Galleria fotografica: Ex Idroscalo Ivo Monti di San Nicola Imbuti - di Alfredo Bronda

Creato il 14 maggio 2014 da Crono @Amaraterramia

Tutte le foto sono di Alfredo Bronda, profilo Flickr

di Teresa Maria Rauzino
Chi percorre la strada che da Cagnano porta al lago di Varano, si stupisce vedendo sulla riva un villaggio disabitato: è l’ex Stazione Idrovolanti “Ivo Monti”. Centro di addestramento per piloti, centro per il recupero e la riparazione di idroplani e di mezzi leggeri di attacco, l’idroscalo di san Nicola è ricordato come base militare strategica di notevole importanza per il controllo della costa dalmata. Numerosissimi i voli effettuati, diurni e notturni, per esplorare le isole curzolane e per i soccorsi in Adriatico. La storia dell’insediamento militare è stata ricostruita da Maria Antonietta Ferrante nel volume "Memorie di guerra dall’Idroscalo" (Edizioni del Rosone, Foggia). I documenti reperiti dall’autrice presso l’archivio della Marina Militare di Roma, e utilizzati in chiave narrativa, tracciano l’iter della Stazione negli anni della prima guerra mondiale. In particolare, la Ferrante rievoca gli eventi relativi all’insediamento: i lavori di cantiere, l’utilizzazione dei primi alloggi, l’organizzazione militare, i problemi che l’ammiraglio Thaon de Revel e il comandante Ghe dovettero risolvere, date le caratteristiche sfavorevoli della zona, isolata e infestata dall’anofele. A curare i militari decimati dalla malaria sarà chiamato Salvatore Donatacci, un medico di Cagnano Varano che si era distinto nella ricerca e nella profilassi della malattia.
L’anno 1915 trascorre a san Nicola fra la frenetica attività costruttiva e i primi movimenti di perlustrazione dell’Adriatico. Il cantiere funziona a ritmo serrato. Revel ha preso al cuore la sorte della nascente stazione del Varano; l’ha voluta e desidera renderla efficiente con ogni mezzo, compresi gli incentivi ai giovani militari lì destinati. Per loro chiede, in data 2 settembre 1915, il supplemento massimo alla paga stabilita. La risposta del ministero sarà negativa. Il comandante Ghe, di gusti raffinati, ordina per la stazione mobili funzionali ed eleganti. Riesce ad acquistare anche un pianoforte per allietare le lunghe serate solitarie dei militari in questo piccolo angolo di mondo. Giorno dopo giorno, l’idroscalo assume sempre più l’aspetto di centro autonomo ed autosufficiente Sono ben curati i viali lungo i quali si allineano le palazzine ad un piano. Sobrie, dall’elegante architettura di ispirazione coloniale, sono disposte in doppia fila fino alla zona di decollo prossima all’hangar costruito con metallo, legno e tela.
Quelle che un tempo furono “costruzioni moderne ed eleganti” si presentano oggi in una condizione di estremo degrado, “sgarrupate”, per dirla con un linguaggio più pregnante. Gli infissi, i marmi pregiati, sono stati tutti asportati, in quella che era considerata una “cava a cielo aperto”, in cui era possibile rifornirsi di tutto e di più. Erbacce e sterpaglie hanno invaso le scalinate d’accesso, i muri e perfino le terrazze delle palazzine, alcuni tetti sono crollati. Un sonno profondo sembra avvolgere la struttura. Uniche voci: lo stridio degli uccelli acquatici e il belato degli armenti. Nell’ex stazione “Ivo Monti”, anche mucche e torelli hanno trovato residenza stabile. Non disdegnano, di tanto in tanto, di farsi una passeggiatina nei palazzi di stile coloniale e negli hangar ridotti a scheletri: tutti gli interni, i loggiati dell’ex stazione sono pieni di sterco. Oltre la strada, in posizione panoramica, la chiesa di Santa Barbara, costruita per i militari nel 1920, scoperchiata e con un bell’albero nella navata centrale, è diventata il rifugio dei drogati e delle coppiette, che hanno lasciato traccia del loro passaggio con murales immortalanti le loro gesta. Una visione desolante, che ci fa riflettere sulle sorti ineluttabili che sembrano incombere sul patrimonio monumentale dismesso di Capitanata.

Sì, perchè in questo remoto e suggestivo lembo di terra ci sono anche i resti di un antico convento benedettini dell’anno 1058: San Nicola Imbuti. I monaci del Varano furono sotto la giurisdizione della potente badia di Kàlena (Peschici). Il declino della casa madre di Tremiti, che si concluse nel 1782 con la vendita ai privati di tutti i possedimenti da parte del Regio demanio borbonico, segnò la fine anche della piccola badia i cui ruderi sono ancora osservabili all’interno dell’Idroscalo. Certo i benedettini non immaginavano che, un millennio più tardi di loro, un nutrito gruppo di giovani militari avrebbe guardato lo stesso orizzonte, e che oggi noi avremmo visitato quel che resta dei loro insediamenti, segnalandone il degrado.

L’area di san Nicola Imbuti, dismessa dal ministero della Difesa, e messa in vendita dal Ministero delle Finanze per sei miliardi e 250milioni di vecchie lire, pare sia stata acquistata da una società privata, una STU, che dovrebbe costruirvi l’ennesimo villaggio turistico. Ma finora è tutto fermo. L’unico palazzo dell’Idroscalo, ristrutturato qualche anno fa dal Comune di Cagnano, è sempre chiuso.
Cos’è? L’ultimo presidio nel deserto dei Tartari?
Anche il suo intonaco esterno comincia a deteriorarsi...












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