Dicevo che questo post è stato nel cestino fino a ieri pomeriggio, fino a quando non mi arriva una mail di Lorella Zanardo (no, nessun caso di omonimia, è proprio l’autrice de “Il Corpo delle donne” che mi onora, oltre che della sua amicizia – seppur principalmente virtuale – anche di essere mia “fan” personale…) che mi chiedeva cosa ne pensassi della situazione partitica attuale e di un uomo politico in particolare. Per cui, pur non credendo alle coincidenze, non mi rimaneva altro da fare che aprire il cestino e riprendermi il testo che state per leggere. La domanda che mi poneva Lorella è se esista, allo stato attuale delle cose, un’alternativa alla situazione politica che stiamo vivendo ormai da tempo. Per rispondere a questa domanda voglio partire da L’Aquila, città ferita per l’incuria di qualcuno che un anno e qualche mese fa sottovalutò il terremoto e per le manganellate prese la settimana scorsa a Roma. Qualche giorno fa, infatti, 150 deputati del Partito Democratico hanno avuto il coraggio di presentarsi nel capoluogo abruzzese. «Grazie a voi di essere venuti qui. A soli un anno, tre mesi e ventuno giorni dal terremoto…» è stato il giusto saluto degli aquilani.Come gli avvoltoi, infatti, i deputati del partito di finta opposizione, che sempre più ricorda la corrente migliorista di quel Partito Comunista Italiano che – incapace di coinvolgere una popolazione tanto vasta da poter governare da solo –elemosinò un po’ di potere prostrandosi ai piedi della Democrazia Cristiana tramite quello che passò alla storia come “il compromesso storico”.
Io negli anni 70 non ero ancora nato, dunque tutto quello che so sul compromesso e su quegli anni in generale deriva dalla lettura di libri, dalla
Mi chiedo per esempio dove siano gli esponenti di quella Sinistra “estrema” quando l’Esecutivo – in un remake del governo Tambroni (anni ‘60) – manganella gli operai che protestano per un Padrone che, grazie ai sindacati gialli che adesso fanno gli sconvolti, quelli per cui spostare la più grande azienda di questo paese in Serbia è un atto inaudito ed indegno, può svegliarsi una mattina e fottersene allegramente (scusate il francesismo…) dello Statuto dei Lavoratori introdotto in questo paese grazie a delle lotte sociali che poco avevano di differente dalle guerre civili. Mi chiedo dove siano le Sinistre – visto l’infinito numero di nani e nanetti creati in questi anni – quando c’è da combattere per le battaglie sociali: una scuola ed un’università che sempre più sta tornando al classismo fascista; la lotta contro la privatizzazione di beni fondamentali come l’acqua pubblica (che per altro sarebbe anche una netta violazione dei diritti umani…). Oppure, torniamo a qualcosa del passato: avete presente tutti il nuovo “scandalo” dei circa 92.000 documenti presentati all’opinione pubblica da Wikileaks, il New York Times, il Gardian e lo Spiegel in merito alla guerra in Afghanistan. Qui ho almeno tre considerazioni da fare: a) a parte la novità del riportare l’esatto numero di vittime, quali sono state le cose sconvolgenti nei documenti? Apprendere che la guerra non è quella cosa bella, buona e giusta che ci presentano nei film hollywoodiani? O apprendere che chi spara forse a tutto pensa tranne che ad “esportare” pace e democrazia? Beh, credo che al paese dei balocchi avremmo dovuto iniziare a non crederci più tanti anni fa, e non vorrei che adesso l’opinione pubblica si scandalizzasse per cose che l’informazione antagonista racconta ormai da tempo immemore solo perché Wikileaks è il sito che va di moda in questi ultimi tempi; b) A pubblicare la
In queste settimane sto leggendo “Un contadino nella metropoli”, il libro – autobiografico – che racconta l’esperienza di vita e di lotta di Prospero Gallinari, uno di quei tanti giovani che negli anni ‘70 videro nella lotta armata (è stato infatti una delle colonne portanti delle Brigate Rosse) l’unica via per migliorare il sistema di cose che gli era capitato di abitare. A pagina 132 si può leggere:
«La strategia del processo politico di Jacques Vergès è il libro che gira freneticamente nelle celle. Il piccolo volume del ‘68 è già a suo modo un classico. Si tratta di una tagliente indagine sulle varie linee di comportamento processuale adottate nei secoli dagli imputati politici eccellenti, fossero essi capi di stato, filosofi come Socrate, ribelli o militanti di organizzazioni rivoluzionarie. L’attenzione di Vergès è attirata da quello che egli definisce “processo di rottura”. È il comportamento assunto da Dimitrov davanti ai nazisti nel 1934. Il comportamento dei membri del FLN algerino davanti ai tribunali francesi. “anche se in catene, l’accusato si presenta in nome di un altro ordine e di un altro mondo”. È dunque la stessa competenza dei magistrati che il “processo di rottura” mette in questione. È la stessa posizione dell’imputato che va abbandonata, abbandonando la tacita connivenza fra giudice e reo che il rito processuale comporta(…)».
Gallinari e gli altri non fecero altro che sovvertire le regole del gioco, dicendo che quell’impostazione per loro non voleva dire
Forse perché riuscire in questo significherebbe andare contro la natura stessa della politica partitica come la intendiamo noi, cioè di quella politica che – dall’una e dall’altra parte – fa del “tutto e subito” l’unica ragion d’essere, tant’è vero che né dall’una né dall’altra parte ci viene proposto un modello al quale riferirsi, come scriveva Pietro Orsatti ieri su “Gli Italiani”: «Manca un sogno da offrire agli italiani, una speranza, un progetto chiaro». Manca, dall’una e dall’altra parte, un progetto di Futuro. E qui non è colpa della classe politica – o, per meglio dire, non solo – è colpa della natura stessa del nostro popolo, non più abituato a programmare né a guardare oltre il brevissimo periodo.
Ma, naturalmente, per investire sul Futuro – anzi, anche solo per avere un progetto, anche parziale, confuso, di Futuro – dobbiamo investire sul Presente. Ciò vuol dire due cose: a) eliminare la classe politico-economica attuale, la cui data di scadenza è oramai illeggibile; b) creare una nuova coscienza politica nei giovani. Per fare questo abbiamo bisogno di una nuova Educazione politica, un’educazione che schiodi finalmente la nostra generazione dallo schermo televisivo per tornare a chiedersi cosa succede nel mondo (e qui mi viene in mente il Luca Argentero in versione “contestatore universitario” de “Il Grande Sogno”), ad informarsi e ad agire affinché le innumerevoli storture di questo mondo vengano abbattute. Non so come la vedano i miei coetanei – considerando anche che molti di quelli che conosco io non sono esattamente inquadrabili nello stereotipo dell’”impegnato” – so che comunque le scintille per qualcosa di nuovo ci sono, come ci sono sempre state. E sempre più mi convinco di una cosa: che quando finalmente capiremo come scardinare le porte del Palazzo – oKKupandolo – sapremo andare oltre questo mondo fatto di partiti, coalizioni e personaggi politici che si girano dall’altra parte. Dobbiamo però incominciare a fare proprio come durante il “processo-guerriglia” delle Brigate Rosse: dobbiamo ricominciare a considerarci non come singoli, ma come parti di uno stesso progetto. Così come fecero i Partigiani contro il regime fascista e così come, negli anni 70, fecero quell* che occupavano le università e sì, anche coloro che scelsero la lotta armata. Dobbiamo abbandonare il parlare all’”io” capitalista per sostituirlo al “noi” del futuro. I prodromi ci sono già…
«I nostri nemici organizzano le loro forze mediante la potenza del danaro e l’autorità dello stato. Noi non possiamo organizzare le nostre, se non mediante la convinzione, la passione.»
[Michail Alexandrovič Bakunin]