Fuorivia come fuorimano, straniero, lontano da un processo che scandisce la cadenza prevedibile del tempo che passa, modifica la terra, il cosmo: noi.
Luigi Manzi, inizia il suo percorso poetico Fuorivia, per le – Edizioni Ensamble 2013, con parole che si allungano in un’eco lacerata. In questa raccolta di poesie ci sono significati che possono presagire e riflettersi nei movimenti del nostro pensiero fino a sincronizzarsi in un atto corporeo che coincide esattamente con le singole parole: un punto di vista biologico che ci definisce creature ritmiche di uno stesso sistema, che, anche se scegliamo di isolarci, ci appartiene, deforma, influenza, mortifica, salva, confonde e disperde.
La poesia risponde ai dubbi sui processi di identità e ci espande, ci duplica in una forma che diventa unione in cui l’uomo si sente partecipe, responsabile. L’eco, dunque, potrebbe essere considerata quella esperienza comunicativa, rallentata o prolungata, di un lasso di tempo che attraversa una vasta gamma di pareti eteree le quali, in una sincronia ritmica, si dilatano e variano di intensità fino a diminuire, sparire.
La sensibilità poetica si sofferma ad analizzare le varie parti del reale stratificato come fossero filmati che raccontano, imitando le sfumature dei gesti, la vulnerabilità dei cicli storico/sociali degli esseri umani, dall’inizio alla fine. Manzi cattura il tempo sfuggente e le esitazioni delle relazioni tra le persone e le apparenze: controlla il cammino del suo attraversare le cose facendo pause stilistiche e meditando risposte di senso poetico agli interrogativi essenziali della vita rendendosi conto delle differenze che appaiono e, soprattutto, ascolta/vede i silenzi del mondo.
L’eco
“Raggiungimi, dunque. Qui si tocca il cielo stellato/ e il richiamo della ghiandaia pulsa ininterrotto./ A notte alta viene l’eco del cane forestiero/ che al fondo delle valli insiste/ e s’arrovella.// Forse sei in cammino./ Ascolto il suono dei tuoi passi sul selciato/ rimandati dall’andito.// Resto in attesa. Nel buio gelido risuona/ il canto liquefatto del viandante che si ferma all’angolo/ e al tuo somiglia; eppure tu sei altrove/ e lui, per darmi ristoro,/ a poco a poco s’addormenta, lascia che la melodia/ si stemperi sulle labbra/ e lenta/ si disperda.”
Luigi Manzi è nato nel 1945. Vive a Roma. Ha esordito in Nuovi Argomenti nel 1969, nell’ambito romano, in un periodo ricco di dibattiti e di stimoli culturali contraddistinto dalla grande onestà intellettuale degli scrittori, impegnati anche nella società civile.
Ha pubblicato le raccolte di poesia La luna suburbana (1986), Amaro essenziale (1987), Malusanza (1989), Aloe (1993), Capo d’inverno (1997), Mele rosse (2004), con note introduttive di Dario Bellezza, Dante Maffia, Giò Ferri, Giacinto Spagnoletti, Cesare Vivaldi, Gian Piero Bona. È stato tradotto in varie lingue e antologizzato con Rosa corrosa (2003) traduzione macedone di Maria Grazia Cvetkovska (pref. A. Giurcinova), Il muschio e la pietra (2004) traduzione albanese di Gezim Hajdari (pref. P. Matvejevich). E’ presente in varie antologie. Ha vinto vari premi letterari, fra i quali il Premio Internazionale Eugenio Montale per l’edito (1995); il premio Alfonso Gatto (1998); il premio Franco Matacotta (1998); il premio Guido Gozzano (2013).
Fuorivia, libro di Luigi Manzi – Edizioni Ensamble 2013, pag.103 euro 15,00
Written by Rita Pacilio