Antonio (nome di fantasia) oggi ha venti anni e studia. La sua vita, però, non è quella di un normale universitario, divisa tra libri, amici e locali. E’ un po’ più complessa: è quotidianamente “messa alla prova” nel percorso di recupero alternativo al carcere che ha intrapreso e che gli permette di evitare il regime di detenzione.
Antonio vive in un piccolo paese meridionale in cui la criminalità organizzata orienta e influenza la vita di tutti e come tanti suoi coetanei, quattro anni fa, entra a far parte di un gruppetto che tra scippi, furti, rapine, spaccio ed estorsioni, riesce a raccogliere fino a 7mila euro a testa per ogni colpo.
Del resto, “il profumo dei soldi, soprattutto quelli facili era dolce, dolce, dolce – spiega Antonio – e il ‘servizio’ pagava bene e non portava via troppo tempo”.
Antonio non è figlio d’arte, ma fa coinvolgere in quest’esperienza dalla facilità del guadagno e, nonostante sia solo un ‘pesce piccolo’, il suo prestigio all’interno del sistema criminale è in costante ascesa. Tutto bene fino al giorno in cui una soffiata ne provoca l’arresto. Antonio passa dal penitenziario minorile ai domiciliari, fino all’attuale stato di messa alla prova, che consiste in una condotta regolamentata e ineccepibile: orari di uscita e rientro a casa, volontariato, studio, lavoro e contributo economico ad associazioni che operano nel sociale.
Le sirene della criminalità sono però pronte a tentarlo nuovamente, ma Antonio è definitivamente uscito dal giro. Ecco perché affida a questa intervista (il suo volto e la sua voce sono volutamente modificate per proteggerne l’incolumità) un messaggio ai ragazzi che come lui rischiano di entrare in quel periodo di “buio”. Lui ne è uscito e mette a disposizione la sua testimonianza.
Fulvio Di Giuseppe