Funzione dei nuraghi

Creato il 01 dicembre 2012 da Pierluigimontalbano

La funzione dei nuraghi
di Mauro Perra.

L’interpretazione della funzione dei nuraghe costituisce un problema enorme per gli studiosi. Ci siamo sempre chiesti a cosa servissero questi oltre 7000 monumenti che caratterizzano il paesaggio sardo. Anzitutto bisogna osservare che questa cifra si riferisce ad un calcolo statistico, ma nella realtà potrebbero essere più numerosi. Già questa affermazione potrebbe suggerirci a cosa servissero.
Se fossero tutti templi si dovrebbe pensare che dedicassero tutto il tempo all’adorazione delle divinità, e non avessero altro da fare. Sappiamo che non erano tombe perché abbiamo le tombe dei giganti che sono contemporanee ai nuraghe. Sappiamo che in una fase successiva, intorno al 1000 a.C., vari nuraghe vengono utilizzati come luoghi di culto.
Le spiegazioni che sono state date sulla funzione dei nuraghe sono molteplici, compresa quella di osservatori astronomici.
Il padre dell’archeologia sarda, il canonico Spano, nella seconda metà dell’Ottocento diceva che erano prigioni. In una delle sue lezioni, il maestro degli archeologi sardi Giovanni Lilliu, disse che a Sassari uno studioso locale dei primi del Novecento sosteneva che i nuraghe erano utilizzati per farvi dei fuochi sulla sommità per scacciare le zanzare.
Fra le varie interpretazioni, la meno peregrina si basa sui dati che gli archeologi ottengono quando vanno a scavare. I nuraghe sono strutture complesse che hanno una pluralità di significati e una vita molto lunga, partono almeno dal XVI a.C. e a oggi hanno circa 3500 anni. Nel loro perdurare sono ricostruiti, trasformati, restaurati e, a partire dal x a.C., intorno ad essi si costruiscono villaggi, anche se sono già crollati, e si arriva fino ai nostri giorni. Tralasciamo i significati moderni, ma già in età punica e romana, i siti dove si trovavano i nuraghe venivano regolarmente utilizzati. In età bizantina alcuni di essi diventano dei luoghi di controllo del territorio. Nella Sardegna centrale, in età moderna, si notano i nuraghe al centro di un territorio, e dalla struttura si dipartono dei muretti a secco che dividono le tanche dei pastori e dei contadini. Dall’Ottocento i nuraghe sono diventati degli importanti punti di riferimento per riconoscere le proprietà dei pastori e degli agricoltori. Sono luoghi conosciuti dalle persone che popolano il territorio. In alcuni luoghi il nuraghe diventa memoria culturale di una determinata popolazione, di un paese che riconosce in quel monumento la propria storia.

Giovanni Lilliu, fra gli anni Cinquanta e Settanta, ha costruito una teoria, un’interpretazione dei nuraghe, basandosi su ciò che aveva scritto prima di lui l’archeologo Antonio Taramelli, il soprintendente per i beni archeologici della Sardegna. Lilliu utilizza un concetto medievale, estendendolo ai nuraghe: sono dei castelli, delle fortezze, con principalmente una funzione militare. Allo stesso tempo, dentro il castello vive il re pastore, il personaggio eminente della comunità che aveva costruito il nuraghe. All’interno viveva il rappresentante del potere politico con la sua famiglia. Attorno al nuraghe c’era il villaggio della popolazione comune. Quest’idea è stata costruita sulla base degli scavi che Lilliu ha condotto a Barumini dal 1948 al 1954. Nel 1955 pubblicò il volume poderoso sugli scavi e nel 1963 uscì con “La civiltà dei sardi”, nel quale spiegava le funzioni dei nuraghe.
Quest’idea è entrata nelle nostre percezioni e la prima cosa che ci viene in mente quando vediamo un nuraghe è pensare ad una fortezza o ad un castello.
Ad Orroli abbiamo il nuraghe Arrubiu. Gli archeologi, quando hanno tolto la terra e le pietre che erano crollate dalla sommità, le hanno misurate e catalogate, e hanno trovato le ultime pietre della torre centrale. Avendo il diametro iniziale e il diametro finale, sono riusciti a calcolare l’altezza, che sfiora i 27 metri, quanto un palazzo di 9 piani. Guardando l’ipotetica ricostruzione del nuraghe Arrubiu verrebbe da pensare che Lilliu aveva ragione. C’è da osservare che è stato trovato, presso il camposanto di Olmedo, un modellino in bronzo che riporta le stesse proporzioni del quadrilobato di Barumini, con la torre centrale alta circa il doppio di quelle laterali.

Nuraghe è una parola pre-latina che non deriva, dunque, dal contatto con i romani. La più antica attestazione l’abbiamo in un’iscrizione latina del I d.C. trovata sull’architrave del nuraghe Aidu Entos di Bortigali. C’è scritto ILI IUR IN NURAC SESSAR il cui significato ha a che vedere con Plinio che ci racconta di tre popolazioni: Ilienses, Balari e Corsi. “I diritti degli Iliensi della regione del Sessar”. Sessar è un toponimo indeclinabile, esattamente come Nurac. Non sono parole latine. Da Nurac derivano Nuraxi al sud e Nurake al nord dell’isola, in logudorese. La radice Nur è evidente in Sardegna dove abbiamo la regione della Nurra. Secondo Giulio Paulis questo termine significa “voragine”, “cavità a forma di pozzo”, come ci aveva suggerito anche Lilliu negli anni Sessanta. I nuraghe si trovano spesso in posizione eminente sul territorio, in posizione di controllo, in luoghi alti. Genna Maria di Villanovaforru è a 409 metri sul livello del mare, sulla sommità di una collina. Genna Maria viene dal latino e significa “porta o passaggio verso il mare”, infatti nelle belle giornate di aria pulita, dal nuraghe si vedono sia il Golfo di Cagliari che quello di Oristano. Abbiamo quindi un primo segnale: i nuraghe sono sempre inseriti in luoghi eminenti del paesaggio.
A partire dagli anni Ottanta si è cominciato a considerare il nuraghe non più come una cattedrale nel deserto, ossia monumenti isolati. Si è studiato il paesaggio intorno agli edifici, per cercare di comprenderne la funzione. Si è estesa la ricerca con i censimenti archeologici, cioè vedere quali altri monumenti e tracce dell’attività dell’uomo erano sparsi intorno a quei nuraghe apparentemente isolati. Nel territorio fra Laconi e Meana Sardo, intorno al nuraghe quadrilobato Nolza, situato su un pianoro a 740 metri sul livello del mare, si è scoperto che intorno al monumento più grande ed evidente c’era un territorio di circa 80/100 Km quadrati nel quale c’erano altri 16 nuraghe collegati al principale. C’era un sistema territoriale delimitato dal Rio Araxisi, che scende dal Gennargentu e si riversa nel Tirso. È un fiume dove anche in Estate si conservano le acque, tanto importante che nell’Ottocento, quando il fiume si gonfiava in autunno in seguito alle piogge, o in primavera a causa dello scioglimento della neve sul Gennargentu, era impossibile attraversare il guado per andare da Meana a Atzara e Sorgono. In una ricerca presso gli archivi dei paesi interessati, abbiamo scoperto una lettera che l’allora sindaco di Meana scrive al prefetto affermando di essere bloccati e impossibilitati ad attraversare il guado a causa della piena del fiume. Se ne deduce che il nuraghe Nolza, il più importante con 4 torri, era circondato da altri nuraghe a tre torri dislocati lungo gli snodi viari e le strade di penetrazione. I nuraghe monotorre controllavano i passi montani, luoghi di accesso obbligati per passare da un territorio all’altro, e i guadi, ossia i punti di attraversamento dei fiumi. Ad esempio, nel territorio in questione, abbiamo il Rio Bau Meana a nord, utilizzato fino all’Ottocento per attraversare il Rio Araxisi e raggiungere Sorgono da Meana, mentre a sud c’è il guado Bau Eassi. Da una parte e dall’altra dei guadi ci sono due torri, a controllo dell’attraversamento del fiume, e quindi del territorio. Tutti i 16 nuraghe sono collegati a vista fra loro.
Da questa ricerca salta fuori un territorio delimitato geograficamente da fiumi e controllato strategicamente da torri satellite poste in punti chiave, subordinate a strutture trilobate che fanno capo al quadrilobato Nolza. C’è una gerarchizzazione dei nuraghe che potrebbe riflettersi nella gerarchia politica del territorio.
Un’altra ricerca è stata fatta nel pianoro di Siddi, morfologicamente simile alla giara di Gesturi. Su tutto l’orlo dell’altipiano ci sono 16 nuraghe, mentre al centro c’è la tomba di giganti denominata S’omu e S’orcu. Lo scavo ha mostrato reperti dall’inizio del XIV a.C. fino a tutto il XII a.C. La giara di Siddi è stata abitata intensamente per circa due secoli da popolazioni nuragiche che facevano parte di un’unica organizzazione sociale, si tratta di un cantone nuragico.
Nella giara di Gesturi, tra i margini e il pendio, ci sono 62 nuraghe, di cui 17 sull’orlo del tavolato basaltico, in prossimità di quei luoghi di passaggio che vengono denominati “scalas”, particolari piccoli sentieri che consentono di passare dalla parte bassa alla parte alta del tavolato. Le giare, essendo in basalto, sono impermeabili e quando piove molto l’acqua trova sfogo nei precipiti della giara. In quei punti si vengono a creare dei rivoletti che vivono per alcuni mesi ma incidono sul terreno e creano le scalas. I nuraghe sono proprio lì, a guardia di questi sentieri.

Un altro studio ha riguardato il Pranu e Muru di Orroli, un altro tavolato basaltico che si trova intorno ai 550 metri di altitudine che comprende i comuni di Orroli e Nurri. È tagliato dal corso del fiume Flumendosa. Lungo l’orlo a precipizio del tavolato ci sono oltre 30 nuraghe, con una scala di valori gerarchici. C’è l’Arrubiu, un pentalobato, e altri nuraghe piuttosto semplici. L’Arrubiu è posto proprio sul guado che consentiva di passare da Orroli a Escalaplano, gli altri sono disposti lungo il margine, in prossimità delle scalas. L’Arrubiu è stato scavato intorno agli anni Ottanta e sono state fatte anche le analisi dei pollini. Questo studio botanico è importante perché oggi andando nella giara di Gesturi, o nella giara di Siddi, o nel Pranu e Muru di Orroli, troviamo luoghi spogli, privi di vegetazione. Ci sono solo piccole querce piegate dal maestrale e c’è da chiedersi come facessero a sopravvivere tante persone in questi luoghi. La storia dei pollini di questo nuraghe ci ha raccontato che quando il nuraghe fu costruito, intorno al XIV a.C., c’era una densa foresta di querce, ma dopo un secolo la foresta scompare. Dall’80% di pollini di piante arboree si passa al 20%. La spiegazione la forniscono i microfossili non pollinici.
Sono state trovate delle spore di funghi particolari (Chaetomium sp.) che crescono in occasione degli incendi. Il bosco è stato bruciato dai nuragici per far posto a radure adatte alla coltivazione di cereali, troviamo infatti pollini di cereali. Inoltre, lo studio delle ossa animali, ci dimostra che attorno al nuraghe si allevavano le tre specie caratteristiche del bacino mediterraneo: bovini, suini e ovicaprini. Analizzando le spore al microscopio hanno infatti scoperto un fungo (coprofita) che cresce negli escrementi degli animali. Evidentemente, come oggi, anche allora non si preoccupavano tanto dell’impatto ambientale. A dimostrazione di tutto ciò, all’interno del nuraghe Arrubiu si trova una piccola torre vuota, lastricata, alta 4.7 metri, costruita con pietre di piccolo taglio, È al centro di un sistema di torri ed è quindi sorvegliatissimo. Si tratta del silos della comunità, e il calcolo della capacità è risultato di circa 150 quintali, sufficienti a sfamare per un anno una popolazione di circa cento individui. Si deve tener conto che 25 quintali devono essere tolti per la semina annuale successiva. Probabilmente c’è un altro silos che non è ancora stato scavato, delle stesse dimensioni di quello già scavato. Con la flottazione dovremmo riuscire a trovare resti vegetali carbonizzati. Era quindi il granaio della comunità intera. Il vaso per conservare le derrate si chiama dolio. Questi contenitori potevano essere alti fino ad un metro e contenere fino a 3 quintali di cereali. Ne sono stati trovati tanti, purtroppo fracassati, ma nel fondo c’erano semini carbonizzati di grano tenero. Contenevano grano e orzo.

Nel nuraghe quadrilobato Lugherras di Paulilatino è stato trovato un silos identico, un granaio incassato dentro la muratura. Nel nuraghe Orolo sono stati trovati due granai dentro la torre centrale. Dalla capienza si potrebbe fare un calcolo per arrivare al consumo pro-capite e, quindi, alla stima della popolazione della comunità. Si tratterebbe di calcoli statistici, e andrebbero presi con le pinze, ma sono comunque dati sui quali lavorare.
In quell’epoca il tempo era misurato dal giorno e dalla notte, e dalle operazioni che si svolgevano durante l’anno, legate all’agricoltura e alla pastorizia. Tra queste è molto importante la mietitura. La macinazione (molitura) del grano veniva fatta con macine a mano e si pensa che fossero le donne a farlo, mentre i maschi si occupavano della mietitura. Le popolazioni avevano una dieta ricca di cereali e legumi (favino) e consumavano abbondanti dosi di carne, compreso il cervo e il cinghiale.

Nello strato del XIV a.C. del nuraghe Arrubiu c’è il vespaio che i nuragici hanno preparato su cui costruire il monumento. Quando si scava un nuraghe vengono ritrovati oggetti della vita quotidiana e oggetti rituali, come nel caso del vaso ritrovato infilato negli strati più antichi. I nuragici hanno fatto un buco nel pavimento del XII a.C. e lo hanno inserito nello strato del XIII a.C. compiendo, probabilmente, un rituale di rifondazione del nuraghe. Forse c’è stato un cambio di società, o forse l’Arrubiu perse la funzione di controllo del territorio e divenne un luogo per la conservazione delle risorse. Proprio negli strati del XII sono stati trovati tanti dolii contenitori di cereali.
Nello strato di base, quello del vespaio, si nota anche un altro rito nell’Arrubiu: hanno spaccato un vaso miceneo che, in base alle analisi chimiche delle argille, proviene da Micene o da Argo. Si tratta di un rituale di fondazione.
Dalla fine degli anni Ottanta, sono cambiati i metodi con i quali si affronta uno scavo. Oggi si setaccia la terra insieme all’acqua (flottazione). I materiali pesanti come il fango e le pietre cadono giù, e rimangono in superficie i resti carbonizzati. Fra questi, nella zona in questione, sono stati ritrovate tracce di vitis vinifera, quindi oltre ai cereali coltivavano la vite per fare il vino. Alcuni vasi sono stati analizzati chimicamente all’interno e hanno dato residui di acido tartarico, il primo componente del vino. Grazie al sistema della flottazione, in molti nuraghe si stanno trovando non solo i semi carbonizzati di grano e orzo, ma anche quelli della vite, di legumi e altro. Fino agli anni Settanta si scavava il nuraghe guardando nelle pietre, oggi sappiamo qualcosa in più sull’ambiente circostante grazie ai nuovi metodi utilizzati. Sappiamo cosa coltivavano e cosa mangiavano.
In uno strato del XIV a.C. del nuraghe Conca sa Cresia nella Giara di Siddi, sono stati trovati semini di grano tenero. Sono attualmente in corso analisi particolari di questi residui ed è prevista anche quella al c14. Una branca dell’archeologia, la zoo-archeologia, studia i resti di ossa animali delle popolazioni preistoriche. Questi resti di pasto ci hanno chiarito che l’allevamento era basato sulle tre specie mediterranee ma era integrato dalla caccia al cervo, al cinghiale e al Prolagus sardus, un grosso roditore senza coda oggi estinto. Gli zooarcheologi sono tanto bravi da riuscire a determinare l’età dell’abbattimento, il sesso, la specie a cui appartengono le piccole ossa. Nel nuraghe Arrubiu e a Gesturi nel nuraghe Bruncu Madugui, gli specialisti sono riusciti a trovare, su alcune ossa, le tracce di rosicatura di un cane al quale venivano, evidentemente, gettati i resti del pasto dal padrone.
Nel nuraghe Arrubiu, da un allevamento iniziale prevalente di bovini, che sono grandi mammiferi che preferiscono un ambiente boscato, si passa all’allevamento di ovi-caprini, animali che vivono in ambienti più poveri di piante.
Ogni società umana, oltre ad addomesticare piante e animali, addomestica anche lo spazio e il tempo. L’uomo si appropria dello spazio trasformando il territorio, costruendo nuraghe e cambiando il paesaggio. In tal modo si costituiscono società di tipo complesso con uomini che vivevano bene nel loro tempo e sfruttavano a fondo l’ambiente circostante.

Intorno all’inizio del X a.C. si assiste ad un crollo progressivo dei nuraghe, e non vengono più costruiti. Quelli che sopravvivono vengono trasformati, come ad esempio Su Mulinu di Villanovafranca dove, in una delle camere del bastione centrale, viene ritrovato un grande altare in pietra, con vasca che riproduce un nuraghe. Un fenomeno simile avviene nella Giara di Serri dove, poco prima del 1000 a.C., i nuraghe vengono smantellati per costruire un enorme santuario e il tempio a pozzo. Una situazione simile l’abbiamo anche nel nuraghe murdoles di Orani. Assistiamo alla trasformazione dei nuraghe in qualcos’altro, come certamente avviene anche nella società. In questi luoghi di culto si iniziano a deporre degli ex-voto, i famosi bronzetti. Se osserviamo l’eroe con 4 occhi e 4 braccia notiamo che ha due scudi, due spade e dobbiamo pensare che l’artigiano abbia voluto rappresentare un essere sovrumano, un personaggio mitico. Insieme alle sculture in bronzo troviamo rappresentati i guerrieri in pietra, quelle statue giganti ritrovate a Monte Prama e attualmente in fase di restauro al centro di Li Punti, vicino a Sassari. Sono arcieri, portatori di spada e pugilatori, alti oltre due metri.
Gli studiosi si chiedono cosa stia succedendo, cosa ha provocato questi avvenimenti, queste trasformazioni. Sono segni che l’archeologo deve cogliere, soprattutto perché si tratta di un fenomeno diffuso in tutta l’isola.
Perché rappresentare se stessi come guerrieri, miniaturizzare i nuraghe e rappresentarli in pietra e in bronzo? È curioso che ciò accada proprio mentre i nuraghe crollano. Verrebbe da pensare che volessero richiamare un passato mitizzato. Qualcuno dei personaggi emergenti della nuova società ha necessità di legittimare la propria posizione egemone, e si rifà al passato mitico dei costruttori di nuraghe.
In conclusione si può affermare che i nuraghe hanno una vita lunga ed è sbagliato cercare di attribuire una singola funzione alle strutture. La destinazione d’uso cambia col tempo e a seconda delle esigenze della comunità. Cogliere la scansione temporale della vita dei nuraghe è fondamentale per capirne l’utilizzo.
Nelle immagini da archeologiasarda.com e wikipedia.org, il nuraghe Lugherras di Paulilatino e il nuraghe Bruncu Madugui di Gesturi.
Le foto del convegno di Villanovafranca sono di Sara Montalbano

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