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Furia Avicola: un Viaggio Oltre la Fine del (Nostro) Mondo

Creato il 18 dicembre 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Furia Avicola: un Viaggio Oltre la Fine del (Nostro) Mondo

Descrivere o riassumere a parole la trama di Furia avicola - di scena al Fabbricone di Prato lo scorso fine settimana - non è cosa semplice. Il nuovo progetto del drammaturgo argentino Rafael Spregelburd, qui regista a quattro mani con Manuela Cherubini, sua traduttrice, coprodotto da CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia e Fattore K, è costituito da due atti unici. I temi dominanti (se proprio dobbiamo scegliere i principali) sono rispettivamente la fine dell'arte e l'assurdità del mondo della burocrazia, passando attraverso un intermezzo umoristico che strizza l'occhio alla molteplicità linguistica del gruppo di attori in scena.

Lo spettacolo, infatti, ha le proprie radici nell'estate del 2012, quando il regista argentino fu chiamato a dirigere il progetto École des Maîtres, formazione teatrale avanzata per giovani artisti europei, promosso da un partenariato fra Belgio, Francia, Italia e Portogallo. Lavorando in una "babele di lingue" - usando le parole dei due registi -, da uno spettacolo intitolato La fine dell'Europa è nato Furia avicola.

Anche la critica si è divisa: il peggior restauro di tutti i tempi o la rivoluzionaria espressione figurativa della fine dell'arte?

Sullo schermo al centro del palcoscenico sono proiettati stralci di notiziari in lingua spagnola, tradotti simultaneamente da un'attrice con tanto di microfono. Il punto di partenza è un fatto realmente accaduto, talmente assurdo che potrebbe essere del tutto scambiato per invenzione drammaturgica: nell'agosto del 2012, l'anziana signora Cecilia Giménez, pittrice dilettante senza alcuna esperienza né qualifica, prende l'iniziativa di restaurare un Ecce Homo, affresco della cappella di Borja, un piccolo paese spagnolo non lontano da Saragozza. Il dipinto originale, opera di un pittore minore del Novecento e di scarso valore artistico, è risultato irrimediabilmente compromesso, ma, complice l'eco mediatica e - soprattutto - virtuale, è diventato una sorta di attrazione turistica e di "icona" riproducibile sugli oggetti di merchandising.

Non è tutto: la signora ha poi reclamato - e ottenuto - anche i diritti di autore sullo sfruttamento della "sua" opera. Anche la critica si è divisa: il peggior restauro di tutti i tempi o la rivoluzionaria espressione figurativa della fine dell'arte?

Lo schermo adesso è diventato un'ampia finestra da cui si vedono i tetti cittadini. Seduti ad un tavolo, un uomo e una donna, docenti di una prestigiosa università parigina, discutono appunto su questo episodio e se sia opportuno o meno includerlo nel "canone" del programma accademico. Perché se ha suscitato tutto questo clamore non è possibile ignorarlo.


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