Scopriamo le radici e gli effetti del #GamerGate, il dibattito sociale più acceso nato dentro al mondo dei videogiochi
Parliamo di paranoia
Non è detto che il nemico esista davvero. [...] Indispensabile per la guerra, causa della guerra non è il nemico, ma l'immaginazione.
James Hillman, A Terrible Love of War, 2004
Secondo l'American Heritage Stedman's Medical Dictionary, come riportato da Luigi Zoja in 'Paranoia. La follia che fa la storia', testo da cui abbiamo tratto anche la citazione iniziale, la paranoia è: "1. Un disturbo psicotico caratterizzato da deliri sistematici, soprattutto persecuzione o di grandezza, in assenza di altri disturbi della personalità; 2. Una forma di sfiducia negli altri estrema e irrazionale."
Il #GamerGate
Al cosiddetto #GamerGate (far notare che è legato a un hashtag di Twitter è importante) abbiamo dedicato un lungo articolo quando ancora non aveva preso il suo nome definitivo. Non ripeteremo tutto quello che abbiamo scritto all'epoca, ma è giusto partire da quanto successo allora accennando alcuni fatti e approfondendone altri.
Una breve cronistoria dei fatti più importanti riguardanti il #GamerGate
Non è corretto far corrispondere la nascita del #GamerGate con il caso Quinn, che possiamo considerare come il classico casus belli di una guerra preparata in anni e anni di veleni sotterranei. La Quinn stessa era già stata oggetto di una campagna denigratoria ai tempi della pubblicazione di Depression Quest nel 2013, campagna portata avanti dai membri del forum Wizardchan, caratterizzati dall'essere dei maschi vergini, come leggibile nella descrizione ufficiale della bacheca.
- Zoe Quinn subisce una campagna diffamatoria, con tanto di pubblicazione online di alcuni suoi dati personali, per la pubblicazione di Depression Quest. Gli iscritti a Wizardchan, costola di 4chan, affermano che una donna non può e non deve parlare di depressione. Grossa parte del mondo videoludico femminile, prime fra tutte Anita Sarkeesian, si schierano a difesa della Quinn.
- Febbraio 2014: Zoe Quinn e la PR Maya Kramer attaccano su Twitter la game jam TFYC, ossia The Fine Young Capitalists, portando al collasso del sito dell'evento per un attacco DDOS spontaneo, su cui la Quinn scherzerà in un tweet. Per la cronaca, TFYC doveva essere una competizione pensata per introdurre allo sviluppo videoludico donne senza alcuna esperienza in merito. I fondi raccolti sarebbero stati devoluti a fini caritatevoli.
- Secondo la Quinn, la sua critica al TFYC sarebbe nata dalla discriminazione fatta verso i transgender, non inclusi nella competizione, e dal fatto che non era previsto un compenso per le donne coinvolte. Secondo gli organizzatori del TFYC, la Quinn sarebbe stata mossa dal mero interesse, ossia dal voler togliere di torno un concorrente della sua game jam. Inoltre, secondo loro l'accusa sulla mancata paga delle partecipanti sarebbe stata ridicola, perché le coinvolte avrebbero dovuto fare solo un lavoro concettuale, senza dover passare mesi a sviluppare un gioco, aiutate da dei game designer veri e propri. L'intera faccenda ha lasciato grossi strascichi tra i contendenti.
- L'11 agosto 2014 Depression Quest arriva su Steam, nonostante fosse stato oggetto di una campagna di boicottaggio partita su Wizardchan.
- Come già raccontato, il 16 agosto Gjoni pubblica il suo post in cui racconta dei tradimenti della Quinn con Grayson e altre persone, di cui non faremo il nome.
- Iniziano subito a essere pubblicati sulla rete materiali infamanti sulla Quinn, come foto erotiche, vignette pornografiche, dati privati della donna e altro.
- Molti siti specializzati decidono di non raccontare l'accaduto perché, mancando la contropartita della presunta corruzione, l'intera storia andrebbe archiviata tra i "fatti personali" della Quinn, non certo tra i casi di cronaca.
- Su reddit e 4chan il disinteresse della stampa viene letto come una forma di censura, come se la Quinn e Grayson avessero il potere di influenzare le testate di tutto il mondo.
- La moderazione di alcuni post su Reddit e 4chan relativi a quello che allora fu chiamato il #QuinnsGate (sembra di parlare di una vita fa, ma sono passati appena due mesi), contenenti pesantissime offese e accuse passibili di denuncia per diffamazione, viene usata per rafforzare la tesi della censura e del complotto dei poteri forti dell'industria videoludica (quali siano questi poteri che difendono la Quinn non si è ancora capito).
- Mundane Matt si vede cancellato un video su YouTube relativo al #QuinnsGate dopo aver ricevuto una notifica di rimozione dalla DMCA, richiesta di rimozione di cui viene accusata la Quinn stessa. L'accusa non è stata mai confermata dall'interessata né da nessun'altra fonte.
- John Bain, meglio conosciuto come lo YouTuber TotalBi
scuit, interviene sull'argomento commentando la rimozione del video su Twitter.
- Nonostante Bain si fosse mantenuto molto leggero nei toni, prendendo solo una posizione generale anti-censura, si è subito ritrovato contro alcuni noti esponenti della scena indipendente videoludica. Su tutti Phil Fish, lo sviluppatore di FEZ, che lo ha offeso a più riprese avviando il dibattito che si è ingrossato fino a diventare quello che è oggi.
- Wolf Wozniak, uno sviluppatore, afferma su Twitter di essere stato minacciato sessualmente dalla Quinn, ma viene zittito da Fish ed è costretto a ritirare il suo tweet.
- Le accuse della controparte che Fish avrebbe fatto tutto da solo non sono state mai completamente provate.
- Viene bloccata la campagna di TFYC su IndieGoGo, lanciata dagli anti-Quinn per dimostrare di non essere mossi dalla misoginia, con tanto di messaggio anti-4chan di corredo, in particolare indirizzato contro /v/, il forum dedicato ai videogiochi accusato di essere un luogo ostile per donne, gay e chiunque non condivida la visione culturale dei sui aderenti riguardo ai videogiochi (accuse spesso mosse all'intero 4chan, del resto).
- 4chan è parte attiva della campagna di TFYC, gruppo autodefinitosi di femministe radicali. L'affiliazione vorrebbe dimostrare che quelli contro il gruppo sono solo pregiudizi. Non per niente è su /v/ che nasce la mascotte di TFYC, l'ormai famigerata Vivian James, che intelligentemente la stessa 4chan ha pesantemente sessualizzato con vignette e caricature, dimostrando una certa lungimiranza nel portare avanti le proprie battaglie.
- IndieGoGo nega di essere responsabile per la chiusura della campagna di TFYC, che viene cancellata per evitare altre controversie. Il nome del sito di crowdfunding era spuntato nella firma della lettera di chiusura, rivelatasi poi falsa.
- Non trovando più appigli per attaccare la stampa specializzata sul caso Quinn, viene inventato il caso GameJournoPros. L'accusa è che la GameJournoPros sia una mailing list in cui membri della stampa videoludica si accordano su voti e argomenti di discussione, imboccati chissà da chi. Nei fatti si tratta di una mailing list usata per discussioni di natura professionale, spesso usata da esponenti della stampa generalista per chiedere consigli alla stampa specializzata (quello che si è sempre chiesto di fare per evitare di leggere stupidaggini scritte da persone che non sanno nulla del nostro settore). Nei più di centocinquanta messaggi emersi, in nessuno emergono accordi sotterranei o chissà quale trama segreta ordita dalla grande spectre del giornalismo videoludico. In alcuni si leggono dei commenti dei giornalisti coinvolti su alcuni fatti come il QuinnsGate, che ovviamente i paranoici hanno interpretato come la volontà di insabbiare il caso accordandosi con i membri della mailing list.
La fine dei videogiocatori?
Questi sono i fatti principali della vicenda, che da allora si è arricchita di molti altri piccoli eventi e di numerosi articoli, dei quali è impossibile rendere completamente conto (si parla di più di un milione di tweet, qualche centinaio di pezzi e così via). Tra questi, bisogna però parlare dell'articolo della giornalista Leigh Alexander scritto per Gamasutra, Alexander apertamente schierata con la Quinn, dal titolo provocatorio 'Gamers' don't have to be your audience. 'Gamers' are over. in cui sancisce, un po' perentoriamente, la morte culturale del videogiocatore inteso in senso classico, ossia come maschio solitario terrorizzato dalla realtà e rifiutato dalle donne.
Il problema del sessismo e la guerra contro la Sarkeesian
La Sarkeesian è ufficialmente entrata nella discussione del #GamerGate per aver difeso Zoe Quinn, ma in realtà è stata oggetto di attacchi sessisti da quando si è affacciata sulla scena videoludica, ossia da quando ha proposto il suo progetto su Kickstarter, che ha prodotto una serie di iniziative di boicottaggio su vasta scala, fortunatamente fallite. Ora, chiariamoci subito: si può essere contrari alle tesi espresse dalla Sarkeesian nei suoi video della serie Tropes vs. Women in Video Games senza doversi sentire in colpa o messi sotto accusa, ma a patto che si riconosca alla stessa la dignità di essere umano e la libertà di esprimere un suo punto di vista, pur abbracciando una prospettiva specifica come quella del femminismo. Quando si analizzano i video della Sarkeesian si commette sempre un errore di fondo nella valutazione di quello che è il suo obiettivo. Molti tendono a sottolineare come l'uso di stereotipi non sia limitato solo alle figure femminili, ma anche a quelle maschili. Vero, quindi? La verità è che non è mai stato messo in discussione l'uso di stereotipi per la caratterizzazione dei personaggi, pratica quanto mai antica, quanto la loro qualità e la cultura di cui si fanno cantori. Il nodo è tutto qui. Il topos della "damigella in pericolo" viene additato non perché dall'altra parte della barricata il maschio è un fulgido esempio di caratterizzazione diversificata e sfaccettata (anzi, a ben vedere la maggior parte dei personaggi maschili dei videogiochi sono davvero misera cosa, ossia dei pupazzi di carne senza cervello), ma proprio perché unendo i vari stereotipi si crea un quadro in cui comunque le figure maschili risultano dominanti in senso antropologico, ribadendo una serie di pregiudizi che negli anni sono stati più volte messi sotto accusa (pensate davvero che questa polemica nasca e riguardi solo il mondo dei videogiochi? Suvvia, ha radici molto più lontane).
La verità è che gli anti-Sarkeesian non si soffermano mai a discutere dei contenuti dei suoi video, producendo magari materiale che con lo stesso tenore e profondità esplori il loro punto di vista.
twittalo! Il #GamerGate sta infiammando la stampa americana. Cerchiamo di capirne di più.
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali di tutta la faccenda sono moltissimi e sono ancora tutti da scoprire, visto che al momento di scrivere questo articolo la guerra è ancora in corso e non se ne vede la conclusione.
Purtroppo è innegabile che le affermazioni del #GamerGate, alcune potenzialmente valide se fossero sviluppate a dovere e ripulite dal fango della misoginia, siano sparite sotto una mole di collegamenti senza senso tra fatti distanti tra loro, invenzioni, battute a sfondo sessuale e, soprattutto, minacce che hanno fatto alzare le difese di tutti i coinvolti. Insomma, la mole d'odio e di risentimento che si percepisce dietro alla maggior parte degli interventi, mal si concilia con una campagna che pretenderebbe di apporre la bandiera dell'etica sull'intera industria. Questi metodi squadristi, hanno portato molti a definire gli aderenti al #GamerGate come degli integralisti di estrema destra. Si tratta di un passaggio necessario, ma davvero pericoloso, perché introduce nella discussione delle categorie che non sono proprie del mondo dei videogiochi, rischiando addirittura di sfasciarlo dall'interno. Non per niente stanno fioccando articoli, come la recensione di Bayonetta 2 scritta da Arthur Gies per Polygon, o quella di Dead Rising 3: Apocalypse Edition scritta da Nick Capozzoli per Gamespot, che hanno di fatto abbracciato un punto di vista politico per esprimere il loro giudizio, andando a toccare i temi discussi nel #GamerGate. Dall'altro lato della barricata, invece, si stanno affacciando persone che hanno più a che fare con la politica che con i videogiochi, desiderose di sfruttare il clamore di tutta la vicenda per attirarsi simpatie e consensi.
Conclusioni
Per ora è davvero arduo trarre conclusioni su tutta la vicenda. Di base però, possiamo provare a porci domande su alcuni elementi che non vanno trascurati, ma che sono stati poco discussi, come alcuni problemi di comunicazione tra le parti in guerra. Il primo è che si tratta di un dibattito nato completamente su internet, soprattutto su Twitter, dover argomentare è praticamente impossibile per la natura limitata dei contenuti pubblicabili. Non sarà diventato difficile spiegarsi anche per colpa del mezzo usato, molto facile ai fraintendimenti?
Altra nota dolente, che impedisce ormai ogni forma di dialogo, è il ricorso sistematico ad attacchi violenti e mirati contro alcune delle parti in causa. È ovvio che le minacce fisiche, la violazione dei dati personali degli interessati, il volere a tutti i costi scavare nella loro vita privata alla ricerca del dettaglio che permetta di rafforzare le proprie accuse, siano comportamenti che non rendono possibile una discussione equilibrata. Come puoi essere serena se sei costretta ad abbandonare casa tua perché minacciata di stupro e qualcuno, invece di solidarizzare, arriva ad accusarti di aver organizzato tutto da sola, quando invece la faccenda è stata presa più che seriamente dalle forze dell'ordine che hanno avviato indagini ufficiali per chiarire gli eventi? Quando la tua vita privata viene sbattuta in pubblica piazza da sciacalli desiderosi di farti a pezzi a tutti i costi, come puoi metterti a ragionare con loro? Ecco, forse coloro che pretendono di affermare alcuni principi, dovrebbero farlo evitando di ricorrere a questi mezzucci, che non fanno che marginalizzarne le posizioni facendoli apparire sempre più come degli esaltati assetati di sangue.