Mi scuso fin d’ora per la lunghezza del post, d’altronde è da tanto che non mi faccio viva.
Le cose più importanti che avete necessità di sapere, in quanto miei fedelissimi lettori e confratelli nella Setta dell’Ammmore, sono le seguenti:
♥ Ho scoperto che nella mia vita non c’erano abbastanza illustrazioni di Yelena Brysenkova, e probabilmente nemmeno nella vostra, quindi cliccate QUI.
♥ Devo al più presto darmi al giardinaggio. Io non ce la posso fare se non dimostro a me stessa e all’universo che ho almeno un po’ di pollice verde. Qualche giorno fa sono stata ad una magnifica esposizione di fiori e piante, alcuni erano veramente meravigliosi – e sentire della gente esperta di qualcosa parlare in termini tecnici, come adepti di una loggia segreta, stimola sempre la mia strabordante curiosità – tanto che ho deciso di schiavizzare qualche personaggio più esperto di me (vedi: mio padre, un paio di vicini, un nuovo amico che si è scoperto provenire dal mio stesso paesucolo) e imbastire un mio personale vivaio / roseto / orto o qualsiasi cosa ne salti fuori. Sarà la primavera. (A proposito: ma quanti tipi di rosa esistono? Hanno dei nomi stupendi! E lo sapevate che ogni ramo di un albero ha un nome diverso? Ma quante soddisfazioni può dare la botanica!)
♥ E ora passiamo alla parte che piace a noi gente letterata. Parlo dei miei goffi esercizi di scrittura che, con faccia tosta e sprezzo del ridicolo, decido di gettare in pasto al formidabile popolo della rete. L’altro giorno mi sono messa china sui fogli della mia Moleskine (sì, qualche vezzo da piccola hipster di provincia / studentessa di Harvard venuta male lo dovete lasciare anche a me, sennò non vale) e ho pensato di utilizzare una specie di sistema combinatorio, come coi mazzi di carte da poker (una tecnica per niente originale e già bella che sfruttata, lo so), per inventare tanti possibili futuri ed esorcizzare l’angoscia fluttuante dell’ignoto (e ora la smetto con queste parentesi altrimenti vi viene la scogliosi e vi sanguinano i cristallini). Vi ricordo che nessuna di queste ipotesi deve per forza essere logica o credibile, perché l’ho deciso io e quindi amen.
Futuro ipotetico numero 1: L’avvenire dello strano matrimonio.
♫ Colonna sonora: Grimes – Oblivion
La mia vita scorre tranquilla, e nel frattempo la società continua a vedere un incessante progresso tecnologico. Anche gli studi di robotica sono avanzatissimi, tanto che gli esperti sono in grado di creare robot sofisticatissimi i quali, attenzione attenzione, hanno la facoltà di provare una certa gamma di emozioni umane, oltre ovviamente a poter interagire tranquillamente con noi come dei bot superintelligenti. I robot si integrano perfettamente nella società umana, compiendo lavori di ogni genere e comportandosi egregiamente. Fino a qui la storiella vi ricorda vagamente Matrix, nevvero? Bene, d’ora in poi non ve lo ricorderà più. Succede che io, nell’impossibilità di trovare un marito umano, e trovandomi in necessità di dover condividere il resto dei miei giorni con qualcuno che non sia un gatto spelacchiato, decido di comprarmi un robot-marito. Proprio in quel periodo ci sono i saldi al supermercato, quindi mi avvio alla Mecca del Consumo, dove i piedi dei clienti vengono saldati su binari che automaticamente portano davanti ai vari scaffali, senza dover camminare. Il percorso è obbligato, e alla fine si comprano cinquanta volte le cose che si volevano comprare prima di entrare. Esco dal supermercato con trenta scatolette di sardine, L’Iphone 124, un sintetizzatore, tre paia di calze fabbricate nelle Filippine e finalmente il mio sospirato marito. Andiamo in Comune e facciamo regolarmente registrare il matrimonio, dato che la legge, pur non consentendo ancora il matrimonio omosessuale, ha da tempo autorizzato le coppie umano-robotiche. Il nostro rapporto inizia e prosegue nel migliore dei modi, perché lui bilancia la mia personalità e sopperisce alle mie mancanze: è bravissimo a far di conto, ovviamente, quindi controlla il bilancio familiare. Parcheggia con precisione millimetrica. Sa sempre cosa dirmi e quando, mi prepara il tè, e mente io affondo il naso nelle lasagne lui si ricarica placidamente con la presa della corrente. Con l’andare del tempo, però, noto che i suoi comportamenti si fanno sempre meno precisi, la perfezione sfuma, il rapporto s’incrina per la troppa umanità. Capisco che mio marito ha senza dubbio un guasto di produzione. Torno al supermercato e provo a farmelo cambiare, ma mi rendo ben presto conto che gli inservienti del negozio sono anch’essi robot – gli umani non tollerano più di fare certi mestieri – e, pur ammettendo che mi sono comprata un marito fallato, parteggiano per lui e si rifiutano di cambiarlo. Non voglio nemmeno divorziare, perché alla fine è solo una questione di cavetti scordati (sarebbe come divorziare da qualcuno perché ha preso il raffreddore). Così mi ritrovo ad avere un marito che sta perdendo tutta la sua macchinistica perfezione, che tende sempre più all’umanità senza essere umano. Allora sono costretta a dover imparare tutte quelle funzioni svolte prima da lui, sentendomi sempre più robotica a mia volta. E a un certo punto si arriva al momento in cui non si capisce più chi è chi.
Futuro ipotetico numero 2: L’avvenire esistenzialista.
♫ Colonna sonora: Françoise Hardy – Des ronds dans l’eau
Il mondo esce a fatica da una guerra catastrofica. Molti Paesi, così come li conosciamo adesso, non esistono più. L’uomo ha modificato l’assetto idrogeologico del 99% della superficie mondiale. Piano piano, cominciano a ripopolarsi le città con i superstiti, fra cui casualmente sono da annoverare anche io. Una delle pochissime città a salvarsi quasi intatta, grazie a ingegnosi patti diplomatici e a dinamiche belliche complesse, è Parigi, che pur essendo profondamente cambiata ha conservato la sua allure d’altri secoli. Ed è così che qui si rifugiano i nostalgici del mondo com’era prima della guerra, fra i quali, sempre casualmente, sono ancora da annoverare. A loro si contrappongono masse di uomini che non hanno perso, nonostante tutto, la fiducia nell’umanità e infondono ai loro figli, la prima generazione in tempo di pace, una fiducia e un ottimismo sfrenati verso il futuro. I nuovi parigini, al contrario, sono prevalentemente intellettuali, filosofi, ex combattenti, artisti – insomma, tutta gente che serve solo in salotto – i quali devono affrontare le stesse problematiche di ogni dopoguerra: ricostruire, riflettere, capire quali valori sono rimasti (se sono rimasti). Io, fra costoro, divento una devotissima esistenzialista: mi faccio tatuare pezzi di La Nausée sulle braccia, mi vesto solo di nero con qualche sprazzo bianco, nascondo il viso all’ombra del borsalino, ho sempre qualche libro di Camus sotto il braccio, non ascolto altro che chanson francese. Convintissima delle mie idee atee, del mio pessimismo, del disprezzo per l’umanità intera, della mia nuova vita fondata su solidi anti-valori, all’improvviso mi rendo conto che sta crescendo in me la paura della morte. [Questo futuro si ricollega a quello successivo, quindi possiamo considerarli come uno unico diviso in due.]
Futuro ipotetico numero 3: L’avvenire dell’eterno passato.
♫ Colonna sonora: Arcade Fire – Wake Up
La mia paura della morte è assolutamente infondata, in quanto sono immortale, e me ne rendo conto il 25 ottobre del mio compleanno numero xxx. Tutta la gente che conosco nella mia vita se ne va, chi prima chi poi, mentre io sono destinata a rimanere, immutabile. Vedo così finire la fase del dopoguerra, che però non è una rinascita ma un degrado: tutto va così male che l’umanità è regredita ai primi anni dell’ homo sapiens sapiens sul pianeta. E da questo periodo la storia ricomincia ad avanzare, ma attenzione, non semplicemente come ciclo di caduta – ripresa – ricaduta – eccetera, bensì esattamente con gli stessi avvenimenti storici, gli stessi personaggi, le stesse esatte guerre che erano avvenute prima della mia nascita. Io, essendo immortale, rivivo ogni volta ogni cosa, finché si arriva al 25 ottobre dell’anno xxx (che nella mia nuova concezione temporale marca il passaggio di un anno, in realtà è astronomicamente un lasso di tempo molto superiore) e tutto ricomincia di nuovo. Decido di andare per il mondo e incontrare vari personaggi famosi: Eleonora d’Aquitania, Giulio Cesare, Tesla, Pertini, Laurence Olivier. Solo che ad ogni nuovo ciclo loro sono sempre gli stessi, e se la storia della mia vita eterna è sempre così uguale e ripetitiva, immaginatevi cosa può essere affrontare una giornata di 24 ore. Decido allora di divertirmi un po’ vendendo pozioni a chi ne ha bisogno. Dopo aver trasformato qualcuno in formichiere, qualcuno in cassonetto e qualcun altro in scheletro, la noia esistenziale torna ad assalirmi: ho conosciuto tutte le figure storiche, conosco ogni angolo di mondo, so tutto e ho già vissuto tutto. Ho perfino vinto la paura del free-climbing, tanto mal che vada mi schianto, ma che fa? Sono immortale. Allora penso: qual è uno degli animali che vive meno? C’è un tipo di farfalla che svolazza per un solo giorno e poi muore [ephemeroptera]. Mi metto all’opera, e dopo qualche secolo (anno? giorno? mese? boh.) riesco a creare la pozione per trasformarmi proprio in quella specifica farfalla. La noia, nel cercare tutti i fiori del pianeta sbocciare ciclo dopo ciclo, sparisce definitivamente.
Fine dei deliri. Ciao.