Stanley Kubrick è, fin da sempre, il mio regista preferito. Inizialmente tale 'onore' era spettato a Steven Spielberg, un tizio che nonostante l'infiacchimento degli ultimi anni aveva saputo davvero alimentare la mia fantasia di bambino, però crescendo ed esplorando un certo tipo di cinema, non potei fare a meno di imbattermi nel nome del nostro caro Stanlio. Un grande, di certo un genio, uno che ha sempre saputo osare e trattare temi scomodissimi - da qui anche un numero di film prodotti non altissimo, ai quali seguirono sempre delle polemiche allucinanti - e con quel suo tocco che non ammetteva di certo mezze misure. E per quanto Stanis abbia la sua idea (offrendoci una perla della comicità nostrana) io rimango della mia. La sua grandezza sta proprio lì, nell'aver saputo affrontare sempre un genere diverso dall'altro, arrivando, a quello che è stato il suo penultimo lavoro, a trattare il delicato tema della guerra. Ma a farlo alla sua maniera, con quel suo tocco di cinismo e crudeltà, senza peli sulla lingua né sulla baionetta. Full Metal Jacket quindi è un film abbastanza particolare nella sua produzione, un qualcosa di più terra-terra che affronta un tema sempre di sconcertante attualità, senza paura di impressionare e in maniera inusuale.
Si seguono le vicende di un gruppo di marine americani. La prima parte ci fa vedere il loro addestramento, per mano del luciferino sergente maggiore Hartmann, la teoria, mentre la pratica sul campo di battaglia nella seconda parte, tramite gli occhi del soldato Joker.
La guerra è stata raccontata i tutti i modi. Figuratevi, Guerra era uno dei miei villain preferiti nel fumetto John Doe, ma ne riconosco anche la potenza narrativa e tematica. Cosa ne sarebbe stato di un romanzo come Il Signore degli Anelli o di un racconto come l'Iliade se non ci fosse stata di mezzo una guerra? Ne avrebbero sicuramente perso in potenza, eroismo ed epicità, perché è inutile negarlo, nella narrativa la guerra sa offrire proprio tutte queste cose. Nella realtà invece no. Lì è solo male e distruzione, un qualcosa deciso dai potenti e che va a nuocere unicamente a chi sta in basso, civili o soldati che siano. Perché, inutile girarci intorno, anche i soldati sono delle vittime, a loro modo. Tornando a quello che è unicamente l'aspetto narrativo, però, la guerra può assumere così diverse sfaccettature, da quella che è la cruda realtà delle cose così come una metafora delle battaglie interiori di una persona. A questa rilettura nessun conflitto si presta maggiormente come quello del Vietnam, la più grande batosta subita dagli americani e che ha fatto capire a un'intera nazione di non essere il vertice del mondo come avevano sempre creduto. Tutta questa desolazione è in parte riprodotta in questo film, anche se forse l'intento di Kubrick è un altro: prendere la guerra in Vietnam per farne un ritratto di tutte le guerre ma, soprattutto, dell'effetto devastante che hanno sugli uomini. Full Metal Jacket quindi non è solo un film sulla guerra del Vietnam, ma diventa un film su tutte le guerre e sulla loro capacità di trasformazione. E' proprio per questo che è diviso in due parti. La prima, quella più famosa per tutti quei bimbominkia che continuano a citarne le frasi, è quella che vede il sergente maggiore Hartman (vero ufficiale dei marine in congedo al quale fu lasciata totale libertà recitativa, e doppiato in italiano da Eros Pagni, il quale, in quanto cantante lirico, era uno dei pochi che riusciva a stare al suo passo) spadroneggiare. Lì il soldato viene plasmato, si prendono dei civili e li si piega secondo quelle che sono le regole principali dell'esercito. Regole non belle e particolarmente stupide, intrise di uno strano machismo che non ha pietà di nessuno. Ma rimane comunque una guerra, anche se su scala ridotta, una guerra che, come tutte le guerre, reclama una vittima. E sarà su quella vittima designata che tutte le disgrazie verranno riversate, prima per i metodi crudeli del sergente maggiore e poi per mano dei suoi stessi camerati, portati a quel livello proprio dal loro capo. La guerra quindi ha creato qualcosa, degli uomini con uno scopo, e li ha riversati contro un obiettivo. Poco conta che quell'obiettivo sia solo un panzone un po' ritardato, perché sempre di un obiettivo si tratta. Lo scopo principale quindi è ottenuto: creare non degli uomini, ma degli uomini svuotati e pronti a tutto per qualcosa, degli automi programmati ad obbedire senza pensare. Dopo il tragico epilogo della prima parte, però, segue la pratica sul campo, ed è il soldato Joker ad avere l'ultima parola. Qui Kubrick ci mostra il vero orrore, anche se non si rinuncia mai a una sorta di ironia cinica per tutta la durata del film, togliendo ogni epicità. Possiamo vedere un marine che ride nello sparare da un elicottero ai civili, possiamo vedere gli stesi soldati scherzare col cadavere di un vietcong... e tutto ci viene mostrato con un'inquietante distanza, come se quelle cose non ci riguardassero di persona. Perché nelle guerre è così. Si ha un annullamento totale dell'uomo e della persona, e il film cerca proprio di scavare dentro questo nulla. Cosa resta dentro quelle persone che ormai sono state svuotate di tutto? Cosa resta dentro il nulla? Niente ha mai una fine, neppure il nulla, che può raggiungere una propria profonda vastità. Anche la prima vittima accertata perde di valore quando ti succede la cosa più terribile di tutte: perdere la tua umanità e poi, di colpo, ritrovarla. Ed è proprio ritrovare qualcosa che si credeva perso il vero orrore, perché ti fa comprendere quanto valeva la propria presenza e in cosa ti eri trasformato senza di essa. Il Joker viene così beffato, lo scherzoso si trova vittima della più grande delle barzellette. Cosa resta da fare, quindi? Vivere. E basta. Perché quando vedi il vero orrore di fronte a te e ne sopravvivi, allora puoi continuare a vivere. E vaffanculo alla storia, alla gloria e all'eroismo. Siamo vivi, è questo quello che conta. Vivi per poterlo raccontare.
Un'opera semplice ma, in virtù di questo, di puro genio. La più lucida e spietata riflessione sul più grande orrore di ogni epoca.Voto: ★★★★★