È un periodo che si fa un gran parlare di Banksy. Merito delle sue folli, illuminanti provocazioni. E anche di uffici stampa sempre più efficaci. Detto questo, per meglio comprendere le logiche e il senso delle incursioni dello street artist inglese, ci vengono in soccorso il bel libro di Sabina de Gregori Banksy il terrorista dell’arte (Castelvecchi Editore, 2010) e il documentario attribuito allo stesso Banksy Exit Through the Gift Shop (2010), presentato al Sundance Film Festival del 2010.
Per una volta è doveroso abbandonare l’esterofilia e tornare in Italia. Niente Puffi o Na’vi, per tingersi basta Blu. Street artist bolognese che usa un metodo tanto “facile” quanto sconvolgente: applicare l’animazione in stop-motion al graffito. Un lavoro che si dipana in modo parallelo tra carta, muri e schermi, dagli schizzi alle pareti. Schizofrenia del pensiero e della rappresentazione, pennelli, rulli e carrellate veloci che si trasformano in bocche da fuoco fenomenali.
A partire dal suggestivo ed emblematico Muto fino alla splendida collaborazione con David Ellis di Combo. Una forma di comunicazione e rappresentazione visiva “altra”, quasi aliena perché fin troppo specchio deforme (uniforme?) della realtà. Unico mezzo per scendere in strada e urlare rabbia e ragione, da Varsavia a Los Angeles, da Milano a Mosca, da Barcelona a New York, da Berlino a Lisbona. Ultimo in ordine di tempo – presentato al Festival di Clermont-Ferrand – Big Bang Big Boom. Ovvero come sia nata la vita e quale sia la sua evoluzione. Seguendo flussi, tubi, granchi, esseri voraci, cumuli, uova che si schiudono e una fine ineluttabile, impossibile non pensare all’animazione sperimentale di un genio come Zbigniew Rybczyński. Anno di grazia 1975: quanto ancora stupisce il sublime Oh, I Can’t Stop! (Oj! Nie moge sie zatrzymaci!).
Ipertrofia della visione che non riesce mai a fermarsi. Per andare avanti ancora e ancora ancora ancora ancora ancora ancora ancora ancora ancora…