Recensione di Chiara Rea
Belgio, anni ’70, un gruppo nutrito di femministe agguerrite si decide a fare una rivoluzione e a conquistare il potere per le donne. La rivoluzione va a buon fine e i Paesi Bassi si isolano dal resto d’Europa andando a costituire il primo stato femminista al mondo, completamente autarchico e chiuso, come si confà agli stati totalitari. A capo dello stato sta la Pastora, grande guida politica e spirituale. Intorno a lei le Quattro Grandi, consigliere della despota. Sotto di lei lo sterminato esercito delle Brigadiere, che seminano il terrore e mantengono l’ordine nello Stato. Gli uomini vengono costretti a fare ammenda del loro fondamentale peccato: essere uomini. Prostrati e ridotti in schiavitù, vengono indotti alla evirazione e all’annullamento di sé.
Francia, giorni nostri. A un gruppo di intellettuali alto-borghesi (scrittori, giornalisti, attiviste) viene accordato il privilegio di recarsi in visita nel Belgio femminista (solitamente interdetto agli stranieri). Sotto la guida e l’occhio vigile delle Brigadiere, la ben assortita combriccola di intellettuali sbruffoni farà un giro turistico di questo paese delle meraviglie, ovviamente riuscendo a vedere soltanto ciò che le femministe vorranno fargli vedere.
Le assetate è costruito alternando il racconto di questo viaggio (ogni capitolo, pur essendo scritto in terza persona, è visto attraverso lo sguardo di uno dei partecipanti) al diario di Astrid, un’anonima infermiera, cittadina qualunque di Viragoland, strappata alla sua vita comune e trapiantata nella Corte della Pastora che l’ha notata durante una parata. Così allo spaesamento e alle riflessioni degli intellettuali in viaggio studio si alternano i lamenti e le angosce di Astrid, prima preoccupata di essere colta in flagrante dalle Brigadiere per qualche reato vero o presunto (come in tutti gli stati totalitari, la legge è un concetto piuttosto fluido e malleabile) e poi di perdere il suo primato tra le cortigiane della capricciosa e volubile Pastora.
Che cosa accade quindi quando a detenere il potere sono unicamente le donne? Ciò che accade sempre quando il potere è interamente nelle mani di un gruppo ristretto e convinto di essere nel giusto: dispotismo, privilegi oligarchici, superflua brutalità, corruzione, terrore del diverso e sua conseguente eliminazione, conformismo più estremo e, per contrappasso, trasgressione morbosa. In questo la distopia di Quiriny non si discosta quasi per niente dalla tradizione delle distopie basate sul modello orwelliano né tantomeno dalla realtà degli Stati totalitari del Novecento. Dove sta quindi la particolarità di questa dittatura delle donne? Dove risiede la sua peculiare ferocia? Qual è l’elemento su cui fare leva per creare una satira divertente e convincente di questa società uterina? Non sarà l’intento di sfatare il mito della docilità e della dolcezza femminile? È perlomeno dai tempi del femminismo (ma volendo si può risalire all’indietro fino ai tempi dei cruentissimi miti greci) che abbiamo capito che le donne non sono docili né mansuete, non sono dolci né miti, ma sono crudeli, egoiste, cattive come tutti gli esseri umani, con un pizzico di capricciosità in più che le rende forse più irritanti che temibili.
Il romanzo di Quiriny, che col suo tono piatto e anodino non brilla certo per lo stile, non dice quindi niente di nuovo né lo dice in modo nuovo. Non è inedita nemmeno la sua docile satira degli intellettuali francesi, apparentemente progressisti e in realtà piccolo borghesi attaccati alle loro mere soddisfazioni e glorie personali: quanti ne abbiamo visti, da Houellebecq a Djian e ancora prima in Kundera (come non pensare alla Grande Marcia de L’insostenibile leggerezza dell’essere, uno dei momenti più comici che troviamo in questo autore e che di certo non sarà sfuggito ai romanzieri d’oltralpe delle successive generazioni)? Sembra che gli autori francofoni di un certo livello non riescano a fare altro che denigrare se stessi. Come diceva Woody Allen citando Groucho Marx «Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me».
Nota sull’autore
Bernard Quiriny è nato a Bastogne (Belgio) nel 1978. Insegna Filosofia del diritto presso l’Université de Bourgogne. Ha esordito nel 2005 con la raccolta di racconti L’angoisse de la Première Phrase. Nel 2008 ha pubblicato un’altra raccolta, Contes Carnivores (pubblicata in Italia da Omero Editore con il titolo Racconti carnivori). Le assetate (Les Assoiffées, 2010) è il suo primo romanzo.
Per approfondire:
leggi la recensione di Alessandro Gnocchi sul Giornale
leggi il commento di Guido Vitiello su IL Magazine – Il Sole 24 Ore
leggi la recensione di Michele Lupo
Bernard Quiriny Le assetate
traduzione di Stefania Ricciardi
Transeuropa, 2012
pp. 324, euro 15