Gamification

Creato il 30 giugno 2011 da Giorgiofontana

Che l’uomo sia un animale che gioca per vivere è uno degli assiomi dell’antropologia, anzi è possibile dire che gran parte del pensiero è una simulazione dell’essere oggettivo e nella formulazione del pensiero c’è un aspetto in cui la parte ludica è molto importante.
Fare finta che il mondo non esista o che esista un essere superiore, trascendente,  o che una parte della realtà sparisca è il modo per giocare con il linguaggio e l’oggettività pre-linguaggio.
In questo l’esperienza dei sensi, il senso comune, è un non gioco, nel ludico la parte gratificante è ‘prendersi gioco’ di ciò che è reale e vero.
Come nella pratica della scienza disattendere il senso comune è ascendere verso la verità, forse.

Noi siamo il gioco

Nella pratica social mediatica il gioco è fondamentale, chiedere l’amicizia su Facebook a chi non si sa neppure che viso abbia è fondamentalmente un gioco, seguire  cinguettii, magari noiosi e inutili, lo è altrettanto, aprire la propria bacheca ed augurare Buongiorno a tutti è l’inizio della filastrocca che accompagna il gioco dei quattro cantoni o la conta per capire chi è il capo e chi no.
Stare al gioco è altrettanto importante per relazionarsi sul web.
Qualsiasi cosa che altrove sarebbe bizzarro, in uno spazio pieno di regole tecniche e di paletti subliminali come è il web, è la gnosi elettiva.
L’identità, comunque segreta, per quanto certificata da foto e informazioni, è la costruzione alla base della gamification online.
Perchè quando si gioca si conferiscono significati esoterici agli oggetti che usiamo, cambiano loro nome e significato, una palla diventa l’oggetto con cui si ottiene il potere e l’elevazione spirituale e quindi assume un significato magico anche se pensiamo si tratti banalmente di football.
Se la nostra identità è la palla con cui giochiamo è ‘gioco-forza’ che siamo immersi in un mondo parallelo e oltreumano.
Siamo qualcosa di diverso, antropologicamente parlando, da esseri umani.
Siamo oggetti ludici con cui la nostra coscienza si diverte e cerca di ottenere potere ed elevazione.

Le regole sono l’essenza del piacere

Quello che porta al piacere nel gioco è sottoporsi a delle imposizioni, di solito decise da altri, ma anche da noi stessi, come il decidere che ci si deve mettere a dieta e accettare una tabella di privazioni di piacere di tipo oggettivo per raggiungere il piacere astratto della vittoria su se stessi.
Sappiamo sempre che il vero acerrimo avversario siamo noi stessi e il piacere a se stessi lo si raggiunge quando si sottomette l’Io alla nostra volontà ludica, attraverso l’assurdo e l’irragionevole, come ogni innamoramento, in questo caso ad reductium Narcisi.
Noi ridiamo quando Mr Bean, bara con se stesso giocando da solo, sappiamo che è non tanto stupido il barare, quanto il privarsi del piacere delle regole che sono la resistenza con cui l’alchimia ormonale trovo la catalisi per produrre serotonina.
Ci fa pena quel personaggio che si priva del piacere perchè non sa resistersi.
Un Bartezzaghi irrisolvibile vale 1000 soluzioni sbirciate a pagina 43.

La virtualità è il gioco dell’onnipotenza

Un ricco e intelligente post sulla psicologia perversa del giocatore online  fa capire come i sette peccati capitali siano, forse, lo scheletro della sfera ludica in rete.
In realtà il giocatore estrae il peggio dalla sua indole e la usa per superare gli ostacoli e proseguire di livello in livello, di punteggio in punteggio, di vittoria in strage.
L’ira, la cupidigia, la vanità, l’avarizia, la lussuria, l’accidia.
Tutte caratteristiche che possono creare  degli stati d’animo alterati e relazioni umane estreme che sono alla base della drammatizzazione e del tragico, vale a dire il gioco degli Dei.

La gamification nella sua variante di social game crea delle relazione tra oggetti e attori.
Quando un attore effettua un checkin su Foursquare questa azione non ha il solo significato di posizionare uno spaziotempo nel virtuale ma di scatenare una drammatizzazione, di attivare il ‘coro’ e le sua funzione di commento dentro la storia dell’eroe.
Che sia la trama di un videogame oppure il resoconto della notte brava di un teen-ager, i giocatori sono quelli che cercano di modificare il destino della storia, pur sapendo che tutto finirà nel tragico, cioè nella fine della storia.

La ricompensa è sempre la nostra collocazione sociale

Nella dinamica gamificatrice la ricompensa è fondamentale.
Si gioca per ottenere una vittoria, nessuno gioca per perdere.
La peggiore condizione del perdente è l’esclusione dal gioco, tutto funziona quando si gioca, perchè ogni volta che inizia la sua regola aurea è che nessuno sa chi vince e chi perde. Questo significa che non esiste gioco senza competizione e senza avversari, anche quando si gioca contro se stessi, ad esempio per superare il proprio record personale.
Workout permette di competere su degli obiettivi personali di ogni tipo, dieta, sforzo fisico, tolleranza, aumento, diminuzione e di misurarsi con altre persone.
La dinamica delle sfide sono tutte all’interno della social gamification.
Lanciare l’idea di una sfida e aggregare altre persone: la gratificazione è la misura del potere di engagement.
Aggregarsi e superare il maestro è un’altra ricompensa.
Raggiungere e superare il limite stabilito è la misura che siamo oltre le regole, siamo superumani e non facciamo neppure parte dei limiti della norma.
Ma siamo subito pronti a tornare nel consesso umano, perchè comunque scacciarsi dal Mondo è peggio dell’essere scacciati dal Paradiso in compagnia.
Infine la ricompensa che gratifica chi gioca è la sua misurazione sociale, sia che vada a determinarsi in un rank, sia che crei un nuovo nodo dentro il sistema delle relazioni, un nuovo amico e un nuovo follower.
Qualcuno con cui fare finta di essere quello che si è.


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