I fatti. Lunedì, a margine del summit per la sicurezza nucleare in corso a Seoul, il presidente americano e il suo omologo russo Medvedev scambiano qualche chiacchiera in maniera informale. Non è un mistero che tra i due, al di fuori delle rispettive cariche, i rapporti siano ottimi: già lo scorso anno si erano resi protagonisti di un inedito pranzo istituzionale all’interno di un fast-food, durante una visita di Medvedev negli Usa. Obama e Medvedev parlano delle recenti elezioni russe, dell’appuntamento elettorale statunitense di novembre, quand’ecco che il discorso finisce sulle tensioni tra Mosca e Washington a proposito dello scudo di difesa. Il presidente americano, ritenendo di essere al sicuro da orecchi indiscreti, chiede a Medvedev di pazientare ancora un po’: “Dopo le elezioni, potrò essere più flessibile“. Capisco, ne parlerò con Vladimir (Putin, ndr)”, è la risposta in inglese del leader del Cremlino. Una risposta che sembra togliere dall’imbarazzo lo stesso Obama, che ringrazia il suo omologo con una pacca sul braccio.
Basta questo breve scambio di battute a scatenare il fuoco di sbarramento dei repubblicani ed in particolare del quasi-candidato Mitt Romney, che in odor di nomination si rende capofila negli attacchi al Presidente, sempre con lo stesso canovaccio di un Obama debole nei confronti di Putin. In realtà, lo scoop della Fox è una non-notizia, dal momento che era evidente che, in caso di un secondo mandato alla Casa Bianca, Barack Obama avrebbe adottato nei confronti di Mosca una linea più morbida. Non è infatti una novità che, specie in politica estera, il secondo mandato presidenziale differisca parecchio dal primo: caso emblematico fu la presidenza di Ronald Reagan (1980-1988), che si caratterizzò per un primo mandato all’insegna del roll-back antisovietico e per un secondo all’insegna della distensione con Mosca. Dal marzo 1985 l’interlocutore di Reagan era diventato Gorbaciov, verso il quale il Dipartimento di Stato doveva adottare un approccio molto diverso da quello avuto con Brezhnev, Andropov e Cernenko.
La svolta di Obama nei rapporti con la Russia è iniziata lo scorso 25 gennaio, quando Henry Kissinger è stato ricevuto a Mosca da Vladimir Putin, per un colloquio informale, e soprattutto riservato. Non si sa infatti con esattezza di cosa i due abbiano parlato, ma ciò non è importante. Quel che conta è il significato della visita stessa di Kissinger a Putin, in qualità di inviato della Casa Bianca, dopo settimane in cui lo stesso Segretario di Stato Hillary Clinton ne aveva frequentemente posto in discussione l’autorità, per via delle contestatissime elezioni di dicembre. Un gesto di distensione con la Russia, in una fase politica molto delicata per gli equilibri globali, ma anche una svolta del presidente americano verso la realpolitik, di cui, non a caso Kissinger, è il massimo interprete da quarant’anni: Obama, di fatto, già ad inizio anno ha “sfiduciato” la Clinton e la sua politica, virando verso un reset nei rapporti con il nuovo inquilino del Cremlino e con il quale si dovrà relazionare per i prossimi anni, se a novembre verrà confermato alla Casa Bianca.
Ecco perchè le parole che la Fox ha “rubato” a Seoul, più che uno scoop, non sono altro che la conferma di un processo ormai già avviato.