Frutta e verdure importate dall’America dopo Cristoforo Colombo

Creato il 25 gennaio 2015 da Justnewsitpietro

Frutta e verdure importate dall’America dopo Cristoforo Colombo
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Rappresentano le basi fondamentali di una corretta alimentazione e a sentire i nutrizionisti si direbbero dei rimedi naturali per cancro e obesità. Ma gran parte della frutta e della verdura che si trova nei supermercati è giunta in Europa tra il XV e il XVI secolo, dopo che Cristoforo Colombo aveva scoperto l’America.

Da quel momento, grande fu lo scambio culinario tra il Vecchio e il Nuovo continente. Furono i Conquistadores spagnoli, nel 1521, approdati in Messico, a trovare, al posto dell’oro e dell’argento tanto sognato, una grande quantità di piante sconosciute, come il mais, l’avocado, la zucca, il fagiolo rosso, il pomodoro, la vaniglia, la patata, il cacao e le noccioline; e frutti tropicali come l’ananas, il mango e la papaya.

Eppure la loro bontà – ma soprattutto la loro utilità – non fu compresa da subito. Erano le navi dei Conquistadores che partivano da Veracruz e arrivavano a Cadice, dalla metà del XVI secolo, a trasportare tutti questi tesori più preziosi dell’oro e dell’argento. Ma il pomodoro, ad esempio, che era uno di questi, fu utilizzato dapprima con una funzione solo ornamentale (era considerato troppo bello per essere anche buono). Così, invece di mangiarlo, visto che era ritenuto velenoso, lo si usava per abbellire parchi e giardini nobiliari. Originario del Messico e delle Ande peruviane, il pomodoro giunse in Italia dapprima nelle repubbliche marinare di Napoli e Genova. In Francia si dovrà aspettare addirittura la vittoria di Marengo per considerarlo un ottimo prodotto culinario, poiché fu il cuoco di Napoleone a preparare il cosiddetto pollo alla Marengo adottando gli alimenti che aveva a disposizione (pollo, pomodori, aglio, olio e pane).

Anche il mais, scoperto a Cuba, fu importato dal Nuovo Continente. Intorno al 1000 a.C., gli antenati degli indiani Hopi lo usavano per preparare la pasta delle Tortillas e attribuivano al mais un’origine divina, come era scritto nel libro sacro dei Maya. Ma gli spagnoli e i portoghesi lo utilizzarono soprattutto per la preparazione della farina.

La patata (Solanum tuberosum), come il pomodoro, fu dapprima usata come mangime per il bestiame e solo in un secondo momento giunse nelle case e nelle cucine degli europei.

Questo senza dimenticare i frutti tropicali come l’ananas o il fico d’india. L’ananas (Ananas sativus) è un frutto ricco di vitamine e di bromelina, un enzima proteolitico che favorisce la digestione proteica. Il fico d’india (Opuntia ficus indica) permette di ricavare dal suo fusto, il cladodo, parecchi eteropolisaccaridi, fibre dimagranti che vanno accompagnate a un alto consumo d’acqua per ridurre il senso della fame.

Immagine: Pixabay

Dall’America provengono anche il peperone (Capsicum annum), con importanti funzioni fitoterapiche, la fragola, ricca di vitamina C, ma anche il tabacco (Nicotiana tabacum) e il cacao.

Non soltanto importazione ma anche esportazione verso le Americhe: asparagi, cetrioli, carciofi, cardi, cavoli, lattuga, sedano, melograni, more e pere.

Più nello specifico, grazie ai coloni spagnoli e francesi, nel Settecento il carciofo e i cardi, in California e in Louisiana, divennero una pianta infestante, mentre gli zucchini, derivati dalle zucche, furono importate in America dagli emigrati italiani nel ‘900. Da qui si spiega perché in America si dice “one zucchini”.

Per quanto riguarda le proprietà terapeutiche di frutta e verdura, la questione è ancora molto dibattuta. Una dieta ricca di frutta e verdura ridurrebbe il rischio di tumore al colon o di cancro al seno o alla prostata e rimedierebbe ai danni causati da uno stile di vita poco salutare, caratterizzato per esempio dall’abuso di alcol e fumo.

Secondo i dati raccolti dall’EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), invece, su uno studio condotto nell’arco di otto anni e su oltre 400 mila persone europee, un’alimentazione caratterizzata da un’abbondante quantità di frutta e verdura non influenzerebbe più di tanto il rischio di ammalarsi di tumore e anzi la protezione sarebbe minima.

Tuttavia, proprio di recente l’UNAPROA (Unione Nazionale Organizzazioni Produttori ortofrutticoli, agrumai e frutta a guscio) ha promosso una campagna intitolata “Nutritevi dei colori della vita – i 5 colori del benessere”, a sensibilizzare i consumatori sulle proprietà benefiche di frutta e verdura. Un’iniziativa che andrà avanti fino al 2017 e che godrà del cofinanziamento del Ministero delle Politiche Agricole e dell’Unione Europea.

I colori della frutta e della verdura rappresentano alcune proprietà e variarli in continuazione permette al nostro organismo di assorbire svariati nutrienti e sostanze benefiche.

Questa campagna è stata promossa anche in virtù del basso consumo di frutta e verdura e secondo Ambrogio De Ponti, presidente di UNAPROA, non sarebbe male far merenda con una macedonia piuttosto che con prodotti industriali pieni di conservanti.

Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano, ha confermato che mangiando spesso frutta e verdura si può ridurre fino al 20% il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari e tumori, e in particolare quelli dell’apparato digerente.

Secondo la “Gazzetta del Mezzogiorno”, l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) consiglierebbe il consumo di almeno 400 grammi giornalieri di frutta e verdura, mentre gli italiani arrivano, in media, a non più di 360 grammi, per un totale di circa 130,6 chili a persona nel 2014. E se la Basilicata e la Calabria sono le regioni con il più basso consumo di frutta e verdura (5%), secondo un’indagine di Coldiretti riportata dalla “Gazzetta del Mezzogiorno”, è la Liguria, con il 18%, a detenere il primato del consumo più alto.

«È chiaro che questi dati sono preoccupanti e direttamente correlati con i cambiamenti negli stili di vita e nell’alimentazione dei lucani», ha detto Piergiorgio Quarto, Presidente regionale della Coldiretti di Basilicata, «e il calo dei consumi di ortofrutta ne è una delle concause non indifferenti.»

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