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G. B. Tagliasacchi: nel 1734 il pittore ritrae la nobildonna Lavinia Ferrarini Dodi

Creato il 16 ottobre 2012 da Ambrogio Ponzi @lucecolore

G. B. Tagliasacchi: nel 1734 il pittore ritrae la nobildonna Lavinia Ferrarini Dodi Il settimanale diocesano "Il Risveglio" pubblica questo articolo dove Barbara Latimbri ha ricucito la storia di un dipinto che questo blog ha pubblicato tempo fa formulando alcune ipotesi, in assenza di dettagli più precisi, su questo dipinto del nostro concittadino G. B. Tagliasacchi.   Ora le ricerche di Barbara Latimbri inquadrano in modo esemplare il quadro nel contesto storico della prima metà del settecento. 
Nel 1734 il fidentino Giobanni B. Tagliasacchi ritrae Lavinia Ferrarini Dodi
Il 1734 fu un anno travagliato per i territori farnesiani: da tre anni, a causa dell’ennesima indigestione, era spirato l’ultimo duca Antonio il quale aveva lasciato suo erede il ventre pregnante della moglie Enrichetta d’Este che dopo sotterfugi e aspettative ammise di non attendere nulla. Così, nel tramestio del balletto politico, l’infante Carlo di Borbone fu spedito a Parma per prendere possesso del Ducato.
Il giovane regnante fu accolto dalla comunità piacentina con un poemetto celebrativo impreziosito da un’incisione allegorica di Antonio Fritz, su disegno del pittore Giovanni Battista Tagliasacchi . Ma arriviamo al 1734: Don Carlos si era appena ambientato quando le tresche della madre Elisabetta Farnese e del card. Alberoni, gli assicurarono l’ambita corona napoletana: così Carlo partì, con moglie e mobilio, alla volta della corte partenopea, sostituito dalla reggente Dorotea di Neoburg. Nel 1734 Giovanni Battista Tagliasacchi era un pittore ormai famoso e richiesto dai committenti in virtù “della qualità del pennello”; era nel pieno del suo estro creativo e alle soddisfazioni lavorative si aggiunsero finamente le gioie del focolare grazie alla nascita di Maria Caterina . Proprio in quell’anno l’artista dipinse il ritratto di Lavinia Ferrarini Dodi: ovale apparso sul mercato antiquario bresciano e portato all’attenzione degli studiosi da Guglielmo Ponzi. Di questo dipinto esiste un’altra versione segnalata dallo stesso proprietario. La paternità e datazione della tela bresciana sono certe in quanto attestate dalla scritta sul retro: “ Ritratto della signora Lavinia Ferrarini Dodi in età di 25 anni, fatto dal signore Gio. Battista Tagliasacchi l’anno 1734”. Ritengo di poter identificare il soggetto con Lavinia Ferrarini, moglie di Odoardo Dodi: esponente della nuova nobiltà piacentina. Sembra che la famiglia Dodi fosse originaria di Borgo s. Donnino (sicuramente non oriunda del Piacentino) e che possedesse beni anche nei dintorni di Fontana Freddam. Agli inizi del XVII secolo si trasferì a Piacenza, dove guadagnò un titolo nobiliare. Difatti i figli di Bartolomeo Dodi furono creati nobili il 12  maggio 1704 e iscritti nella classe Fontana. Uno di questi, il dottore in medicina Pier Antonio, sposò una certa Stefania Bergamini e da quest’unione nacque Odoardo . Lavinia ed il marito risiedevano con i figli Paola, Giuseppe e Pietro nel palazzo familiare costruito nel centro cittadino presso l’antica parrocchia di S. Stefano, sito nell’odierna via Scalabrini al n. 33. Lavinia nacque nel 1709 e dai documenti dell’Archivio di S. Antonino risulta che morì nel 1767, quindi all’età di 58 anni. Il consorte dovette sopravviverle diverso tempo, poiché passò a miglior vita nel 1797 nei possedimenti di Fontana Fredda . Un fatto curioso è che palazzo Dodi fu successivamente venduto a Enrico Antonio Giandemaria, il cui nonno era fratello di mons. Gerardo Zandemaria . Non mi dilungo nella descrizione del quadro, già ampiamente esaminato dal Ponzi. Ma è innegabile che lo status sociale è manifestato dall’abbigliamento che segue i sontuosi canoni del primo Settecento; la carnagione, delicatamente rosata, risalta sul fondo scuro grazie ad un sapiente gioco di vibranti velature. I toni bassi e brumosi, che ritornano nei ritratti tagliasacchiani, qui sono riscaldati dai rosa e dai blu dei panneggi, dai grigi cangianti dei fiocchi e dalle trasparenze dei pizzi: una tavolozza più discreta rispetto alla produzione sacra, ma sempre elegantissima e raffinata.


G. B. Tagliasacchi: nel 1734 il pittore ritrae la nobildonna Lavinia Ferrarini Dodi

Ritratto di mons. Zandemaria

L’impianto sicuro, la posa a tre quarti e la gestualità formale sono vicini al ritratto di mons. Zandemaria eseguito nel 1731, ora nell’ex-seminario Vescovile di Piacenza (si noti anche la resa della mano sinistra in entrambe le opere). L’espressione del volto rivela una profonda capacità d’indagine psicologica che ci fa conoscere un Tagliasacchi meditativo, capace non solo di cogliere in modo egregio i tratti di chi gli sta dinnanzi, ma attento a rappresentarne l’animo che si cela dietro l’eleganza degli ornamenti. Nella critica novecentesca il Tagliasacchi è stato apprezzato per la produzione religiosa (in realtà, come ci ricorda Angela Leandri, già lo Zani a fine Ottocento si riferiva a lui come un “pittore di storia tanto sacra che profana”) ma è ormai risaputo che era richiesto ed amato dalle famiglie patrizie anche quale raffinato ritrattista. Sono le sue opere a parlare: i ritratti dello Zandemaria, dell’abate Mauro Gragnani , di Enrichetta D’Este (l’unico ritratto femminile fino ad oggi noto) o dal numero di quelli elencati dall’ inventario dello studio del pittore al momento della morte. Delle sue opere la critica (si veda il catalogo della Gubitta) ha già ampiamente parlato: esse ci svelano un artista capace di cogliere i più intimi sentimenti umani sotto l’eleganza dell’apparenza.
Barbara Latimbri   (Pubblicato sul settimanale diocesano  il Risveglio del 12 ottobre 2012)
G. B. Tagliasacchi: nel 1734 il pittore ritrae la nobildonna Lavinia Ferrarini Dodi
Per maggiori dettagli: http://www.ponziettore.it/tagliasacchi.html Altri post relativi a G. B. Tagliasacchi:

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