Sono dei meravigliosi custodi, che paiono non accorgersi di nulla, infatti siamo noi ad accorgerci di loro e a riferirci a loro, con uno slancio d’affetto, poiché sono entrati a far parte della nostra comunità. Come fino ad aprile, faranno parte delle sale della Galleria Comunale le opere di questa nuova mostra, I Grandi Assenti, composta dalle opere di 11 artisti selezionati all’interno delle Collezioni Civiche del Comune di Livorno. Il progetto, prosecuzione della prima rassegna dell’evento nel 2011, dà alla collezione permanente sempre nuova linfa vitale, colmando dei vuoti rintracciati a posteriori dall’occhio di chi ben conosce la “Collezione Ingrao”, dedicata interamente al Novecento.
Emilio Vedova, Senza titolo, 1965, incisione nera su zinco
Troviamo Renato Guttuso (Bagheria 1912 – Roma 1987) ad aprire questo dialogo, con una Natura morta del 1952. Genere caro al pittore siciliano, dagli esordi fino all’ultima parte della sua produzione, un rimando a ciò che contorna la vita, la intride di profumi, forme, e tonalità piene di luce espansa, come l’arancio che in questo dipinto sfonda la finestra e anima gli oggetti posti sulla tavola. Emilio Vedova (Venezia 1919 – 2006) e Lucio Fontana (Rosario 1989- Comabbio 1968) li troviamo collocati nella sala dove campeggia uno dei dipinti che più all’interno della collezione rappresenta il clima di “ritorno all’ordine” in auge durante il ventennio fascista: La Vestizione della Sposa (1934) di Carlo Socrate. Di Vedova sono presentate quattro incisioni su zinco datate tra il 1965 e il 1969 e realizzate durante gli anni di insegnamento a Salisburgo, esempio del suo incessante bisogno di espressività gestuale e ritmica, mentre di Fontana sono tre disegni che riproducono il concetto spaziale per il quale lo ricordiamo come fondatore dello Spazialismo, il cui Manifesto Blanco è nato nel 1946 in Argentina. Guttuso, Vedova e Fontana hanno aderito al movimento di Corrente, che tra il 1938 e il 1943 si opponeva all’arte ufficiale, quella di Novecento, dell’ordine, dei valori italiani, della celebrazione patriottica, immancabilmente figurativa. In questa sala i due artisti, aperti al contesto internazionale, portano altre facce dell’arte: astratta e di concetto.
Anche Aligi Sassu (Milano 1912 – Palma di Maiorca 2001) aderì a Corrente e la sua opera, Mattino del 1957, accolta nella sala dedicata a Fortunato Depero, Tullio Crali, Gino Severini, rimanda all’ispirazione giovanile di Sassu verso il Divisionismo boccioniano e alla frequentazione negli anni Trenta della seconda generazione di futuristi, i cui echi si sentono nel cielo a spirale di un’alba che riporta ad una pace, ad un silenzio che invita a solcare il cancello aperto e andare verso la ricerca. Mario Nigro (Pistoia 1917 – Livorno 1192) con la sua Opera n. 3 del 1954 si rivolge spazialmente alle opere si Ottone Rosai e Carlo Carrà, tra i più importanti nella sala, entrambi futuristi, poi ognuno dedicatosi ad altre ricerche, di natura intimistica Rosai, mentre Carrà passa dalla Metafisica al Novecento. Nigro, rivolto a loro, ricorda tutta la parte dell’arte che, nel dopoguerra, evade da una pittura imposta e abbraccia la ricerca geometrica e astratta, pura e logica, promossa da Gillo Dorfles con il Movimento Arte Concreta ( MAC, nato nel 1948). Nella raccolta sala dedicata a Mario Mafai, ecco svettare su piedistallo ligneo una scultura in bronzo di Pietro Consagra (Mazara del Vallo 1920 – Milano 2005). Datata al 1970, riporta alla condizione di necessaria frontalità in base a un principio democratico, che lo stesso Consagra esprime come depotenziamento e spodestamento del valore referenziale espresso dalla visione tridimensionale della scultura, irrorante dal centro della forma. Consagra, nel 1947, è tra i fondatori, insieme a Dorazio e Turcato, del gruppo Forma, nato da una base di matrice formalista e marxista che identifica l’astrattismo, come dichiarato nel manifesto, l’unica strada per un vero rinnovamento dell’arte. L’accostamento con le opere nate nel clima della Scuola Romana, anti-Novecento, anzi della Scuola di via Cavour, come definita da R. Longhi, riferendosi all’attività di Mafai, Scipione e A. Raphaël, appunto dalla via romana in cui abitava Mafai, nonostante l’amicizia di Consagra con quest’ultimo, ribadisce la certamente voluta esclusione di filoni astratti e di sperimentazione all’interno di una collezione formatasi come specchio di una figura che presenta variazioni di interpretazione, ma dalla quale parte sempre il pensiero e la sua rappresentazione.
Arnaldo Pomodoro, Rotante con sfera interiore, 1967, bronzo
Usciti da questo faticoso intrico, svetta lucida e perfetta una sfera di Arnaldo Pomodoro (Marciano di Romagna 1926). Intitolata Rotante con sfera interiore, del 1967, fa parte della serie dei Rotanti, sculture che celebrano la forma solida geometrica della sfera e abitano molte delle piazze italiane. Infine, nel regno di Mino Maccari, padre di Strapaese insieme a Longanesi e fondatore del giornale satirico “Il Selvaggio”, con una presenza in collezione di oltre 40 opere, troviamo Personaggi TV di Mario Schifano (Homs 1934 – Roma 1998) e Ustione di Alberto Burri (Città di Castello 1915 – Nizza 1995). Schifano è un’artista controverso, che esplora nell’arco della sua vasta produzione linguaggi differenti, dall’informale, al pop, conosciuto in America negli anni 1962 – 1963, al video, sperimentato poco dopo. La televisione, mass-media per eccellenza, diventa un’icona, in cui la forza dell’immagine sbiadisce dietro a tempi e ritmi che non permettono il suo affermarsi. L’operazione di Schifano è dichiarare la preponderanza dell’immagine e dal tubo catodico riportarla alla bidimensionalità statica, fermala, guardarla e la ricostruirla su supporto fotografico.
Fausto Melotti, Gli Arpioni, 1972, acciaio inox
Alberto Burri, esponente dell’Informale in Italia, deforma la materia. In Ustione del 1973 usa il calore della fiamma per segnare il cellotex, materiale ricavato da una mistura di segatura e colla ampiamente utilizzato dall’artista. L’opera Gli Arpioni di Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986) ci accompagna verso l’uscita. Diametralmente opposta alla natura morta di Guttuso che ha aperto il percorso, celebra l’adesione all’astrazione, all’utilizzo di materiali alternativi, a nuove tecniche di lavorazione. Infatti, Melotti aderisce nel 1935 all’associazione artistica francese Abstraction – Création, nella quale figurano anche Pevsner, Mondrian, Kandinsky, tutti con l’idea di un’arte al di fuori del figurativo. Chiude al piano inferiore Umberto Mastroianni (Fontana Liri 1910 – Marino 1998) con Composizione del 1966, anch’egli facente parte del filone astrattista.
I voluti Grandi Assenti, ora sono presenti, sono stati cercati e chiamati a specchiare l’eterogeneità un secolo d’arte, non a colmare una collezione, che come tale ha diritto d’essere parziale.
Ivana Salis
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MAE Milano Arte Expo -milanoartexpo@gmail.com- ringrazia Ivana Salis per il testo / recensione e le immagini relative alla mostra alla Galleria Comunale d’arte di Cagliari I GRANDI ASSENTI.
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