Gandhi, storia di una “grande anima”

Creato il 01 febbraio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Emiliano Morozzi

Con la fine delle ideologie del ventesimo secolo, pochi personaggi storici si sono salvati dalla mannaia del revisionismo storico: uno di questi è Gandhi, il Mahatma, la “grande anima”. Cosa ha permesso al profeta della disobbedienza civile e della non violenza come strumenti primari di lotta politica di mantenere intatta la sua figura, nonostante i peccati di gioventù e certe prese di posizione che hanno fatto discutere, come la sua dichiarazione sulla questione dell’Olocausto?

In principio, il Mahatma non era altro che un giovane, inesperto e timido avvocato indiano, Mohandas Karamchan Gandhi, costretto ad espatriare in Sudafrica dopo essere rimasto senza lavoro nel proprio paese e incapace di fare un discorso pubblico a causa della timidezza. Nella sua nuova patria, il giovane viene a contatto con l’apartheid, che egli sperimenta sulla propria pelle: toccare con mano la segregazione razziale che colpisce non solo la popolazione di colore, ma anche i suoi stessi connazionali, spinge Gandhi a superare le proprie paure e trasformarsi in parte attiva nella lotta contro i soprusi a cui viene sottoposta la sua gente. Non altrettanto riguardo ha l’avvocato indiano nei confronti della popolazione di colore, verso la quale usa gli stessi epiteti razzisti della minoranza bianca: un comportamento sicuramente censurabile, una macchia sulla sua figura che Gandhi laverà via con il suo stile di vita successivo e con le sue battaglie politiche. In Sudafrica infatti l’avvocato timido e impacciato comincia a trasformarsi in quello che poi sarà un simbolo capace di mobilitare migliaia di persone: forma vicino a Durban il primo “ashram”, che non è solo un luogo di meditazione, ma una vera e propria comunità che affianca al momento della preghiera quello del lavoro, con uno stile di vita povero e semplice. Il 1906 rappresenta un momento chiave nella vita di Gandhi: per la prima volta il giovane avvocato indiano pronuncia un discorso in pubblico per difendere la propria gente dalla legge che obbligava anche gli indiani alla schedatura. È qui che nasce la “Satyagraha”, una filosofia di vita che diviene lotta politica, assumendo gli aspetti della non violenza e della disobbedienza civile.

Gandhi, il “Mahatma” (eliteoftheworld.com)

A questo punto della storia, è necessario fare un doveroso distinguo e storicizzare le battaglie politiche di Gandhi: in un contesto diverso da quello indiano, la lotta politica del “Mahatma” sarebbe stata ridotta a una sterile “secessione dell’Aventino”. Prendiamo ad esempio i regimi totalitari come la Germania nazista, l’Italia fascista o l’Unione Sovietica stalinista: dittature che basavano la propria forza sulla cruda repressione del dissenso, ma anche sul consenso delle masse, molto diverse da uno stato di polizia come l’India degli anni Trenta che basava la propria autorità soltanto sull’apparato repressivo, comunque molto più blando delle dittature europee. Detto questo, la lotta politica di Gandhi, le sue idee di non violenza e disobbedienza civile e soprattutto il suo metterle in pratica nella vita di tutti i giorni, hanno fatto di questo piccolo avvocato indiano un “Mahatma”, una “grande anima”, un simbolo per il proprio popolo e per molti uomini politici che a lui si sono ispirati. Un uomo che muoveva le folle non con roboanti proclami e con adunate oceaniche, ma con l’esempio, che non aveva paura di rischiare la galera o finanche la morte per portare avanti le proprie battaglie, un uomo che si batteva contro le ingiustizie ma che al tempo stesso non demonizzava i suoi avversari, cercando con essi il dialogo per arrivare a una soluzione pacifica della controversia.

Anche nei momenti di maggior repressione, Gandhi rifiutò l’uso della violenza come strumento di lotta politica e le sue campagne di disobbedienza civile passarono alla storia: la più famosa, e anche la più riuscita, fu la “marcia del sale”. Quando il governo britannico, che deteneva il monopolio, decise di tassare il sale, risorsa di importanza fondamentale per gli indiani, Gandhi si mise in marcia alla volta delle saline per protestare contro l’iniqua tassa, rivendicando con un gesto simbolico l’appartenenza di quella materia prima all’intero popolo. Partiti in 78, dopo duecento miglia e 24 giorni di marcia, Gandhi e i suoi seguaci arrivarono alle saline di Dandi accompagnati da migliaia di persone. Nonostante il cordone di polizia, il Mahatma raccolse un pugno di sale e i manifestanti fecero altrettanto, sfidando le manganellate delle forze dell’ordine e travolgendo la barriera dei poliziotti con la loro determinazione e con la forza del loro numero.

Purtroppo una volta ottenuta l’indipendenza, grazie anche agli sforzi e alle lotte di Gandhi con la campagna nonviolenta “Quit India”, il popolo indiano non seppe vivere in armonia seguendo gli insegnamenti del suo profeta: gli attriti tra musulmani e indù portarono prima alla separazione tra India e Pakistan e poi a un vero e proprio conflitto, che a sessant’anni di distanza è ancora motivo di tensione fra i due paesi. Non bastò l’autorità del vecchio guru per fermare l’escalation di violenza, che colpi lo stesso Mahatma: il 30 Gennaio 1948 infatti Gandhi, settantottenne, fu assassinato da un fanatico estremista indù. Molti altri leader seguirono le sue orme, personaggi del calibro di Nelson Mandela e Martin Luther King, leader che fecero della lotta politica e non violenta la loro bandiera: la mano di un assassino fermò la vita di Gandhi ma non la forza delle sue idee.


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