FUORI STRADA – Jenny Offill – Sembrava una felicità (NN editore)

Creato il 04 maggio 2015 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

FUORI STRADA - Rubrica di approfondimento della piccola e media editoria “extra-capitolina”

di Elena Refraschini

Una premessa: il romanzo di Jenny Offill Sembrava una felicità, prima uscita di NN editore, mi sta tenendo compagnia da diverse settimane. È un libro brevissimo che, se necessario, si potrebbe leggere in un paio d’ore; 150 pagine, e con moltissimi spazi vuoti. Il problema – se così si può chiamarlo – è che questo romanzo, più di altri, conserva una parte di sé solo per le letture successive alla prima. Ed è così che mi sono ritrovata, all’incirca alla quarta rilettura, a scoprire piccole gemme disseminate qua e là nella frammentata narrazione di Offill. Non c’è romanzo migliore di quello che non si svela mai del tutto.

La storia è piuttosto semplice, quasi banale: una donna – mai chiamata per nome, come i pochi altri personaggi – vuole diventare un mostro di scrittura; giura che non si sposerà mai: «Per anni ho tenuto un post-it sopra la mia scrivania. “Pensa al lavoro non all’amore!”. Sembrava una felicità più consistente.». Scrive un libro, ma poi si sposa, ha una figlia, nel frattempo insegna e ha difficoltà a conciliare le sue esigenze con le aspettative di chi la circonda, che sia avere un secondo figlio o scrivere il secondo libro, poi attraversa una crisi detonata dal tradimento del marito, ne esce. Una storia raccontata già migliaia di volte, in diversi luoghi e diverse epoche.

Ciò che rende speciale Sembrava una felicità è il modo in cui la storia è narrata: piccoli frammenti come quello riportato sopra reggono l’intera architettura del romanzo, che costringe il lettore a saltare di scena in scena alla ricerca di un senso che tenga legata tutta l’opera. «Se il solito libro è un corpo – ha affermato l’agente Sally Wofford-Girand vendendo i diritti del romanzo a Knopf nel 2013 – questo è una lastra a raggi X».
Questa scrittura, evidente anche a livello tipografico perché fatta da brevi paragrafi separati l’uno dall’altro da spazi bianchi, è il risultato di un possente lavoro di sottrazione (“passo molto tempo a studiare come dire il più possibile con il meno possibile”). L’autrice stessa – che non a caso insegna scrittura creativa alla Columbia – all’inizio aveva pensato a un romanzo incentrato su un secondo matrimonio, narrato dal punto di vista della figlia e della seconda moglie; la struttura, però, e la scrittura, erano ancora “tradizionali”.
Il punto di svolta è arrivato quando ha cominciato a scrivere appunti e abbozzi su piccole schede sparse: così ha pensato che si potesse scrivere una storia raccontando, in frammenti, le minuzie, i drammi, le conquiste della vita domestica, emotiva e professionale, lasciando al lettore il compito di ricomporre il puzzle. Una deliberata discontinuità, dunque, impreziosita da citazioni letterarie (Coleridge, Esiodo, Keats, Frost, Eliot), riferimenti alla cultura popolare (ninne nanne, Sweet Home Alabama) e parecchi riferimenti al mondo delle scienze e della filosofia, per arrivare a una sorta di nuovo “romanzo delle idee”. Una vicenda intima che diventa, di sottecchi, universale.

A dispetto del suo carattere sperimentale, il romanzo è limpido e a tratti persino divertente, come succede in questo passaggio in cui la coppia cerca di ritrovare un equilibrio dopo il tradimento di lui: «Di notte, stanno distesi a letto tenendosi per mano. A volte, mentre sono così, la moglie riesce a fare il dito medio al marito senza che lui se ne accorga.». Questa seconda citazione ci consente di osservare la gestione da parte dell’autrice del punto di vista.

Jenny Offill

All’inizio della relazione, quando la scrittrice incontra l’autore del programma radiofonico che manda in onda suoni, i pronomi sono quelli delle relazioni intime, “io”, “tu”: «Avevo imparato che non temevi il maltempo. Volevi sempre andare in giro per la città a registrare, con la pioggia, la nebbia o la neve. Mi ero comprata un cappotto più caldo. Con tante tasche comode in cui tu infilavi sempre le mani.». Quando i due si sposano e assumono ruoli più convenzionali, si passa ai “io”, e “lui”, “mio marito”. «Mio marito le legge il libro ogni sera, compresa tutta la pagina del colophon molto, molto lentamente.».
Quando la coppia si sgretola e si perde la sicurezza dell’amore e delle convenzioni, il narratore osserva ciò che succede dall’alto, e gli attori diventano “la moglie”, “il marito”, “la figlia” (è curioso notare, tra l’altro, che la scena in cui la moglie incontra l’amante del marito è l’unica che non procede per frammenti, ma narrata come se fosse il compito di uno degli studenti del suo corso di scrittura): «Alla moglie viene consigliato un libro sull’adulterio. Fa tre isolati di metropolitana per andare a comprarlo. Il titolo è tremendo e la sola idea di leggerlo la fa sentire in imbarazzo. Così, lo nasconde in giro per la casa con lo stesso fervore con cui si nasconderebbe una pistola o un chilo di eroina. Nel libro, lui viene chiamato il partner traditore e lei il partner tradito. Tra le tante altre cose, ce n’è una in particolare che la fa morire dal ridere. È una nota a piè di pagina su come le diverse culture cercano di ricucire il matrimonio dopo un tradimento. In America il partner traditore passa una media di 1000 ore a elaborare il fatto con il partner tradito. È il tempo necessario. Quando lo legge, si sente molto dispiaciuta per suo marito. Che è solo a «515 ore.».
Il narratore torna a un più intimo “noi” solo quando, lontana dall’ambiente urbano di New York, la coppia proverà a curarsi le ferite.

Sembrava una felicità è stato nominato da diversi quotidiani statunitensi tra i migliori libri del 2014 (tra questi, il «New York Times Book Review») ed è entrato nella shortlist per il Folio Prize quest’anno. Nonostante il suo carattere sperimentale, infatti, i diritti sono stati vinti da Knopf a seguito di un’asta a cui hanno partecipato altri sette editori: Jenny Offill ha ottenuto, secondo il «New York Times», un contratto per due libri dal valore di 500.000 dollari.

Coerentemente con la sua filosofia di voler portare in Italia opere rimaste “orfane”, NN editore presenta Sembrava una felicità in una veste editoriale molto elegante e curata, arricchita inoltre da diversi paratesti, sia cartacei sia online: da una parte, una interessante Nota del traduttore a cura di Francesca Novajra, che ci lascia intravedere il lavoro di precisione dietro a una traduzione riuscita; dall’altra, visitando la pagina dedicata al romanzo nel sito di NN editore, si trovano informazioni dal “dietro le quinte” della pubblicazione, insieme a qualche suggerimento sulla musica da ascoltare durante (o dopo) la lettura. Uno storytelling, come va di moda dire ora, legato non solo al romanzo ma anche alla sua gestazione, che crediamo otterrà il favore di tanti lettori alla ricerca di approcci nuovi alla lettura. Sembrava una felicità ha trovato una famiglia anche qui, e non possiamo che esserne felici.

Nota sull’autore
Jenny Offill, nata nel Massachussetts nel 1968, insegna alla Columbia. Il suo primo romanzo, Last Things (1999) è stato pubblicato da Farrar, Straus and Giroux ed è stato un New York Times Notable Book. È autrice anche di diversi libri per bambini. I diritti del suo secondo romanzo Sembrava una felicità sono stati venduti, oltre che in Italia, anche nel Regno Unito (Granta/Portobello), in Francia (Calmann Lévy), in Germania (DVA), in Olanda (De Geus), in Brasile (Novo Conceito) e in Turchia (Domingo). Vive a New York con il marito e la figlia Theodora.

Sembrava una felicità di Jenny Offill
Traduzione dall’inglese di Francesca Novajra
NN Editore, 2015
pp. 262, 16€.


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