“Io mi sono sempre interessato di fumetti da tempi lontanissimi, da quando ero ragazzo. Me ne occupavo anche ai tempi del “Politecnico ” e ricordo che una volta ho pregato Del Buono di intervenire su certi fumetti americani parlandone non soltanto sotto il profilo sociologico, come succede di solito, ma anche sotto il profilo storico (…) Del resto, uno “spirito di fumetto” c’era anche nel tipo di impaginazione che usavo per il “Politecnico” dove poi c’era una appendice interamente dedicata ai fumetti. Trevisani vi curò la pubblicazione di Li’l Abner e di Barnaby, il ragazzo afflitto dalla psicanalisi. Le storie di Barnaby erano uscite durante la guerra e noi su “Politecnico” ne riportammo due o tre” .
Eco, successivamente, avrebbe ricordato quell’intervista inquadrando meglio il tipo di rapporto esistente tra Vittorini e i fumetti per poi concludere:
“Vittorini sapeva che si può riflettere sull’uomo sia in endecasillabi che in strisce”.
Allora occorreva comunque“fare critica”, distinguere fra disegno e segno, richiamarsi alla semiologia. E Vittorini,che si era occupato di fumetti già ai tempi del Politecnico, poteva anche sostenere con generoso arbitrio che
fra il Salinger del Giovane Holden e lo Schulz dei Peanuts l’artista più rappresentativo era quest’ultimo,il creatore di una microsocietà irriducibile dentro l’America adulta [1] .
Eppure soltanto con il mio saggio “Vittorini e i balloons. Vittorini e i fumetti del Politecnico” [2] per la prima volta si è aperto uno spiraglio su Vittorini sdoganatore di comics e sullo stretto rapporto fra l’editor e la Nona Arte; nel testo analizzavo il contesto politico-culturale della rivista “Il Politecnico” in cui furono inserite, ad esempio, sette strip di Popeye, o tre episodi di Barnaby o ancora articoli sul fumetto e su Walt Disney ed immagini a supporto di saggi e commenti letterari.
L’importanza dell’immagine e delle arti figurative come forma di espressione e come strumento di ridondanza per nozioni e messaggi è evidente già nel numero 1 del 29 settembre 1945 dove Vittorini scrive “non più una cultura che consoli nelle sofferenze , ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini”e nella prima pagina inserisce come corredo del suo articolo “Il popolo spagnolo attende la liberazione” un disegno di Renato Guttuso “L’ultimo atto della reazione spagnola. Banchetto di Erode”.
Insieme al commento di Trevisani su “favole buone e cattive del nostro tempo” vi sono due “quadretti” con protagonisti Arcibaldo (Jiggs in America) con la sua nuvoletta rigorosamente in inglese e Braccio di Ferro; Vittorini, forse, anticipava così l’inaugurazione di un progetto che si vedeva realizzare nel numero del Politecnico mensile datato agosto 1946, dove venivano inserite sette strip di Popeye.
“Fortunello, Arcibaldo, Mio Mao (Topolino) soprattutto Braccio di Ferro non sono solo racconti per i ragazzi sono personaggi umani ed hanno un loro preciso messaggio sia pure modesto da annunciare al mondo. Dimostrano che è possibile raccontare ( e raccontare bene) con qualsiasi mezzo: anche con le storielle a quadretti”.
Così come Trevisani accomunava i comics al cinema , per il taglio delle inquadrature, il ritmo delle sequenze e certi effetti sonori, così Vittorini e la sua redazione verso il fumetto manifestarono anche un’illuminata sensibilità artistica lasciando le nuvolette in lingua originale, come nei film cinematografici, e ponendo i sottotitoli.
(Fumetti contro tutti – prima parte – continua…)
Note:
- E.Berselli , LA REPUBBLICA, E la critica scoprì il fumetto, del 29-4-2005 [↩]
- Bonanno editore, 2008 [↩]