Fuga dalle Tenebre. Racconto horror di Iannozzi Giuseppe illustrato da Valeria Chatterly Rosenkreutz

Creato il 26 gennaio 2014 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Fuga dalle Tenebre

di Iannozzi Giuseppe

escaping darkness by Chatterly

Escaping Darkness è opera di Valeria Chatterly Rosenkreutz


Iannozzi Giuseppe racconta

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La 1ma versione del racconto è possibile leggerla su Iannozzi Giuseppe racconta, qui.

Andato all’Obitorio. Mi hanno detto che… che la cura non è possibile. Allora subito alle Pompe Funebri sin tanto che il corpo non ancora disfatto, freddo.

Due maniglie in ottone. Io le volevo d’oro massiccio. Finite. L’Impresario Funebre mi ha spiegato che questi non sono proprio Tempi Morti e che oggi si fanno buoni affari davvero: basta non fare la mano morta con qualche Vedova troppo in vista, troppo curata dalla società. Io l’ho guardato strano, ed allora lui subito mi ha spiegato che tra americani, forze di pace inventate e fondamentalismo islamico e cristiano a tutto spiano, i cadaveri piovono che è una bellezza, come la manna dal cielo praticamente.
“Caro Signore, dopo i ghetti di Varsavia e di Roma, una simile abbondanza era insperata. Ma Dio ci vuole bene, Dio ama tutti. Ama alla follia anche noi poveri becchini!”: così mi ha detto mentre mi stringeva la mano e ci accordavamo per una bara non troppo di lusso, non povera.
“E’ per lei, la bara?”

“Oh! No, non si faccia strane idee. Questa è per una persona che è morta sul serio.”
“Non lo metto in dubbio. Per una persona. Mica per un Can Malfusso!”
“Le confesserò che ho provato una cura. Tutto inutile.”
“In questi casi, l’unica è una buona sepoltura.”
“Sì, forse è così. Solo che non mi rassegno. Però, se dovesse andar male anche così, c’è sempre la Riesumazione…”.
“Certo. E’ tutto specificato nel Contratto.”
“Non ci vuole un Permesso speciale per la Riesumazione?”
”Una volta era come dice Lei, ma oggi le pratiche le gestiamo noi delle Pompe Funebri.”
“Sì, credo di capire.” Gli stringo la mano: è fredda. Molto. Una smorfia sul viso, quello mio. L’Impresario si accorge presto del mio disgusto.
“Qualcosa non va?”, suggerisce con freddezza. E subito cerca di correggere il tono in un tripudio effeminato di socievolezza: “Sono a sua completa disposizione, Signore!”
“Mi è solo parso che la sua mano…”, balbetto confuso.
“Ah! Capita a tutti la prima volta. O la seconda. O la terza… Poi ci si fa l’Abitudine.”
“Peccato per le maniglie”, dico distrattamente. Poi aggiungo, in tono quasi distratto: “Le avrei preferite d’oro. Non si sa mai.”
”Purtroppo le maniglie d’oro, finite. Quelle di ottone offrono però dei vantaggi non indifferenti.”
“Sì, me l’ha spiegato. Forse ha ragione. Così non c’è rischio che rubino la bara insieme al corpo che conterrà.”
”Infatti. Ha molte capsule d’oro in bocca?”
”No, non una carie io. Neanche capsule. No, io trentadue denti perfetti.” Sospiro. “Purtroppo così non è per il corpo… per il Cadavere. Già, a quest’ora sarà già cadavere.”
“Vuole sottoscrivere un’Assicurazione? Oggi i ladri che circolano nei Cimiteri non si fanno scrupolo alcuno. Certi tombaroli sono anche dei necrofili incalliti. Potrei raccontarle delle storie che la sotterrerebbero all’istante tanto sono vergognose.”
“Non aggiunga altro, la prego. Ha ragione lei, poco ma sicuro. Non si sta in Pace neanche sottoterra. C’è però che in fondo sono morti. Tutti.”
”Sì. E’ comunque un oltraggio cavargli di bocca l’oro… E quando non ci riescono, si portano via tutto il corpo.”
”Una disgrazia. Terribile. E’ successo a uno che conosco… Cioè che conoscevo. Terribile davvero. La famiglia, non le dico quanto ha pianto sul fattaccio.”
“Allora, la facciamo questa Assicurazione?”
”Non ho soldi, non abbastanza. Fosse stato per le due maniglie d’oro, ma l’Assicurazione è cara. Non me la posso permettere.”
Mi stringe la mano, quasi con compassione, quasi schifato. “Quand’è così! A presto!”
”Spero non troppo presto.” E intanto penso che dovrei toccarmi i coglioni o fare le corna, o toccare ferro. Non posso, non davanti al dannato Impresario.
I baffetti hitleriani dell’Impresario Funebre tremano: lo noto che è agitato, molto agitato. Ha un Diavolo per capello.
“Non si sa mai!”, ringhia fra i denti.
“Addio!”, grido. E me la squaglio.
Una volta fuori respiro, finalmente, e mi tocco i coglioni una due tre volte ché non si sa mai.
Non passa un cane oggi. Le strade sono vuote. Le finestre si affacciano su una Milano grigia, tale e quale a un lager.
Un brivido freddo mi corre lungo la schiena. Mi sento come spiato. Getto un’occhiata all’intorno. Ho l’impressione che dalle finestre occhi alieni mi spiino.
Mi accendo una sigaretta. Le mani mi tremano. Purtroppo non potevo più far finta di niente. Sono stato costretto a uscire, a recarmi alle Pompe Funebri. Ora ho paura.
Aspetto che il semaforo si faccia verde.
Ci impiega un’eternità.
Ho finito di fumare la sigaretta.
Getto la cicca sull’asfalto nero. Osservo la cicca morire a una velocità impressionante.
Il semaforo non vuol diventare verde.
Non è sul rosso. E’ sull’arancione.
Guardo a destra. Guardo a sinistra.
Non si vede nessuno.
Non posso stare qui. Devo attraversare, passare sull’altro lato.
Perché diavolo ho così paura?
Non c’è nessuno. Milano è morta. Lo sanno tutti che è così e che la situazione non cambierà dall’oggi al domani.
Mi faccio coraggio e prendo ad attraversare la strada stando ben attento a non uscire dalle strisce pedonali.
All’improvviso lo vedo.
E’ il muso d’un camion.
Non ho idea da dove possa esser sbucato.
Non ho scampo. Le gambe sono paralizzate.
Chiudo gli occhi sperando che mi metta sotto e non mi lasci agonizzante sull’asfalto di questa cazzo di città.

Sono sull’altro lato.
L’Impresario Funebre è ancora abbracciato al mio corpo. Sento il suo alito mefitico sulla mia faccia, ma, in questo momento, lo amo, lo amo più della mia stessa vita.
“Diavolo, non ha preso la fattura. Lei vuol farmi passare un guaio.”
“Non capisco”, balbetto.
“Non scherzi. Il Fisco mi avrebbe fatto secco senza pensarci su due volte. Un cliente non può acquistare una cassa da morto e uscire bello bello dalle Pompe Funebri senza regolare fattura”, mi spiega tutto affannato, più bianco d’un cadavere.
“Prenda la fattura, la prego”, mi supplica continuando ad alitarmi addosso.
La prendo fra i denti.
L’Impresario si alza e anch’io posso riacquistare la posizione eretta.
Ci stringiamo la mano. La sua continua ad essere fredda.
Lo vedo allontanarsi in tutta tranquillità.
Il semaforo gli dà subito il verde e lui attraversa.
Con la fattura ancora fra i denti penso che vita e morte sono cose strane che vivono in simbiosi ma impossibili da capire. Penso che con un aiuto insperato le tenebre non mi hanno avuto.
Domani però è un altro giorno.