FUORI CAMPO: intervista all’illustratore Giacomo Garelli

Creato il 16 aprile 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

FUORI CAMPO - Rubrica dedicata all’illustrazione e al fumetto

Proseguiamo le interviste di FUORI CAMPO con Giacomo Garelli, illustratore di Mai scommettere la testa con il diavolo, racconto horror di Edgar Alla Poe edito da orecchio acerbo.

Intervista di Manuela Di Vito

Giacomo Garelli è nato ad Ancona trentaquattro anni fa. Dopo gli studi artistici, si laurea in pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 2007. Prosegue nella sua formazione a Macerata dove, dopo due anni di studio per poter insegnare, viene selezionato al Master in illustrazione per l’editoria – Ars in fabula. Attualmente lavora come illustratore free lance. Mai scommettere la testa con il diavolo, racconto horror di Edgar Allan Poe, è il suo libro di esordio. http://www.giacomogarelli.com/

Come sei diventato illustratore?
Premesso che non penso basti fare un libro per annoverarsi nella categoria professionale degli illustratori, la mia storia è questa: ho sempre amato le immagini all’interno dei libri. Mi ricordo che ho comprato decine di libri di ogni genere solo perché me ne piacevano le illustrazioni. Dopo essermi formato all’Istituto Statale d’Arte di Ancona (ora Liceo Artistico) ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze appassionandomi sia alla città, sia ai fiorentini. Dopo aver preso l’abilitazione a insegnare all’Accademia di Belle Arti di Macerata, per caso ho conosciuto la Fabbrica delle Favole. Dico “per caso”, perché è proprio così che è successo. Un pomeriggio vagavo per librerie, come sempre alla ricerca di libri interessanti, e sono finito in una gestita da una persona che conoscevo. È lei che mi ha parlato di questa associazione culturale di Macerata che formava giovani illustratori. Incuriosito, mi sono informato tramite internet. Durante il periodo in cui facevano le selezioni per entrare, ho provato ad inviagli del materiale e contro ogni mia previsione sono stato accettato. Una volta frequentato il master  si è letteralmente aperto un mondo dal quale non voglio più uscire.

Come giudichi l’attenzione che l’editoria italiana dedica alla letteratura per bambini e ragazzi?
Penso che il libro sia uno dei migliori strumenti per la formazione della propria identità e individualità. Nonostante sia un oggetto replicato in serie, il libro permette al lettore di vivere individualmente e con la propria immaginazione gli eventi e i personaggi protagonisti di una storia. Detto questo, ultimamente l’editoria italiana, attraverso gli albi illustrati e i libri di letteratura per l’infanzia sta affrontando temi scomodi o commercialmente poco redditizi, che prima non si sarebbe mai presa la briga di affrontare e di questo bisogna dargliene atto. È anche vero che ancora c’è molto da fare. Basta andare in una libreria per vedere quali libri e prodotti editoriali per bambini o per ragazzi vengono messi nei primi scaffali. Gli esempi fatti sopra sono tratti da realtà editoriali piccole che si affacciano al mercato correndo molti rischi. Quello che non riesco a capire è come mai questi esempi non sono portati avanti dalle grandi case editrici italiane.

Come è nato il progetto con orecchio acerbo?
Avevo conosciuto Fausta Orecchio durante il master presso la Fabbrica delle Favole a Macerata e lei aveva mostrato molto interesse per il mio lavoro. In seguito le scrissi per chiedere se di tanto in tanto avessi potuto inviarle qualche tavola per un commento. La sua risposta mi entusiasmò e in quella situazione rinnovò il suo interesse per il mio lavoro. Tutto questo accadeva all’incirca nel giugno l 2011. Alla fine decisi di inviarle un progetto intero. Sapevo che a Fausta piacevano molto i racconti horror e quindi ne scelsi uno tra gli autori del genere che preferivo, e iniziai a lavorarci. Dopo poche ore dall’invio del materiale ricevetti il suo invito a incontrarci al Children’s Book Fair di Bologna.

Come è stato illustrare Allan Poe?
Illustrare un autore classico non è mai un compito semplice. Confrontarsi con un grande autore spesso mette in soggezione. Si ha quasi la sensazione di essere supervisionati dall’autore stesso. Il racconto che ho scelto, Mai scommettere la testa con il diavolo (Never Bet the Devil Your Head) presentava molti punti interessanti da illustrare ma allo stesso tempo estremamente difficili. Le caratteristiche che più mi colpiscono nei racconti di Poe sono lo humor nero, la drammaticità della fine dei suoi personaggi (per lo più vittime di sé stessi) e l’atmosfera in cui difficilmente si riesce a distinguere dove finisce l’onirico e dove inizia la realtà. In questo testo Poe narra in prima persona le vicende di un suo amico, Toby Dammit (notare il gioco di parole nascosto nel nome Dammit: Damn it) il quale ha il brutto vizio di scommettere la propria testa con il Diavolo per qualsiasi inezia. Il finale è ovvio: il Diavolo compare e si prende ciò che Dammit gli doveva. La difficoltà di questo racconto sta nel fatto che, nella prima parte, Poe si prende gioco dei critici che gli rimproveravano l’assenza di morale  nei suoi racconti. È da questa critica che nasce la storia di Dammit. Durante la redazione dello storyboard, mi ripetevo continuamente che dovevo trovare un punto di vista per illustrare l’esposizione delle critiche rivolte a Poe. Allo stesso tempo volevo creare un punto di contatto tra la prima parte del racconto e la storia di Toby Dammit. La parte del testo che più attirava la mia attenzione era il finale. Poe si limita a descrivere l’epilogo della storia con una frase: «quindi feci riesumare il signor Dammit e lo vendetti come carne per cani». Questa frase mi aprì letteralmente un mondo. Nell’epilogo Poe descriveva con poche parole un viaggio, ovvero il percorso che lui stesso aveva fatto dal cimitero fino a una fabbrica di mangimi per vendere il cadavere del suo amico. È stata questa per me la giusta chiave di lettura per illustrare la prima parte della storia. C’è anche una piccola visione profetica: nella tavola dove Poe va in giro con la sua carriola, c’è un tipo che dorme sulla panchina e il testo descrive una scena di povertà; quel tizio l’ho fatto volontariamente simile a Poe, perché l’autore muore povero in canna su una panchina di un parco.

Le tecniche usate?
Ho preferito usare una tecnica che mi permettesse di lavorare molto il colore. Una delle mie priorità era quella di creare l’atmosfera giusta. Dopo varie sperimentazioni sono giunto alla conclusione che per la resa del libro, come me lo ero immaginato, la tecnica a olio facesse al caso mio. Generalmente penso che adattare il proprio registro (quindi tecnica, disegno, composizione) all’esigenza, sia la maniera migliore per interpretare un testo.

La collaborazione con l’editore?
Onestamente auguro a ogni illustratore di lavorare con un editore come Orecchio Acerbo. Fausta Orecchio e Simone Tonucci li avevo già conosciuti a Macerata. Quando arrivai all’appuntamento nello stand della casa editrice al Bologna Children’s Book Fair, come ogni esordiente, il timore di non soddisfare le aspettative dell’editore si faceva sentire. Durante la fiera gli editori sono sempre super impegnati e anche se hai un appuntamento, a volte, ricevi delle risposte “al vetriolo” dettate dall’enorme stress che si genera in queste situazioni. Questo però non è accaduto nel mio caso. Sono stato accolto dallo staff e subito messo a mio agio. La discussione ha preso immediatamente un tono informale e vista la calca di gente che c’è sempre allo stand di Orecchio Acerbo, abbiamo deciso di visionare i lavori in uno dei cortili della fiera. Lì è iniziato un rapporto magnifico tra editore, illustratore e il resto dello staff della casa editrice.

Trattandosi di un racconto di Poe, il pubblico cui si rivolge l’albo non è certo quello infantile. Cosa cambia nell’illustrazione per adulti rispetto a quella per i bambini?
Generalmente si pensa che un libro per bambini debba essere molto colorato, con personaggi graficamente semplici e divertenti, e questo in parte è vero. Credo però che non si possano mettere limiti a un bambino, perché la sua immaginazione e la sua capacità d’interpretare un testo e un’immagine spesso sbalordiscono. Si tende sempre a vedere la dimensione immaginativa del bambino come una semplificazione di quella dell’adulto e questo è sbagliato. Sono stato spesso destabilizzato nel constatare il modo in cui un bambino s’immedesima nei personaggi e nel testo di un albo illustrato.

Qui la recensione di Mai scommettere la testa con il diavolo.


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