Girato nell'interno di un’auto, di notte, "Locke" è il racconto di un uomo - Ivan Locke appunto - che per debolezza (e compassione) deve fare i conti con i risultati di una notte beffarda passata insieme a un'altra donna, lontano dalla moglie, e che ora in toto, sta per spazzargli via ciò che di più buono ha costruito nella sua vita: matrimonio e lavoro. Un errore che torna a bussare alla porta a distanza di nove mesi con la nascita di un figlio non cercato e che il tempismo ha voluto sincronizzare ironicamente con l'esecuzione di una storica manovra di lavoro che con il suo allontanamento rischia di andare totalmente in fumo.
Conosciuto meglio forse per le sceneggiature di "Piccoli Affari Sporchi" e "La Promessa dell'Assassino", il ritorno alla regia dell'inglese Steven Knight colpisce se non altro per asciuttezza potenza e atmosfera. Tom Hardy è un interprete bravissimo e totale, rinchiuso in uno spazio stretto e con la camera sempre incollata al viso, che con respirazione e difficoltà, cerca di mantenere rilassato e tranquillo. Il suo viaggio alla volta dell’ospedale è scandito piacevolmente (per noi) dalle telefonate continue che riceve ed esegue alla guida, in cui si confessa, gestisce e risolve ogni copiosa grana sotto la quale non ha la minima intenzione di cedere o sopperire.
Un cinema minimale che va dritto al sodo quello di Knight, che sa smuovere le corde ed evitare ogni genere di trappola. E si da il caso che “Locke” scuota quanto basta, pur non muovendosi per nulla, usa la sincerità e ciò che il suo protagonista deve mettere in gioco e difendere con determinazione. Punta alla coerenza, all’imprevedibilità della vita che, ogni tanto, lascia aperti dei spiragli e distribuisce, oltre a sofferenze, anche piccoli miracoli.
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