagamente l’espressione di disagio urbano del celebre Distretto 13 carpenteriano, il regista delinea la storia di un gruppo di disperati, oppressi da problemi sociali e personali che sembrano ordinariamente calpestarli (provengono dalle banlieue parigine): dopo una rapina di 125.000 dollari si trovano le autorità addosso, e solo miracolosamente riescono a fuggire. L’unica ragazza del gruppo sembra essere incinta, il fratello è gravemente ferito, e si delineano fin da subito forti tensioni interne tra i protagonisti, il tutto espresso con un’efficacia poggiata su uno script dettagliato e solido: del resto lo scenario muterà molto presto, e lo farà in una direzione decisamente imprevedibile. Senza voler degenerare in spoiler che brucino inutilmente le tante sorprese che “Frontiers” riserva, è importante sapere che le dinamiche diventeranno presto non tanto quelle del torture-porn – un termine che, ribadisco per l’ennesima volta, è stato talmente utilizzato a vanvera da non significare quasi più nulla – quanto quelle “preda-predatore”. I “cattivi” in questo film non solo uccidono, ma attendono con calma, in modo estenuante l’arrivo della preda, nella consapevolezza di essere quasi inattaccabili proprio perchè “pesci più grossi”. Tanta è la capacità del film di mostrare l’esasperazione del contrasto tra i “cattivi” e gli “anti-eroi” della storia, che in certi momenti lo spettatore sentirà quasi il dovere, la necessità di fare qualcosa, di intervenire e menare “virtualmente” le mani. Questo non tanto per quello che si vedrà dalla metà del film in poi – che non è certo per tutti, nè ci va “alla leggera” – quanto perchè la famiglia di gestori del motel possiedono un’identità politica molto precisa (e sono “parenti” stretti di Leatherface e compagnia, tra l’altro uno degli horror più citati di tutti i tempi) : sono infatti apertamente filo-nazisti, ed il regista non perde occasione per farci notare questo dettaglio non da poco. È chiaro che inquadrare il discorso solo in questi termini sarebbe sembrato quasi banale: invece contestualizzare – come “Frontiers” fa – all’interno della recente vittoria di un partito francese di estrema destra colloca le sevizie mostrate in un’inquietante ordinarietà. Per quanto i balordi imbracciando mitra e coltelli anche a tavola sembrino solo grotteschi, il sottotesto specificato all’inizio fa passare l’idea che possa esistere sul serio gente che pratica cannibalismo, sottomette le donne e veste come un gerarca con la stessa naturalezza con cui farebbe una doccia o un giro in bicicletta. Sono probabilmente solo simboli, oggi, che assumono una valenza quasi esclusivamente storica che nessuno dovrebbe rimuovere dalla memoria, a mio parere, ma che continuano a fare paura proprio perchè in molte persone quelle idee violente sembrano continuare a vivere imperterrite ancora oggi. È questo suggerire subdolo ed incessante che finisce per turbare realmente lo spettatore, ed inchiodarlo letteralmente alla poltrona fino ad un finale imprevedibile e, a suo modo, parzialmente aperto. Nella pellicola, sempre di alto ritmo e mai monotona, non mancano momenti di vaga ironia, un cupo pessimismo di fondo ed una Karina Testa in un’interpretazione splendida, degna di una scream queen di altri tempi. Non pensiate con quello che ho scritto, comunque, ad un film rigidamente politico o riflessivo poichè non mancano, tra un messaggio e l’altro, momenti di azione pura ed efferatezze assortite, sempre funzionali ad esprimere un certo discorso ma senza dimenticare di fare un “semplice” buon horror. È anche chiaro che Frontiers, in modo più esplicito del similare A Serbian Film, sottintende un sottotesto politico preciso che, a confronto della pellicola appena citata, è importante di per sè per valorizzare il film stesso: la famiglia di maniaci è governata dall’inquietante Padre, che ricorda nell’aspetto il gerarca nazista de “Il maratoneta” e ne ricalca le crudeltà all’ennesima potenza. Archetipo molto focalizzato di villain del nuovo millennio, terrorizza per il suo voler costruire un modello di famiglia perfetta-ariana, basandosi sulla violenza, sulla sottomissione dei familiari (e delle donne in particolare) e indirettamente legittimato dall’andazzo politico che fa da sfondo, arriva per questo a fare addirittura impallidire i simbolismi – rivolti a fare sarcasmo sulla happy family americana – dello stesso cult di Hooper. Resta vero che il film di Gens ha una valenza, un’ambientazione e soprattutto un’età molto differente da quest’ultimo, per cui ogni paragone si dovrebbe limitare per forza di cose. Comunque stiano le cose, quello che conta sul serio è che “Frontiers” è un gran film, coinvolge appieno lo spettatore ed offre spunti riflessivi davvero infiniti: una pellicola del filone più estremo, certamente, che pero’ rifiuta di appartenere alla mera exploitation e che invece serve a lanciare messaggi precisi – piuttosto pessimisti, come dicevamo – e molto ben amalgamati. Alla luce di quanto scritto, quando sentirete qualcuno parlare dei “cari horror di una volta” che oggi non fanno più, potete citare tranquillamente questa pellicola come contro-esempio di livello, senza fare per questo – e per quello che conta! – brutta figura. Da guardare con un minimo di cautela se siete troppo impressionabili, per quanto si sia visto realmente di peggio in questi anni, e quasi sempre senza giustificazioni.