di Rina Brundu. A dire il vero il The Guardian inglese aveva già dato visibilità alle dichiarazioni di Carlo Tavecchio – uno dei papabili per la poltrona da FIGC abbandonata da Giancarlo Abete dopo la figuraccia mondiale della nostra nazionale – in occasione della sua prima grandiosa scivolata sui calciatori stranieri che il giorno prima di entrare a far parte della rosa delle nostre squadre più blasonate si troverebbero ancora nei loro paesi d’origine intenti a mangiare banane.
Seconda scivolata nuovo pezzo: “Carlo Tavecchio compares scrutiny to that of John F Kennedy’s assassin”, sempre dello stesso giornale d’oltremanica. Ma chi lo dice che il calcio italiano non fa più notizia? E chi lo dice che noi italici non riusciamo più ad indignarci davanti a simili dichiarazioni squalificanti della professionalità della nostra miglior dirigenza sportiva? A dire il vero tanto ci si è stracciati le vesti in piazza che a questo punto il dubbio sorge legittimo: d’accordo sulla stupidità oratoria tavecchica, ma non sarebbe meglio, per il bene del nostro sport, avere un presidente FIGC capace di dire pane al pane e cane al cane, capace insomma of speaking up his mind con una data libertà?
Oppure sono l’unica a cui fa tristezza l’estrema saggezza, diligenza, political-correctness, (furbizia?), che mostra questo giovanissimo Demetrio Albertini che a leggere i giornali avrebbe pure twittato: «Il palazzo del potere continua a scricchiolare. Tanti si stanno allontanando, rimangono le solite facce. Palla al centro». Non so perché ma le “solite facce” almeno a giudicare dall’estema cautela mediatica dimostrata, somigliano tantissimo alla sua di questi tempi. Se così fosse, quale prospettiva di cambiamento per il calcio nostrano? Quale possibilità di farsi valere in Europa se l’asservimento al Sistema e alle sue necessità formali è così totale?
Magari mi sbaglio, ma se è indubbio che non si possono condividere le “sciocchezze” oratorie di Tavecchio e pure certo che se dovessimo impiccare ad ogni parola chiunque di questi tempi faccia dichiarazioni avventate, il paese diventerebbe isola deserta e desertificata per le migliaia di profughi in arrivo dall’Africa. Da qui a chiedersi se la successione di Albertini ad Abete non sia stata “decisa” tanto tempo fa nei palazzi del “calcio che conta” il passo è breve, mentre le dichiarazioni di Tavecchio appaiono sempre più come insperate ciliegine sulla torta.
Davvero: quousque tandem abutere, Carlo, patientia nostra? Oppure, no.
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